Il crocefisso nella Scuola pubblica è ancora una questione di difesa dei diritti?

Il crocefisso nella Scuola pubblica è ancora una questione di difesa dei diritti?

Brevi considerazioni a margine della Ordinanza n. 19618/21 della Cassazione

Sommario: 1. Premessa e fatto – 2. Argomentazioni giuridiche alla base del ricorso – 3. Considerazioni conclusive

1. Premessa e fatto

Malgrado le pronunce della Cassazione, intervenute negli ultimi decenni, sulla opportunità o meno della presenza del Crocefisso nelle aule scolastiche italiane e l’intervento della Grande Chambre della CEDU 1 , tale questione è ancora una volta sottoposta al giudice italiano di legittimità. Se è pur vero che la nuova questio presenta degli aspetti nuovi e originali rispetto a quelle esaminate in passato questa volta la richiesta di rimozione del segno religioso proviene da un docente e non da un alunno o da una famiglia, è altrettanto vero che le motivazioni addotte risultano fragili e prive di fondamento.

La vicenda vede come protagonista FC, docente di ruolo in materie letterarie, il quale, invocando la libertà di insegnamento e di coscienza in materia religiosa, rimuoveva sistematicamente il Crocefisso presente nell’aula in cui si trovava per il tempo necessario allo svolgimento della lezione, rimettendolo poi al suo posto al momento di andarsene.

Con ordinanza n. 19618 del 18 settembre 2020 una sezione della Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione di un ricorso contro la Sentenza della Corte di Appello di Perugia chiarendo che ciò avveniva in contrasto con la delibera dell’assemblea degli studenti che, sollecitati ad un loro parere dal Dirigente scolastico, si erano espressi nel senso che il Crocefisso dovesse rimanere sempre nelle aule durante lo svolgimento delle lezioni.

Il Dirigente scolastico chiamato a dirimere la questione, fatta propria la decisione degli studenti, tramite un ordine di servizio aveva quindi imposto a tutto il corpo docente di attenersi al deliberato della assemblea; in conseguenza di ciò condotta di FC, non rispettosa del comando, era stata censurata dall’Ufficio scolastico provinciale il quale, il 16 febbraio 2009, aveva inflitto al docente una sanzione disciplinare della sospensione dall’insegnamento per trenta giorni poiché questo “invocando la libertà di insegnamento e di coscienza in materia religiosa, aveva sistematicamente rimosso il simbolo (il crocefisso) prima di iniziare la lezione, ricollocandolo al suo posto solo al termine della stessa, ed aveva anche profferito frasi ingiuriose nei confronti del dirigente, che pretendeva il rispetto delle disposizioni impartite in conformità al deliberato dell’assemblea di classe ”.

La Corte di Appello di Perugia aveva respinto il gravame proposto da FC in base alle seguenti considerazioni:

1. “doveva escludersi il carattere discriminatorio della condotta del Dirigente scolastico in quanto l’ordine di servizio licenziato dal medesimo era rivolto all’intero corpo docente e non solo al FC ”;

2. “l’esposizione del Crocefisso non è lesiva di diritti inviolabili della persona né è, di per sé sola, fonte di discriminazione tra individui di fede cristiana e soggetti appartenenti ad altre confessioni religiose”. La Corte territoriale, sul punto, richiama la motivazione della Sentenza CEDU per sostenere che “il simbolo è essenzialmente passivo e la sua esposizione nel luogo di lavoro, così come è stata ritenuta non idonea ad influenzare la psiche degli allievi, a maggior ragione non è sufficiente a condizionare e comprimere la libertà di soggetti adulti e ad ostacolare l’esercizio della funzione docente”2;

3. Il Dirigente scolastico, inoltre, aveva imposto agli insegnanti solamente di tollerare l’affissione del Crocefisso nell’aula; la sua volontà non consisteva nel prestare ossequio ai valori della religione cristiana o di sollecitare la partecipazione a cerimonie con funzioni di carattere religioso, sicché il comportamento del ricorrente non era giustificato dalla percezione soggettiva di una violazione di diritti di libertà.

Avverso la decisione FC, non quieto, ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione del principio costituzionale di laicità dello Stato, oltre che delle norme di legge che assicurano il diritto alla libertà negativa di religione e alla libertà di coscienza dell’insegnante e del plesso normativo che tutela il lavoratore da condotte discriminatorie del datore di lavoro.

A parere del Collegio il ricorso prospetta questioni di massima importanza “innanzitutto perché sollecita una pronuncia sul bilanciamento, in ambito scolastico, fra le libertà ed i diritti tutelati rispettivamente dal D.Lgs n. 297 del 1994, artt. 12 e 2 che, garantendo, da un lato, la libertà di insegnamento, intesa come autonomia didattica e libera espressione culturale del docente (art. 1) e, dall’altro, “il rispetto della coscienza civile e morale degli alunni” (art. 2), portano ad interrogarsi sui modi di risoluzione di un eventuale conflitto e sulla possibilità di far prevalere l’una o l’altra libertà nei casi in cui le stesse si pongano in contrasto fra loro”.

