Il contratto preliminare

Il contratto preliminare

La legge omette di definire cosa debba intendersi per “contratto preliminare”, limitandosi a disciplinarne alcuni tratti essenziali, quali la forma e la trascrizione, nonché gli effetti della sentenza costitutiva.

Si definisce tale, in particolare, l’accordo con il quale una o entrambi le parti assumono l’obbligo di concludere un futuro contratto, delineandone gli elementi essenziali.

A seconda che l’obbligo sia imposto ad una o ad entrambe le parti, si suole distinguere tra preliminare unilaterale e preliminare bilaterale.

Il contratto preliminare figura pertanto tra i negozi preparatori, ossia quei negozi conclusi dalle parti nel corso delle trattative contrattuali.

Sulla base della teoria c.d. del doppio contratto, si ritiene che il preliminare si configuri come una promessa di consensi e al tempo stesso come una promessa della prestazione.

La principale funzione dell’istituto è certamente il controllo delle sopravvenienze, permettendo alle parti di subordinare la conclusione dell’accordo definitivo al verificarsi di determinate circostanze.

D’altra parte, il preliminare assume anche una funzione cautelativa, garantendo ai contraenti uno specifico mezzo di tutela nel caso in cui l’altra parte venga meno agli obblighi assunti.

Con il preliminare, infine, le parti possono determinare integralmente il contenuto dell’intesa, lasciando al definitivo la definizione degli aspetti meramente secondari.

Secondo una prima impostazione, il definitivo assurge a negozio giuridico distinto ed autonomo rispetto al preliminare, con il quale forma un vero e proprio collegamento negoziale.

Di contrario avviso è invece un’altra interpretazione, secondo la quale il definitivo sarebbe in realtà un atto di adempimento dovuto, e non un autonomo negozio giuridico, in quanto posto in essere in esecuzione di un obbligo assunto dalle parti con l’intesa preliminare e non frutto della libera volontà di queste.

Secondo questa impostazione, dunque, gli effetti giuridici del rapporto costituito dalle parti discenderebbero interamente dal preliminare.

Tale opinione non sembra tuttavia del tutto condivisibile, in quanto il definitivo non sempre può essere considerato come un mero atto di adempimento, potendo con esso essere determinati aspetti essenziali del rapporto non preventivamente individuati nel preliminare.

D’altronde, si osserva, il consenso al definitivo è comunque necessario per il controllo delle sopravvenienze, ed è dunque facoltà delle parti rifiutarlo nel caso in cui non si sia verificato quanto presupposto nel preliminare.

La giurisprudenza, dal canto suo, ha più volte affermato che è il contratto definitivo a costituire l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando solo l’obbligo della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare.

Sulla base di tali considerazioni emerge la necessità di procedere ad una valutazione specifica, che tenga conto delle circostanze del caso concreto, considerando il ruolo che il definitivo assume nell’ambito dell’intera operazione, ovvero verificando se esso possa essere considerato effettivamente come un mero atto esecutivo di quanto convenuto nel preliminare o se, al contrario, le parti si siano invece riservate una certa libertà di contrattazione in ordine al suo contenuto.

In linea di massima, si ritiene che qualsiasi tipo di contratto, sia esso ad effetti meramente obbligatori o anche reali, possa essere concluso attraverso la combinazione preliminare/definitivo.

Il problema, piuttosto, si pone con riferimento a quei negozi assoggettati dalla legge a particolari modalità di perfezionamento, come i contratti reali, le quali sembrano risultare incompatibili con la struttura obbligatoria del preliminare.

La tesi positiva sottolinea la valenza generale dell’istituto, nonché l’utilità che il preliminare assumerebbe con riferimento ad un negozio reale, consentendo alle parti di pervenire alla conclusione dell’accordo senza la consegna della cosa.

Si fa leva inoltre sull’art. 1822 c.c., il quale disciplinerebbe proprio un preliminare di mutuo, negozio avente carattere reale.

La tesi negativa, per contro, si fonda su di una serie di argomentazioni: anzitutto, si osserva, ammettendo un preliminare di contratto reale si frusterebbe la natura di tali negozi, nei quali la consegna della cosa segna il momento di perfezionamento dell’accordo.

In secondo luogo, si contesta il fatto che l’art. 1822 c.c. disciplini effettivamente un preliminare di mutuo, stante l’assoluta libertà del mutuatario di liberarsi dall’impegno e del mutuante di svincolarsi dall’accordo nel caso in cui siano variate le condizioni economiche del mutuatario.

