Il corteggiatore insistente non ricambiato configura il reato di stalking?

Il corteggiatore insistente non ricambiato configura il reato di stalking?

La sentenza n. 26529 del 12 luglio 2021 della Quinta Sezione della Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che integra il reato di stalking il corteggiamento insistente, molesto e non gradito dalla persona offesa che le provoca ansia, paura e disagio.

Nel caso di specie, un uomo poneva in essere nei confronti di una donna un corteggiamento insistente attraverso ripetute telefonate, l’invio di messaggi, pedinamenti, l’invio di doni non graditi con l’obbligo di doverli accettare, le visite improvvise sul posto di lavoro e le dichiarazioni a terzi del progetto di vita che solo l’uomo aveva progettato, senza consultare la donna desiderata. Tali condotte hanno ingenerato nella vittima uno stato persistente di ansia, paura che l’hanno costretta a cambiare le proprie abitudini di vita e lavorative.

L’art. 612-bis c.p., al comma 1, punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

Lo stalking consiste, quindi, in condotte persecutorie ripetute che incidono sulle abitudini di vita della vittima o generano un grave stato di ansia o di paura.

Il reato di atti persecutori tutela innanzitutto la libertà morale, intesa quale facoltà dell’individuo di autodeterminarsi.

Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 612-bis c.p., è necessaria la reiterazione delle condotte persecutorie, idonee, alternativamente, a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura, a ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero a costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita.

Ai fini della configurabilità del reato di stalking è sufficiente il dolo generico, consistente nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia descritte nella norma con la consapevolezza della loro idoneità a produrre taluno degli eventi descritti nella stessa.

La reiterazione delle condotte, tuttavia, non è sufficiente da sola all’integrazione del reato, occorrendo che le medesime siano idonee a cagionare uno dei tre eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, in base ad una valutazione di idoneità condotta in concreto dal giudice, sulla base della dimostrazione del nesso causale tra la condotta posta in essere dall’agente e i turbamenti derivati alla vita privata della vittima.

Secondo la giurisprudenza, infatti, si tratta di un reato abituale di evento, a struttura causale e non di mera condotta che si caratterizza per la produzione di un evento di danno consistente nell’alterazione delle abitudini di vita, in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, di un fondato timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto o di una persona alla quale il soggetto è legato da relazione affettiva, per la cui sussistenza è sufficiente il verificarsi di uno degli eventi previsti. [1]

In relazione al perdurante e grave stato di ansia o di paura sofferto dalla persona offesa, l’orientamento della giurisprudenza ritiene che non è necessario l’accertamento di uno stato patologico, essendo sufficiente che gli atti persecutori abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, considerato che il reato di stalking non costituisce una duplicazione del reato di lesioni, il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica. [2]

Con riferimento al regime di procedibilità, il delitto di regola è punito a querela della persona offesa. Il termine per proporre querela è di sei mesi e inizia a decorrere dalla consumazione del reato, che coincide con l’evento di danno, consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante stato di ansia o di paura, ovvero con l’evento di pericolo consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto. La querela è irrevocabile se il fatto è commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui al secondo comma dell’art. 612 c.p. (ovvero minacce gravi commesse con armi o scritti anonimi, in modo simbolico, da persone travisate o da più persone riunite, ecc.). Tale reato, invece, è procedibile d’ufficio nelle ipotesi delle aggravanti di cui al terzo comma e in particolare nei confronti di un minore o di persona con disabilità ex art. 3 l. n.104/1992, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si procede d’ufficio.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che integra il reato di atti persecutori (stalking) il corteggiamento insistente e molesto finalizzato ad avere contatti con la vittima, nonostante il suo chiaro rifiuto. In questo modo non solo si finisce per ingenerare nella vittima ansia e paura, ma attraverso l’intromissione continua e non gradita nella sua sfera privata si pregiudica la sua libertà. [3]

Nel caso di specie, l’uomo poneva in essere avvicinamenti reiterati in danno della donna con messaggi, telefonate, visite a sorpresa sul posto di lavoro. Tutte condotte che per durata e insistenza sono capaci di creare sentimenti d’imbarazzo, mortificazione e disagio, che nella persona offesa sono sfociati in un vero e proprio stato di ansia, anche perché protratti per due anni consecutivi e mai tollerati.

La donna ha, infatti, sempre manifestato di non gradire il corteggiamento dell’imputato e di non condividere affatto i programmi di vita insieme unilateralmente ideati dall’uomo.

La reiterazione dei comportamenti molesti dell’uomo sono finalizzati alla produzione dell’evento finale, in grado di provocare nella donna un accumulo di disagio che si è tradotto in ansia, paura e cambiamento delle abitudini di vita.

Si è verificata, infatti, l’alterazione delle abitudini di vita della donna, intese come un complesso di comportamenti che una persona solitamente mantiene nell’ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretta a mutare a seguito dell’intrusione rappresentata dall’attività persecutoria.

La volontà persecutoria, nel caso in esame, è stata ben evidenziata perché l’uomo dopo un chiaro rifiuto della donna e l’intervento di terzi finalizzato a farlo desistere, ha perseverato, dimostrando in questo modo di accettare il verificarsi dell’evento.

In conclusione, è possibile affermare che integra il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, a ciò manifestamente contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà.


[1] Cass., sez. V, 23 aprile 2015, n. 17082
[2] Cass., sez. V, 10 gennaio 2011, n. 16864
[3] Cass., sez. V, 12 luglio 2021, n. 26529

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