Il contratto evolutivo: tra obbligo legale e potere dell’autonomia privata nella revisione contrattuale

Il contratto evolutivo: tra obbligo legale e potere dell’autonomia privata nella revisione contrattuale

Quale è la natura dell’istituto della revisione? Ci si chiede sempre più spesso, data la mancanza di una norma specifica e generica, se la revisione deve essere considerata come un obbligo (legale o convenzionale) o come potere insito nella generica libertà propria dell’autonomia privata. E tale problematica si manifesta più di frequente nei casi in cui le parti, a seguito del verificarsi di una sopravvenienza, vogliono modificare il contratto e manchi però un’apposita clausola negoziale e non sia possibile applicare alcuna norma che lo consenta.

Diverse sono le posizioni dottrinali e giurisprudenziali.1

Alcuni giuristi sostengono che l’individuazione di un obbligo di revisione garantisce la posizione e/o la situazione giuridica del contraente su cui grava maggiormente l’incidenza della sopravvenienza, in quanto determina la vincolatività di ciò che è oggetto dell’obbligo. Vincolatività che si pone quale elemento necessario per il sicuro soddisfacimento della conservazione del contratto.

Altri giuristi affermano, invece, che sia impossibile individuare un tale obbligo, a fronte del fatto che la sua vincolatività si porrebbe come limitante la sfera di autonomia riservata alle parti. Ciò in quanto esse non saranno più libere di decidere se modificare o no il contratto, o ancor più se continuare ad eseguirlo ugualmente senza apportare modifiche o se risolverlo, ma dovranno esclusivamente adempiere all’obbligo in capo a loro sorgente. Quanto affermato è supportato maggiormente dal fatto che il contratto e la stessa revisione rientrano pienamente, quale diretta manifestazione, all’interno della sfera di autonomia riconosciuta ai contraenti dall’ordinamento.

Proprio per questo è necessario analizzare le due possibili varianti della natura della revisione per giungere poi ad una conclusione di carattere generale.

Considerando la revisione quale obbligo legale o convenzionale imposto alle parti si può affermare quanto segue.

Mentre l’obbligo convenzionale di revisione necessità di un apposita clausola contrattuale che determini la costituzione e il contenuto di siffatto obbligo, al contrario l’obbligo legale di revisione scaturisce principalmente dal principio di buona fede e di equità, così come statuito all’interno del codice civile agli artt. 1366, 1374 e 1375. Ciò è possibile, però, solo se la buona fede e l’equità, in qualità di fonti di integrazione legale del contratto, vengono intesi non soltanto come principi ai quali le parti devono conformare il loro comportamento durante la fase di esecuzione del contratto, ma anche e soprattutto come fonte di obblighi. Tuttavia, in tale ottica, il contenuto dell’obbligo sarà quello di cooperazione delle parti nella fase di esecuzione del contratto, al fine di garantirne la permanenza nel tempo. L’ipotesi centrale dell’obbligo legale si rinviene, inoltre, attraverso un’operazione interpretativa, nell’art. 1467 c.c. in materia di risoluzione per eccessiva onerosità; disposizione normativa che individua in capo al contraente danneggiato dalla sopravvenienza un diritto al mutamento del contratto, a cui corrisponde in capo alla controparte un obbligo di revisione, e quindi di effettuazione delle relative variazioni necessarie per ristabilire l’equilibrio originario tra le prestazioni.

Se si volge lo sguardo al contenuto dell’obbligo di revisione si può affermare in generale che esso si caratterizza per l’atipicità, in quanto varia a seconda della tipologia contrattuale alla quale accede e della situazione concreta che intercorre tra le parti. In particolare si può distinguere tra l’obbligo di trattare e l’obbligo di concludere un accordo modificativo. In relazione al primo, si distingue, inoltre, tra l’obbligo d’iniziativa, comprendente sia la proposta che l’accettazione, e l’obbligo di instaurare concrete trattative tra le parti. A questo riguardo occorre precisare che l’individuazione del tipo di obbligo, ricorrente nel caso concreto, viene effettuata a partire dall’analisi della volontà reale dei contraenti.