La Corte, d’altro canto, è cosciente che “vengono inoltre in rilievo temi più generali perché, come si è evidenziato nello storico di lite, la vicenda è stata innescata dalla richiesta, formulata dagli alunni, di ostensione in un aula scolastica di un Crocefisso, e, pertanto, la risposta da dare all’interrogativo di cui al punto che prevede deve necessariamente tener conto delle diverse posizioni espresse da questa Corte, dalla giurisprudenza amministrativa, dal Giudice delle Leggi, dalle Corti Europee in relazione al significato del simbolo, al principio di laicità dello Stato, alla tutela della libertà religiosa, al carattere discriminatorio di atti o comportamenti del datore di lavoro che, in ragione al credo, pongano un lavoratore in posizione di svantaggio rispetto agli altri”.

2. Argomentazioni giuridiche alla base del ricorso

Il ricorrente lamenta la violazione, ex art. 33, primo comma della Costituzione e della sua libertà di insegnamento ma, ad una analisi serena ed obiettiva, la presunta lesione non appare in nessuna connessione logica con l’esposizione del Crocefisso in una aula scolastica.

A tutto il corpo docente, grazie al D. Lgs. 297/1994, art 1 “è garantita la libertà di insegnamento come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente. L’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni”.

La presenza nell’aula di un Crocefisso quindi non incide e non condiziona, né potrà mai farlo l’esercizio di tale libertà, che è al contempo un dovere professionale da esercitare nel “rispetto della coscienza morale e civile degli alunni”, e adempimento ad una funzione pubblica “diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni3 .

La condotta di FC di rimuovere il Crocefisso anche dopo il parere contrario degli studenti e il richiamo del Dirigente scolastico quindi non concretizza l’approccio dialogante e rispettoso della coscienza ma pone in essere un atto di imposizione, se non sopraffazione, aggravato dalla posizione di autorità e dal timore riverenziale nei confronti degli alunni e delle loro famiglie.

Il ricorrente lamenta la violazione della sua libertà di coscienza e di religione lesa dalla esposizione del Crocefisso nella aula ma la Giurisprudenza e la Dottrina sono ormai pacifiche sul carattere passivo4 dello stesso Crocefisso e se ciò è valido per la coscienza dei giovani, vulnerabili e indifesi, a maggior ragione varrà per la coscienza degli adulti già formati e convinti delle loro idee contrarie; una simile pretesa poi non prende in considerazione il rapporto totalmente asimmetrico che sussiste nella scuola dell’obbligo tra il personale docente e discente, rapporto nel quale la parte debole ovvero gli studenti debbono sempre essere difesi da ogni forma di pressione o indottrinamento indebita da parte degli adulti incaricati alla loro formazione e istruzione.

Tutta la giurisprudenza CEDU sul divieto dei simboli religiosi trova il suo fondamento nel particolare stato di soggezione e di vulnerabilità in cui si trovano gli studenti nei confronti del personale docente il quale è tenuto “a un severo obbligo di discrezione e self – restraint sul piano religioso nel suo complessivo rapportarsi agli alunni per evitare indebiti condizionamenti sulla loro libertà di coscienza e di religione e delle rispettive famiglie, facendo leva sulla sua posizione di potere e di superiorità nei confronti dell’alunno5. Diversa è la situazione nella scuola italiana dove “il docente non è tenuto a un simile obbligo di discrezione. Egli può esprimere e manifestare le proprie convinzioni in materia religiosa anche nell’esercizio delle sue funzioni, tra l’altro indossando un abito religioso (sacerdote o suora) o un simbolo religioso di natura personale durante le lezioni. Altrettanto possono fare gli studenti ai quali non è vietato indossare un velo o una kippà6.

Alla luce di ciò sembra surreale la pretesa del ricorrente di voler rimuovere il Crocefisso appeso alla parete.

La scuola pubblica italiana, come è noto, si fonda su di un modello pluralista fondato “sul confronto aperto di posizioni culturali7 e il docente è tenuto ad adottare un atteggiamento di disponibilità e tolleranza nei confronti delle posizioni culturali ed ideologiche degli alunni a lui affidati. Rimane, naturalmente, nel pieno diritto di manifestare le proprie convinzioni ma non può imporle a nessuno ne tanto meno porre in essere atti che concretizzano una imposizione delle sue idee. Con la rimozione del Crocefisso invece egli ha volutamente imposto una sua personale convinzione aggravando il suo operato poiché sussisteva la espressa volontà contraria degli alunni e delle loro famiglie.