La fattispecie prevista da tale norma, pertanto, potrebbe al massimo intendersi come un preliminare unilaterale ma atipico, vista anche la possibilità del mutuante di non ottemperare alla promessa.

Con riguardo all’individuazione dell’ambito di operatività del preliminare, altre questioni problematiche sorgono con riferimento al preliminare di donazione: lo spirito di liberalità che caratterizza tale negozio, e che ne costituisce la causa, potrebbe infatti ritenersi escluso in ragione dell’assunzione da parte del donante dell’obbligo di provvedere alla liberalità.

Diversamente si evidenzia come lo spirito di liberalità sia in realtà presente nel preliminare, con il quale il donante si impegna a fare la donazione; d’altronde, è la stessa legge ad ammettere la donazione obbligatoria ai sensi dell’art. 769 c.c., la cui norma, inoltre, non impone la spontaneità dell’atto, potendo lo spirito di liberalità sussistere anche in un momento antecedente.

Certamente ammissibile deve invece ritenersi il preliminare di cosa altrui, in considerazione dell’ormai riconosciuta applicabilità del preliminare anche ai negozi aventi efficacia meramente obbligatoria, come appunto la vendita di cosa altrui.

La fattispecie, d’altra parte, avrebbe anche un’utilità ulteriore rispetto al modello di cui all’art. 1491 c.c., obbligando il venditore ad acquistare la cosa dal terzo solo a seguito della stipula del definitivo.

Di recente, la giurisprudenza ha inoltre considerato potenzialmente ammissibile anche il preliminare di preliminare, ritenendo che la fattispecie non sia necessariamente priva di causa, dovendo infatti verificare in ogni singolo caso l’interesse delle parti a pervenire alla sua stipulazione.

Come previsto dall’art. 1351 c.c., il preliminare deve essere stipulato nella stessa forma che la legge prevede per il definitivo.

Ci si chiede, tuttavia, se la prescrizione valga anche nell’eventualità in cui la forma del definitivo sia imposta “ad probationem”, ovvero per la prova dell’atto e non per la sua validità.

La tesi positiva si fonda sulla lettera della legge, la quale non distingue tra le due diverse tipologie di forma.

Ragionando diversamente, inoltre, si finirebbe per eludere l’obbligo di provare per iscritto il definitivo, in quanto provando l’esistenza del preliminare si raggiungerebbe un risultato identico a quello ottenibile con la prova del definitivo.

Altri dubbi sussistono in ordine alla forma convenzionale: secondo alcuni essa non può essere riferita anche al preliminare in considerazione del fatto che l’art. 1351 c.c. parla esclusivamente di forme legali; in secondo luogo si evidenzia la natura autonoma del preliminare, al quale non può estendersi il vincolo di forma concordato dalle parti per il definitivo.

Tanto premesso, la legge omette di definire i rapporti sussistenti tra i due negozi e, in particolare, di disciplinare le ipotesi nelle quali i vizi del preliminare possono estendersi al definitivo.

Per quanto riguarda la nullità, si ritiene in linea di massima che l’illiceità del preliminare determini quella del definitivo.

Non altrettanto può invece sostenersi con riferimento alle altre cause di nullità del contratto, come per esempio quelle testuali o strutturali, le quali possono rimanere circoscritte al preliminare e non estendersi al definitivo.

Al contrario, nel caso in cui sia nullo il definitivo non può certamente condividersi quell’orientamento dottrinale che riteneva decaduto anche il vincolo preparatorio, dovendo invece ammettersi in capo alle parti l’obbligo di stipularne un altro, proprio in ragione della permanenza del vincolo assunto con il preliminare.

Quanto ai vizi di annullabilità, per contro, si ritiene sostanzialmente che i vizi del preliminare si riflettano sul definitivo, salvo che le parti, venute a conoscenza del vizio, non abbiano deciso di stipulare comunque il definitivo, provvedendo così alla convalida del preliminare.

Viceversa, come nel caso della nullità, i vizi di annullabilità del definitivo non si estendono al preliminare, rimanendo in esso circoscritti.

D’altra parte, secondo parte della dottrina il definitivo, quale atto di adempimento dovuto, non sarebbe impugnabile per incapacità, trovando applicazione l’art. 1191 c.c.. Del resto, si osserva, qualora la parte sia inadempiente, l’altra può ottenere la sentenza costitutiva indipendentemente dalla capacità del soggetto contro cui viene emanata la sentenza.