Interrogativi riguardano poi il se l’obbligo debba sostanziarsi in un facere specifico, ovvero in un partecipare attivamente alla determinazione delle modifiche, o possa semplicemente sostanziarsi in un obbligo di non rifiutare le trattative o una modifica oppure possa consistere in un mero tollerare una modifica, ovvero in un contegno omissivo (non impedire la modifica). La soluzione non può che rinvenirsi attraverso un applicazione del principio di buona fede, e una valutazione del concreto operare della cooperazione tra le parti.

Al riguardo occorre anche notare come la dottrina maggioritaria2 qualifichi l’obbligo di revisione come obbligo di scopo o di risultato, ossia come di un obbligo che sorge esclusivamente per il perseguimento di un fine ben determinato. È anche vero che altra parte della dottrina3 ritiene che sia più preciso discorrere di obbligo di mezzi, evitando un’esasperazione della conservazione del contratto e consentendo alla parti che non riescano a raggiungere un accordo modificativo in merito di sciogliere il contratto.

Con riferimento ai rimedi che possono applicarsi all’inadempimento di tale obbligo di revisione da parte di un contraente, bisogna distinguere tra la tutela risolutoria ex art. 1453 c.c. e la tutela risarcitoria, sia essa autonoma che dipendente dalla richiesta di risoluzione del contratto. Degna di nota è la considerazione di un autore4 che, sottolineando la contraddizione intercorrente tra tali mezzi di tutela e la relativa ratio di conservazione del contratto, propria della revisione, sostiene che l’unica soluzione, che possa apparire come la più consona agli interessi e obbiettivi delle parti, è rappresentata dall’intervento del giudice.

Ciò nondimeno la revisione può essere analizzata anche facendo riferimento al rapporto contrattuale come atto di autonomia privata, ciò in quanto lo stesso principio del rebus sic stantibus, e dunque l’adeguamento del contratto in cui si sostanzia la revisione, può essere considerato come espressione del potere di autonomia privata. Le parti, infatti, mediante la stipulazione del contratto si prefiggono il perseguimento di determinati e specifici obbiettivi che, considerati nell’ottica personalistica delle parti del negozio, sono espressione dei loro interessi. Il perseguimento dell’obbiettivo contrattuale diviene allora lo strumento per il soddisfacimento ovvero l’implementazione degli interessi individuali che i contraenti palesano attraverso il contratto. Ragionando in quest’ottica si può altresì affermare che il contratto o ancora meglio il regolamento contrattuale definisce le modalità di attuazione dell’obbiettivo, dunque ogni volta che la situazione di fatto muta non consentendo, attraverso le modalità prestabilite in contratto, di perseguire l’obbiettivo si manifesta l’esigenza di rideterminazione delle condizioni contrattuali ovvero una loro modifica.

La stessa stipulazione del contratto, dunque la stessa necessità di determinare modalità di regolamento e soddisfacimento di interessi, implica come conseguenza naturale, la doverosa possibilità per le parti di modificare il contenuto del contratto al fine di renderlo il più possibile conforme ai loro interessi ed obbiettivi. In tal senso si esprime un autore5, il quale afferma che la rinegoziazione e quindi la possibilità per le parti di modificare il contratto può essere considerata anche in un’ottica preventiva di garanzia del permanere di un determinato equilibrio contrattuale/negoziale e delle condizioni necessarie al perseguimento dell’obbiettivo negoziale.

Ciò è tanto vero se se si discorre di contratti a lungo termine che in quanto esposti al mutare delle circostanze di fatto in cui il contratto si trova ad operare, manifestano più da vicino la problematica del mantenimento dell’equilibrio tra le prestazioni.

Da ciò ne deriva altresì la possibilità di inquadrare la rinegoziazione all’interno dell’obbligo di cooperazione delle parti per il perseguimento dell’obbiettivo contrattuale e dunque per la determinazione progressiva delle condizioni contrattuali; obbligo di cooperazione che si manifesta molto più forte nella fase esecutiva del rapporto.

Il contratto, infatti, altro non è che la libera manifestazione di volontà di due o più parti in relazione ad un determinato regolamento contrattuale di natura patrimoniale, manifestazione di volontà che è espressione di interessi personali il cui perseguimento può presentare l’esigenza di una rideterminazione, di un adeguamento del contenuto negoziale.

Come le parti sono libere nel decidere se stipulare un contratto e nella determinazione del suo contenuto così esse devono essere libere di poter modificare il contratto se dettato da esigenze di conformità ai propri interessi.