L’asserito significato settario del simbolo religioso nasconde una sgradevole mancanza di conoscenza del docente poiché l’affissione del Crocefisso nelle aule scolastiche della intera Penisola italiana si deve alla laicissima Legge Casati del 18598 e la sua presenza non è, come è noto, imposta da nessuna norma confessionale o concordataria ma riflette fedelmente una tradizione diffusa del suolo italico che risulta essere talmente radicata da sorpassare le barriere confessionali o ideologiche.

Chiarito che nella scuola pubblica italiana viene riconosciuto e accordato al docente la piena libertà di insegnamento e di manifestare i propri convincimenti la pretesa del ricorrente di piegare alle convinzioni personali l’ambiente scolastico nel quale opera contro l’espressa volontà degli alunni appare arbitraria, priva di fondamento e contraria alla educazione alla tolleranza che deve ispirare la scuola pubblica stessa.

L’atto materiale poi di rimozione del crocefisso appare come una angheria rispetto alla volontà dichiarata degli studenti e offensiva del carattere della scuola come luogo aperto al confronto, allo scambio civile delle idee difformi tra loro e alla finalità di poter ottenere coscienze libere e pensanti, critiche e capaci di ragionamenti compiuti; è opportuno tener presente anche che l’ambiente scolastico che si concretizza maggiormente nella aula assegnata, rientra per gli alunni nell’obbligo di frequenza a cui sono assoggettati per legge, mentre per il docente si tratta in un luogo dove esercitare un libero insegnamento, volontariamente scelto e retribuito.

Le posizioni dei docenti e degli alunni non sono quindi per nulla paritarie e non è possibile nel caso di specie poter parlare di bilanciamento dei diritti e della libertà fra tutti se non volendo fuorviare le argomentazioni e i convincimenti.

Il docente attraverso la sua attività, sia nel momento in cui palesa le proprie convinzioni e sia nel modo in cui presenta gli argomenti trattati, esercita una influenza sulla formazione della personalità degli alunni quindi sarà sempre tenuto ad un doveroso e minuzioso rispetto della coscienza dei giovani a lui affidati. Se nella questione della rimozione del Crocefisso, come in altre questioni di pari importanza, esso potesse far valere il suo arbitrio si avrebbe una palese lesione della libertà di coscienza degli studenti in un luogo, invece, che dovrebbe, per sua natura, tutelarla e proteggerla in maniera rafforzata.

Il principio di laicità9 implica, come è noto, equidistanza e imparzialità dello Stato nei confronti del fenomeno religioso sul piano della tutela dei diritti e delle libertà ma non potrà mai avere come conseguenza il disconoscimento dei valori diffusi nella coscienza civile e religiosa dei cittadini tutti, a maggior ragione nella scuola pubblica e sul punto la Corte di Cassazione ha già avuto modo di affermare che “l’attitudine laica dello Stato – comunità risponde non a postulati ideologizzati ed astratti di estraneità, ostilità o confessione dello Stato – persona o dei suoi gruppi dirigenti, rispetto alla religione o ad un particolare credo, ma si pone a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini10.

3. Considerazioni conclusive

“Il crocifisso è divenuto una vera e propria sineddoche giuridica (una parte per il tutto) delle trasformazioni della società italiana. Conflitto multiculturale ed endoculturale nel contempo (tra italiani e stranieri, in particolare di fede musulmana, da un lato, e tra italiani credenti e atei, dall’altro. Una sorta di feticcio, di oggetto di desiderio o di repulsione sul quale concentrare le frustrazioni che spesso l’incontro con l’altro suppone11.

Il Crocefisso è bene ricordare si concretizza in un simbolo essenzialmente passivo che non lede alcun diritto o libertà ma anzi veicola valori importanti quali il rispetto, la sofferenza, l’amore per il prossimo e la solidarietà che nella tradizione italiana si sono sempre identificati con la passione di Cristo.

Perché dunque toglierlo? Perché considerarlo inopportuno? Perché continuare ad accanirsi contro un simbolo che gran parte della popolazione ancora considera e rispetta? Perché vergognarsene?

Assisteremo ad un pronunciamento dei Giudici in suo sfavore che lo bandiranno dalla scuola pubblica italiana per sempre?

Forse ciò che disturba non è proprio il Crocefisso in sé ma ciò che lui rappresenta ovvero, che ancora oggi, a distanza di 2000 anni, è ancora capace di sovvertire e mettere in crisi ogni sistema politico o economico o sociale testardamente volendo sempre mettere al centro il Mistero dell’uomo e del suo dolore.

Forse quello di cui stiamo parlando non è una lesione di diritti ma un accanimento iconoclasta verso la Verità.