Quanto alla rescissione, invece, ci si è chiesti se si debba impugnare solo il definitivo o anche il preliminare.

Alcuni autori sostengono l’impugnabilità del solo definitivo, in quanto è in tale momento che si verifica la lesione, la quale, d’altronde, può anche venir meno nel tempo intercorrente tra l’intesa preliminare e la stipula del definitivo.

Tale soluzione, si osserva, presenta tuttavia un inconveniente nel caso in cui alla stipula del preliminare non segua quella del definitivo, ma l’emanazione della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., la quale precluderebbe al danneggiato l’esercizio dell’azione.

Difficilmente accoglibile è anche l’opinione di chi ritiene impugnabile il solo preliminare, posto che all’altro contraente, per evitare la rescissione, basterebbe procrastinare la stipula del definitivo oltre il termine di prescrizione dell’azione di rescissione.

L’interpretazione preferibile, pertanto, sembra essere quella che ammette la possibilità di impugnare entrambi i contratti.

Tanto premesso, in caso di inadempimento di una delle parti, all’altra è concesso scegliere se chiedere la risoluzione del contratto oppure agire per il suo adempimento, salvo in ogni caso il risarcimento del danno.

Ai sensi dell’art. 2932 c.c., infatti, se colui il quale è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.

Tale pronuncia, in ogni caso, può essere emessa solo se nel preliminare siano stati già specificati tutti gli elementi essenziali dell’accordo e a condizione che la parte che l’ha richiesta abbia eseguito la propria prestazione o ne abbia fatto offerta.

Si discute se la sentenza vada a sostituirsi al preliminare o se, al contrario, rimanga esso la fonte degli obblighi tra le parti: se si accoglie la prima concezione, è chiaro che dovrebbe essere esclusa l’applicazione dei rimedi tipicamente contrattuali, la quale sarebbe invece consentita qualora si ritenesse che sia il preliminare a conservare la natura di fonte del rapporto.

Il rimedio di cui all’art. 2932 c.c. non è tuttavia applicabile a tutti i contratti: si pensi infatti agli obblighi di fare, in relazione ai quali è evidente come la parte possa risultare inadempiente anche alla pronuncia giudiziale; in tali ipotesi, dunque, sarebbe certamente più utile agire direttamente per la risoluzione del contratto.

Si pensi, d’altronde, all’ipotesi in cui il bene oggetto del preliminare sia perito, alienato o danneggiato.

In quest’ultimo caso, però, l’orientamento prevalente ammette la possibilità per il giudice di modificare con la sentenza il contenuto del preliminare, facendo luogo per esempio ad una riduzione del prezzo di vendita del bene viziato.

L’art. 2645 bis assoggetta a trascrizione tutti i preliminari che comportano l’obbligo di costituire, trasferire, o modificare un diritto reale su bene immobile ovvero quelli che vincolano a costituire in comunione uno di tali diritti.

La trascrizione del preliminare consente alla parte, ed in particolare al promissario acquirente, di essere preferito alle trascrizioni o iscrizioni effettuate contro il promittente venditore successivamente ad essa.

Tale trascrizione, tuttavia, non ha valenza di autonoma pubblicità immobiliare: ai fini dell’effetto prenotativo, infatti, è necessaria la successiva trascrizione del definitivo ovvero quella della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c.

Affinché si verifichi l’effetto prenotativo della trascrizione del preliminare è in ogni caso necessaria la totale corrispondenza, oggettiva e soggettiva, tra il contenuto del preliminare e quello del definitivo.

Dal punto di vista oggettivo, sulla base di quanto previsto dall’art. 2645 bis, comma 5, c.c. in tema di immobili da costruire – secondo il quale l’effetto prenotativo della trascrizione permane quando la misurazione dell’edificio costruito sia contenuto nei limiti di un ventesimo rispetto a quella indicata nel preliminare – la giurisprudenza è giunta a ritenere che tale effetto rimanga inalterato solo in caso di riduzione quantitativa dell’oggetto del contratto rispetto a quanto pattuito nel preliminare, mentre dovrebbe invece venir meno nel caso in cui si riscontri una discordanza in aumento ovvero una divergenza qualitativa.

Sotto il profilo soggettivo, invece, molteplici sono le situazioni che possono verificarsi nella pratica.

In caso di preliminare a favore di terzo, in particolare, l’effetto prenotativo deve essere escluso nell’eventualità in cui dal preliminare derivi in capo al terzo il diritto di concludere il definitivo e non si assista, pertanto, alla completa dentità soggettiva tra i due negozi.