Al riguardo qualche autore afferma che “il negozio è l’esito del concreto esercizio del potere di autonomia e cioè della facoltà generale ed astratta di autoregolarsi”.6

Autoregolarsi che comprende più precisamente la possibilità per le parti di regolare i propri rapporti, regolamentazione di propri rapporti che può comprendere anche l’effettuazione di più trattative , di più negoziazioni, di più manifestazioni di volontà su di un regolamento negoziale già in essere.

Difatti, l’attività negoziale che si manifesta mediante la verificazione di una vicenda modificativa non rappresenta altro che una modalità di gestione e attuazione del rapporto, in sintesi una volontà di autoregolare il rapporto.

Alla luce di tali considerazioni si può quindi affermare che il contratto come autoregolamentazione non è altro che la sintesi di una pluralità di manifestazioni di volontà , di determinazione del contenuto contrattuale, un continuum verificare una conformità agli interessi delle parti. Sulla base di ciò si può anche far riferimento alla nuova concezione del contratto come contratto evolutivo. Al riguardo un autore afferma che: «è da registrare il tramonto del concetto di contratto inteso in senso classico: il contratto come legge tra le parti, come immutabile; il contratto che esprime il punto di equilibrio definitivo risultante dal confronto di interessi opposti; il contratto come negozio fatto dalle parti: cui ad una negoziazione iniziale fanno seguito numerose rinegoziazione periodiche; alle parti si sostituiscono altri (terzi) non solo per riempire le lacune, bensì per modificare il contenuto delle obbligazione delle parti; si attenua la distinzione tra i diversi stadi di formazione del negozio contrattuale, talché è stato scritto che “il contratto intangibile lascia il posto al contratto evolutivo»7. A sua volta nella stessa direzione si esprime un altro illustre giurista, il quale sottolinea come: «la previsione della clausola di rinegoziazione sancisce il tramonto del contratto immutabile di fronte a circostanze modificative, e nello stesso tempo il passaggio al contratto evolutivo attenuando la rigorosa separatezza tra la fase dell’elaborazione dell’assetto di interessi e quella di esecuzione […]. Il regolamento contrattuale non esprime più il punto di equilibrio definitivo di interessi contrapposti, ma deve essere valutato come fattispecie flessibile che si può, nonostante il principio della sua stabilità, adeguare quando sopraggiungono circostanze modificative dell’assetto originario»8.

Considerare la rinegoziazione come espressione dell’autonomia privata porta anche ad affermare che la possibilità di una rinegoziazione e/o modifica del contratto può rinvenirsi anche attraverso un’interpretazione estensiva del dettato normativo di cui all’articolo 1322 c.c. che disciplina la stipulazione di contratti atipici e l’articolo 1300 c.c. in ambito di novazione. Le norme appena indicate sono infatti espressione della massima libertà delle parti in merito alla regolamentazione di interessi. Così come le parti hanno la possibilità di stipulare contratti atipici e di estinguere il rapporto obbligatorio costituendone uno nuovo seppur legato al precedente, così ad esse deve riconosciuta la possibilità di intervento modificativo successivo su di un contratto che continua ad essere totalmente operativo.

Detto ciò si può osservare come le due possibili visioni dell’istituto della revisione sono comunque tra loro incompatibili.

Difatti, considerare la rinegoziazione come manifestazione di autonomia privata confligge con la tesi di coloro che sostengono la possibilità di rinvenire nel codice civile la presenza di un obbligo legale di rinegoziazione9, in quanto la previsione di un siffatto obbligo legale si manifesta quale indice di limitazione dell’autonomia privata. E allora come conciliare la libertà propria dell’autonomia privata con la presenza di un obbligo, dunque di una sorta di coercizione alla rinegoziazione del rapporto? Il problema si manifesta più che altro al lato pratico di tutela del contraente debole, ovvero di garanzia dell’effettività della conservazione del contratto e di riequilibrio del rapporto tra le prestazioni. Se sotto il profilo teorico ed anche in base alle norme contenute nel codice civile si può asserire che la rinegoziazione è espressione e strumento dell’autonomia privata e della libertà insita in essa tale da consentire al massimo livello la possibilità di modifica e di mantenimento costante dell’equilibrio negoziale e della conformità agli interessi di ciascun contraente; al lato pratico si pongono problemi inerenti all’effettività della libertà di rinegoziazione, all’effettività della modificazione del regolamento. E tali problemi sorgono in misura maggiore se la sopravvenienza riguarda una sola prestazione e un solo contraente, laddove la controparte, può risultare addirittura avvantaggiata dalla sopravvenienza tale da non aver alcun interesse alla modifica o aver l’interesse opposto alla risoluzione del contratto perché non più utile o perché ha già ricevuto l’utilità sperata e/o la controprestazione.