 

 

 

 

 

 


1Si veda Sent. CEDU 18 marzo 2011, Ricorso n. 30814/06 Lautsi e altri c. Italia

2Si veda Sentenza CEDU, 18 marzo 2011

3 Art. 1, secondo comma, D. Lgs. n. 297 del 1994.

4“Non contrasta con il diritto dei genitori all’istruzione dei figli secondo le proprie convinzioni religiose e filosofiche l’obbligo di affissione del crocifisso nelle aule scolastiche, in quanto, a dispetto della sua connotazione religiosa, il crocifisso rappresenta un ‘‘simbolo passivo’’, inidoneo di per se´ a configurare una forma di ‘‘indottrinamento’’ degli allievi. “. Cfr. M. PACINI, La CEDU e il Crocefisso nelle aule scolastiche, in Giornale di diritto amministrativo, 8/2011. Ancora per la Giurisprudenza si veda: Corte europea dei diritti dell’uomo, decisione 15 febbraio 2001, ricorso n. 42393/98, Dahlab c. La Suisse; Corte europea dei diritti dell’uomo, decisione 30 giugno 2009, ricorso n. 43563/08, Aktas c. Francia; Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 4 dicembre 2008, ricorso n. 27058/05, Dogru c. Francia; Corte europea dei diritti dell’uomo; Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 10 novembre 2005, ricorso n. 44744/98, Leyla Sahin c. Turchia; Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 29 giugno 2007, ricorso n. 15472/02, Folgerø e altri c. Norvegia; Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 9 ottobre 2007, ricorso n. 1448/04, Hasan e Eylem Zengin c. Turchia. Per la Dottrina invece tra gli altri: J.H.H. Weiler, Un’Europa Cristiana. Un saggio esplorativo, Milano, 2003; R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi, a cura di, La laicita` crocifissa. Il nodo costituzionale dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, Torino, 2004; J.F. Flauss, Laıicite´ et Convention europeenne des droits de l’homme, in Revue du Droit Public, 2004, 317 ss; B. Randazzo, Diversi ed eguali. Le confessioni religiose davanti alla legge, Milano, 2008.

5Cfr. CEDU, Dahlab c. La Suisse, 15 Febbraio 2001.

6P. CAVANA, Il Crocefisso davanti alle sezione unite della Cassazione: difesa dei diritti o accanimento iconoclasta?, in Stato e Chiese e pluralismo confessionale, n. 14/2021.

7Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297 – Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado .

8 È nota come legge Casati la legge 13 novembre 1859, n. 3725 del Regno di Sardegna, entrata in vigore nel 1861 ed estesa, con l’unificazione, a tutta l’Italia (regio decreto 28 novembre 1861, n. 347). La legge, che prese il nome dal Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Francesco Casati e fece seguito alle leggi Boncompagni del 1848 e Lanza del 1857, riformò in modo organico l’intero ordinamento scolastico, dall’amministrazione all’articolazione per ordini e gradi ed alle materie di insegnamento, confermando la volontà dello Stato di farsi carico del diritto-dovere di intervenire in materia scolastica a fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica che da secoli era l’unica ad occuparsi dell’istruzione, introducendo l’obbligo scolastico nel regno.

9Si veda tra gli altri: S. BERLINGO’ – G. CASUSCELLI, Diritto ecclesiastico italiano, Giappichelli ed., Torino, 2020; A. ALBISETTI, Il diritto ecclesiastico nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, IV, ed. Giuffrè, Milano, 2010; M. CANONICO, Il ruolo della Giurisprudenza costituzionale nella evoluzione del diritto ecclesiastico, ed. Giappichelli, Torino, 2005; F. DE GREGORIO, Variazioni sul tema della laicità, Aracne ed., Roma, 2006; P. STEFANI, La laicità nell’esperienza giuridica dello Stato, Cacucci ed., Bari, 2007; L.ZANOTTI, La sana democrazia. Verità della Chiesa e principi dello Satto, Giappichelli ed., Torino, 2005. Per le sentenze ed ordinanze della Corte Costituzionali rilevanti sul punto si veda: Sent. n. 208/2000; Inviato. n. 203/1989; Inviato. n. 259/1990; Inviato. n. 13/1991; Inviato. n. 195/1993; Inviato. n. 421/1993; Inviato. n. 149/1995; Inviato. n. 440/1995; Inviato. n. 334/1996; Inviato. n. 235/1997; Inviato. n. 329/1997; Inviato. n. 508/2000; Inviato. n. 329/2001; Inviato. n. 327/2002; Inviato. n. 168/2005 ed ancora Cass., sez.uni., n. 16305/2013; Cass., sez.I, n. 7468/2017.

10 Si veda Sent. n. 203 del 1989, punto 7.

11 I. RUGGIU, Il crocifisso come “simbolo passivo” nella Lautsi II: riflessioni sulle tecniche argomentative dei giudici nei conflitti multiculturali e religiosi, in Diritti comparati, 28 luglio 2011.

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