Con riferimento al preliminare per persona da nominare, invece, affinché possa operare tale effetto è necessaria la menzione, nel contratto regolarmente trascritto, della riserva di nomina e la successiva trascrizione della relativa dichiarazione.

Per quanto riguarda il preliminare di beni in comunione, è necessario che al definitivo partecipino tutti coloro i quali hanno raggiunto l’intesa preliminare; diversamente, infatti, la mancanza di volontà delle parti farebbe venir meno, oltre all’effetto prenotativo, l’intera operazione.

Nel caso di preliminare avente ad oggetto un bene in comunione legale, invece, la tutela del coniuge pretermesso si attua con l’azione di annullamento ed entrambi i coniugi, secondo la giurisprudenza, sono litisconsorti necessari del giudizio instaurato dal promissario acquirente ex art. 2932 c.c.

Quanto al preliminare di cosa altrui, come detto ritenuto pienamente ammissibile, la giurisprudenza ha riconosciuto l’effetto prenotativo in due ipotesi, ovvero quando il promittente ha acquistato la cosa prima della stipula del definitivo, o nel caso del c.d. preliminare a catena, riscontrabile quando il promittente alienante abbia in precedenza stipulato un preliminare di vendita con il proprietario del bene, assumendo nei suoi confronti la posizione di promissario acquirente. In tale evenienza, infatti, il promissario acquirente del secondo preliminare può agire in surrogatoria nei confronti dell’effettivo proprietario del bene, sostituendosi al promittente alienante in caso di persistente inerzia ad agire iure proprio.

L’operatività dell’effetto prenotativo è comunque subordinata alla necessità che la trascrizione del definitivo, o quella della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c., avvenga entro tre anni dalla trascrizione del preliminare,

Come affermato dalle sezioni unite, alla trascrizione di tale domanda va attribuita la stessa efficacia che l’ordinamento riconosce alla trascrizione del preliminare: analogamente a quanto avviene nella sequenza preliminare/definitivo, in particolare, gli effetti della trascrizione della sentenza di accoglimento retroagiscono alla data della trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c., rendendo inefficaci, nei confronti dell’attore, le trascrizioni o iscrizioni effettuate contro il promittente convenuto.

Ai sensi dell’art. 2775 bis c.c., inoltre, per i crediti derivanti dal preliminare inadempiuto è riconosciuto, a favore del promissario acquirente, un privilegio speciale sul bene oggetto del preliminare, a condizione che gli effetti della trascrizione siano ancora in atto nel momento in cui si verificano gli eventi che sono causa del credito.

L’ultimo comma di tale disposizione, tuttavia, afferma che tale privilegio non è opponibile ai creditori garantiti da ipoteca relativa a mutui erogati al promissario acquirente per l’acquisto dell’immobile, nonché ai creditori garantiti da ipoteca ai sensi dell’art. 2825 bis c.c.

Secondo quanto sancito da tale norma, in particolare, l’ipoteca iscritta su edificio o complesso condominiale, anche da costruire o in corso di costruzione, a garanzia di finanziamento dell’intervento edilizio ai sensi degli artt. 38 e seguenti d.lgs. n. 385/93, prevale sulla trascrizione anteriore dei contratti preliminari limitatamente alla quota di debito che il promissario acquirente si sia accollata con il contratto preliminare o con altro atto successivo.

Sulla base del principio di priorità della trascrizione di cui all’art. 2644 c.c., dunque, il privilegio speciale indicato prevarrebbe sulle ipoteche iscritte successivamente, fatta eccezione per quelle previste dalla norma, mentre in virtù del principio di prevalenza dei privilegi sulle ipoteche di cui all’art. 2748 c.c., lo stesso dovrebbe prevalere, sempre ad esclusione delle ipotesi indicate, sulle ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione del preliminare.

Tale conclusione non è tuttavia condivisa dalla giurisprudenza, secondo la quale cosi ragionando si finirebbe per consentire un’ingiustificata disparità di trattamento a seconda che il preliminare sia rimasto o meno inadempiuto.

Si osserva, infatti, che nel caso in ci si pervenga alla stipulazione del definitivo, le ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione del preliminare sarebbero opponibili al promissario acquirente in ossequio al principio di cui all’art. 2644 c.c., mentre nell’eventualità in cui fosse rimasto ineseguito l’obbligo di contrarre, tali ipoteche diverrebbero invece inopponibili all’acquirente in virtù della prevalenza del privilegio speciale nascente dalla trascrizione del preliminare.