In questi casi la previsione di una semplice libertà di rinegoziazione o una facoltà o un dovere generico non è sufficiente a tutelare la parte veramente interessata alla revisione in quanto pregiudicata sostanzialmente dalla sopravvenienza, sarà invece necessario prevedere un obbligo di revisione , magari anche con l’indicazione delle modalità di adempimento, che consenta alla parte di essere effettivamente tutelata. In questo caso sarà possibile far ricorso alla generale disciplina sull’adempimento di un obbligazione contrattuale, nonché al disposto dell’art. 2932 c.c.; la parte avrà quindi maggiori possibilità di ottenere una modifica del regolamento contrattuale non solo attraverso la richiesta di un adempimento contrattuale alla controparte ma anche mediante un intervento del giudice. Inoltre, sarà più facile determinare la presenza di un inadempimento e formulare in maniera più precisa una richiesta di adempimento alla parte e/o al giudice. La tutela negoziale sarà inoltre maggiore ove il suddetto obbligo venga previsto in capo ad entrambe le parti e si preveda la possibilità di un intervento giudiziale di natura modificativa nel caso di disaccordo delle parti.

L’interrogativo che allora si pone riguarda il trovare un qualche escamotage che consenta una compresenza di una libertà e di un obbligo tutelativo di rinegoziazione. La soluzione parrebbe essere unica. Si potrebbe ipotizzare una libertà generale di rinegoziazione quale discendente dall’autonomia privata e la previsione di un obbligo legale di rinegoziazione che sorga nel momento in cui entrambe o anche una sola delle parti contraenti richieda la modifica del regolamento negoziale. Si porrebbe però il problema di come determinare i casi in cui ricorre una vera necessità di modifica del contratto, al fine di evitare che la richiesta di modifica e dunque la conseguente operatività dell’obbligo di revisione sia un semplice capriccio delle parti. Potrà essere sufficiente, in armonia con la legislazione italiana e straniera in materia, un generico richiamo al fatto che la sopravvenienza ha comportato un sostanziale squilibrio al rapporto tra le prestazioni. In questo senso la rinegoziazione si presenterebbe per così dire a doppia velocità: una generica libertà di rinegoziazione in caso di modifiche che non importino un sostanziale mutamento del regolamento negoziale e una libertà di rinegoziazione coadiuvata da relativo obbligo legale in caso di mutamento sostanziale. Il carattere sostanziale del mutamento dovrà essere riferito all’incidenza della sopravvenienza e dovrà essere valutato in relazione al caso concreto, agli interessi delle parti, al regolamento contrattuale predisposto, anche attraverso un’interpretazione secondo buona fede.

Oltretutto lasciando inalterato un generico riconoscimento della rinegoziazione come libertà dell’autonomia privata si consente alle parti di decidere se modificare e come modificare; in questo modo le parti sono libere, se ritenuto necessario, anche di non modificare il contratto, ma di attuarlo come discende dalle sopravvenienze o di scioglierlo per mutuo consenso. Tutto quanto appena affermato non è possibile se al contrario viene individuato un obbligo legale di revisione, sia generico che specifico.

Inoltre, occorre notare come tale concezione della rinegoziazione consente una modifica del contratto anche a prescindere dall’inserzione di un’apposita previsione pattizia , ottenendo un totale ampliamento del fenomeno. Ampliamento da reputarsi maggiore anche nei casi in cui la rinegoziazione è prevista come facoltà dalle parti.10

Ciò che comunque bisogna tener presente è l’effettiva tutela delle parti, la necessità che la modifica del contratto avvenga nel rispetto di entrambe le parti non compromettendo in ultimo il perseguimento dell’obbiettivo negoziale.

La coesistenza delle due visioni della revisione può essere affermata anche analizzando la tematica esaminata sotto un altro punto di vista, ovvero sotto il profilo della valenza della clausola di rinegoziazione alla luce dei concreti interessi delle parti, che si manifestano al momento dell’esecuzione del contratto e, più precisamente, al momento dell’incidenza di sopravvenienze. Si tratta più propriamente del caso in cui l’obbligo di revisione sia di matrice convenzionale. La rilevanza di tale profilo si manifesta di doppia rilevanza se solo si considera che lo stesso obbligo di revisione è frutto diretto dell’autonomia privata dei contraenti. Al tal riguardo più in particolare si tratta di capire che rilevanza ha l’interesse delle parti allo scioglimento del contratto laddove si presentino tutte le condizioni per l’operatività della revisione o, meglio, venga effettuata la prima fase, cosiddetta ricognitiva, del relativo procedimento. Di conseguenza, occorre comprendere se, qualora le parti, vista la concreta situazione creatasi a seguito dell’incidenza di eventi sopravvenuti, decidano di sciogliere il contratto, il procedimento rinegoziativo, appena incominciato (fase ricognitiva), si interrompe e avrà luogo, invece, il procedimento di scioglimento, o dovranno, comunque, essere intraprese delle trattative (fase determinativa). Per cui se le parti ritenessero, aldilà della previsione di un obbligo e sulla base della concreta situazione in cui si trova ad operare il contratto, di optare, comunque, per la risoluzione, la clausola di rinegoziazione che valenza ha? Le parti sono comunque tenute all’instaurazione di trattative per una revisione magari non più voluta? Si tratta, certamente, di interrogativi, la cui soluzione si mostra al quanto problematica. Diversi sono, infatti, gli interessi che rilevano, come la tutela dell’affidamento e del vincolo contrattuale; la tutela degli interessi delle parti; il rapporto tra i principi del rebus sic stantibus e il pacta sunt servanda. Diverse sono, anche, le posizioni in dottrina e le argomentazioni che possono proporsi al riguardo.

La dottrina maggioritaria ritiene che la previsione di un obbligo impone alle parti di intraprendere quanto meno delle trattative rinegoziative e che, nel caso in cui a seguito di esse le parti non giungano ad alcun accordo in merito, si può prospettare la possibilità di scioglimento del contratto. Il procedimento, quindi, deve essere effettuato integralmente (fase ricognitiva e fase determinativa) senza che le parti possano optare per lo scioglimento “in corso d’opera”, questo in forza del sorgere in capo alle parti di un obbligo di revisione del contratto, obbligo che viene generalmente inteso come obbligazione di mezzi e non di risultato. In questa direzione si potrebbe argomentare facendo riferimento, anche, al fatto che le trattative effettuate in malafede, ossia in mancanza dell’intenzione di pervenire ad una revisione del contratto, comportano l’applicazione di sanzioni ben definite, conseguenza dell’inadempimento. A supporto di tale tesi, si potrebbero altresì richiamare le esigenze di certezza del vincolo contrattuale, la concezione e valenza del vincolo contrattuale, come resistenza al pentimento e come irretrattabilità, la necessità di tutelare la parte debole e l’affidamento della controparte.

Personalmente ritengo che, se si parte dal presupposto che il contratto è regolato dal principio rebus sic stantibus (bisogna, però, analizzare sino a che punto la valenza di detto principio possa essere utilizzata per giustificare uno scioglimento del contratto) e dall’autonomia privata, nulla o nessuno può imporre alle parti di eseguire un contratto che non risponde più ai loro interessi, anche se opera la revisione. È vero che le parti hanno previsto un obbligo di revisione e che, pertanto, sono tenute ad ottemperarlo; è, altresì, vero che le parti hanno stabilito tale obbligo, proprio al fine di evitare uno scollamento tra contratto e realtà ed in modo tale da rendere l’assetto contrattuale il più possibile in costante funzione del soddisfacimento dei loro interessi, ma bisogna, comunque, considerare che tale previsione avviene al momento della stipulazione del contratto e che le parti hanno una percezione dell’incidenza delle sopravvenienze esclusivamente potenziale, tale che questa potrebbe essere molto differente da quella che realmente si verifica e tale da indurre le parti, conseguentemente, a preferire la caducazione del contratto, anziché la sua conservazione. Proprio per questo ritengo che le parti, oltre a potersi tutelare in sede costitutiva per mezzo della previsione di una facoltà di revisione o strutturando in maniera più specifica l’obbligo (magari stabilendo ipotesi di scioglimento a carattere residuale), potrebbero di comune accordo, ove sussistano tutti i presupposti, ma manchi un reale interesse alla revisione, procedere allo scioglimento del contratto, senza intavolare inutili trattative rinegoziative. In tale caso dovranno, però, essere previsti accorgimenti procedimentali, tali da consentire una tutela effettiva della parte debole del rapporto contrattuale; si potrebbe prevedere un intervento del terzo, oppure un’oggettivazione di possibili tipologie di interessi, che possono mostrarsi incompatibili con la rinegoziazione e condurre, dunque, allo scioglimento del vincolo negoziale, oppure si potrebbe far ricorso all’istituto della presupposizione.