Ciò, sottolineano le sezioni unite, indurrebbe le parti a comportamenti fraudolenti finalizzati a sottrarre il bene ai creditori garantiti da ipoteca anteriore, ovvero a simulare un contratto preliminare di compravendita, accordandosi poi in ordine alla mancata stipula del definitivo.

Sulla base di tale considerazione, dunque, le sezioni unite ritengono che il principio della prevalenza dei privilegi sulle ipoteche, di cui all’art. 2748, comma 2, c.c., non si applichi al privilegio speciale di cui all’art. 2775 bis c.c., con conseguente prevalenza sul privilegio, in virtù del principio di priorità della trascrizione, delle ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione del preliminare.

Da ultimo, avendo il preliminare effetti meramente obbligatori, la giurisprudenza ha ritenuto che ad esso non si applichi l’art. 29, comma 1 bis, l. n. 52/85: tanto le dichiarazioni relative alla conformità edilizia ed urbanistica del bene quanto quelle inerenti alla coerenza catastale, osserva la S.C., devono infatti essere necessariamente contenute solo nei contratti di trasferimento immobiliare, vale a dire negli atti produttivi di effetti reali, e non in quelli aventi efficacia meramente obbligatoria, come appunto il preliminare.

Il preliminare, pertanto, anche in assenza della documentazione e delle dichiarazioni in materia urbanistico/catastale, non potrà considerarsi nullo, non essendo ad esso applicabile il relativo obbligo di indicazione di cui all’art. 29 citato.

Detto questo, ci si chiede, tuttavia, se siffatta conclusione possa valere anche nell’ipotesi in cui al preliminare non segua la stipulazione del definitivo e la parte interessata agisca al fine di ottenere l’esecuzione in forma specifica di cui all’art. 2932 c.c., posto che in tale ipotesi si assiste all’emanazione, sulla base del negozio preliminare, di una sentenza avente efficacia costitutiva di effetti traslativi.

A tal proposito, la giurisprudenza ha ritenuto che la sentenza di trasferimento coattivo non può essere emanata in assenza della dichiarazione, contenuta nel preliminare o successivamente prodotta in giudizio, degli estremi del titolo edilizio, il quale costituisce requisito richiesto a pena di nullità del contratto traslativo dall’art. 17 l. n. 47/85 (ora sostituito dall’art. 46 d.p.r. n. 380/01) e dall’art. 40 della stessa l. n. 47.

L’indicazione del titolo abilitativo, dunque, integra una condizione necessaria per l’esercizio dell’azione di cui all’art. 2932 c.c., e non un presupposto della domanda: la produzione di tale dichiarazione, infatti, può anche avvenire in corso di causa, purché prima della relativa decisione, ed è sottratta alle normali preclusioni processuali previste in materia di attività assertiva e probatoria  delle parti.

Per coerenza logica, pertanto, si deve ritenere che il medesimo criterio, sancito con riferimento alle menzioni edilizio/urbanistiche, si applichi anche a quelle catastali.

Ne deriva, dunque, che la presenza delle c.d. menzioni catastali, ossia l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, deve considerarsi, al pari della presenza delle menzioni edilizie ed urbanistiche, condizione dell’azione di adempimento in forma specifica dell’obbligo di contrarre, cosicché essa deve sussistere al momento della decisione.

Secondo quanto ritenuto dalla S.C., in particolare, il mancato riscontro, da parte del giudice investito della domanda di esecuzione ex art. 2932 c.c., della sussistenza di tali menzioni, costituisce un errore in giudicando censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., e non un vizio di forma produttivo della nullità della sentenza.

Ne deriva, di conseguenza, che gli effetti di tale errore non possono che esaurirsi all’interno del processo, mentre non precludono l’idoneità della sentenza ad essere trascritta nei registri immobiliari.

Come ritenuto dalle sezioni unite, d’altronde, nel caso in cui il promittente alienante, resosi inadempiente, si rifiuti di produrre i documenti attestanti la regolarità urbanistica ed edilizia dell’immobile, ovvero di rendere la dichiarazione di conformità, la produzione degli stessi e la relativa dichiarazione deve essere consentita al promissario, in modo da permettergli di ottenere la sentenza ex art. 2932 c.c.


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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo. L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile. Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale. Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori. Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.

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