Nella stessa direzione si esprime una parte della giurisprudenza11 francese, la quale afferma che le clausole di Hardship (clausola di rinegoziazione tipica dei contratti internazionali) possono essere disapplicate, nel caso in cui vengano giudicate inique per le parti. Al riguardo si pone, però, l’interrogativo, cui la giurisprudenza non ha ancora dato una soluzione, circa il soggetto cui spetterebbe l’anzidetto potere di valutazione dell’opportunità di applicare la clausola in relazione agli interessi e alla posizione delle parti.


1Cfr. F. Gambino, Problemi del rinegoziare, Giuffrè, Milano, 2004. F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., pag. 343 ss. A. Gentili, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contratto e impresa, 2003, n°2. V. Cesàro, Clausole di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, Napoli 2000. A. Frignani, Hardship clause, in Digesto sez. comm. VI, 1991. A. Gentili, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contratto e impresa, 2003, n°2. F. P. Traisci, Sopravvenienze contrattuali e Rinegoziazione nei sistemi di civil e di common law, Napoli 2003. G. Sicchiero, La rinegoziazione, in Contratto e impresa, 2002. M. J. Bonell La revisione dei contratti ad opera di terzi: una nuova forma diarbitrato’, in Riv. Dir. Comm., 1978, pag. 315 ss. P. Schlesinger, Poteri unilaterali di modificazione del rapporto contrattuale, in Giurisprudenza commentata, 1992.F. Criscuolo, Equità e buona fede come fonti di integrazione del contratto, in Rivista dell’arbitrato, 1999.

2 F. Macario, op. cit., pag. 343 ss. Cfr. A. Gentili, op. cit. , pag. 719 ss.

3 F. Gambino, op. cit., pag. 90 ss.

4 V. Cesàro, op. cit., pag. 243 ss.

5 F. Gambino, op. cit., pag. 23 ss e pag. 120 ss

6 M. Orlandi in F. Gambino, op. cit., pag. 71

7 A. Frignani, op. cit., pag. 463.

8 V. Cesàro, op. cit., pag 25.

9 F. Gambino, op. cit. pag. 64 ss e pag. 179 ss.

10 A. Gentili, op. cit.

11 F. P. Traisci, op. cit., pag. 283. Cfr. J. Chazal, De la signification du mot loi dans l’article 1134 alinéa 1 du code civil, in Revue Trimestrielle du Droit Civil, 2001, pag. 265 ss.

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Dott.ssa Adele Maria Cristina Uda

Laureata con il massimo dei voti, dottorato di ricerca in diritto dei contratti, cultrice di materia presso la cattedra di diritto privato, diritto civile e diritto delle obbligazioni presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli studi di Cagliari, avvocato, mediatore civile e commerciale, autrice di diverse pubblicazioni, tra la quali si menzionano Volume “Profili civilistici e modelli contrattuali del leasing d’azienda”, in Quaderni della Rassegna di Diritto Civile, diretta da Perlingieri, ESI Editore, Gennaio 2014; “Sul contratto di leasing”, Independently published, Amazon Media EU S.à r.l., 17 agosto 2020, ISBN-13 :979-8676133016 (e-book e cartaceo); “ Uno sguardo alla sopravvenienza contrattuale tra clausole di Hardship e pesi dal titolo profili di diritto italiano e comparato”, Independently published, Amazon Media EU S.à r.l., 8 novembre 2017, ISBN-10 1973216582, ISBN-13: 978-1973216582 (e-book e cartaceo); Saggio “La revisione del contratto in ambito europeo”, in Rivista Giuridica Sarda, Parte II varietà giuridiche, 2-2010.

Articoli inerenti