Il cyberbullismo
L’evoluzione tecnologica non sempre costituisce un fattore di progresso. Talvolta, la stessa, può rappresentare un vero e proprio fattore criminogeno. Basti pensare a tutte le fattispecie criminose che possono essere realizzate tramite il ricorso a strumenti informatici o telematici e che hanno indotto il legislatore ad intervenire con la previsione di reati ad hoc: frodi informatiche, intrusioni a sistemi informatici, ecc.
Il poter agire senza esporsi in prima persona, infatti, spinge numerosi soggetti a delinquere. Anche i giovani, avendo particolare dimestichezza con gli strumenti informatici, sono indotti a commettere più facilmente reati, ed è in questo quadro che si inserisce il fenomeno del cd. cyberbullismo. Quest’ultimo, legato in particolare alla giovane età sia degli autori che delle vittime, sta assumendo caratteri sempre più preoccupanti, anche in virtù delle potenzialità comunicative dei social network.
Per tale ragione il legislatore ha sentito la necessità di intervenire normativamente al fine di prevenire e reprimere il fenomeno del bullismo telematico con l’emanazione della legge n. 71 del 2017. Questa si caratterizza per la previsione di strumenti idonei a contrastare il fenomeno. Tali strumenti hanno natura diversa da quella penale. Si configura, quindi, quale strumento legislativo speciale rivolto ad un fenomeno diffuso tra i giovani e fondato su un approccio più “educativo-preventivo” che “repressivo”. L’unica misura sanzionatoria, infatti, è rappresentata dall’ammonimento, già prevista per il reato di cui all’art. 612 bis c.p.
In altre parole essa cerca di fronteggiare il fenomeno ricorrendo a strumenti quali la possibilità per la vittima di cyberbullismo, o per l’esercente la responsabilità genitoriale, di rivolgersi al titolare del trattamento dei dati o al gestore del sito internet, per richiedere l’oscuramento, la rimozione o il blocco di contenuti specifici rientranti nelle condotte di cyberbullismo. La suddetta legge ha, inoltre, previsto l’istituzione di un tavolo tematico per la redazione di un piano di azione integrato per la prevenzione del fenomeno, o ancora la elaborazione da parte del MIUR di linee di orientamento per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno in ambito scolastico e, come già accennato, l’applicazione al cyberbullo che abbia compiuto gli anni quattordici, della procedura di ammonimento prevista per lo stalking.
Tra le principali novità introdotte dal provvedimento legislativo c’è una precisa definizione di cyberbullismo ai commi 1 e2 dell’art. 1, che viene qualificato come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento di dati personali, in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché diffusione di contenuti online…”.
Si tratta di una definizione che contiene una sorta di catalogo dei reati che possono essere realizzati dal cyberbullo, anche ulteriori rispetto a quelli previsti dall’art. 7.
Ulteriore definizione contenuta nell’art. 1 è quella di “gestore del sito internet”. L’importanza di tale definizione si può apprezzare specialmente con riferimento alle imputazioni per diffamazione aggravata, in tutti quei casi in cui il gestore del sito internet venga chiamato a rispondere in concorso nel delitto commesso da terzi.
Quanto agli aspetti strettamente penalistici, bisogna osservare come la legge in parola, per i suoi obiettivi di prevenzione, non introduce alcuna norma di natura penalistica se, non il generico riferimento contenuto all’interno dell’art. 7. La previsione indica solo alcune delle fattispecie penalmente rilevanti entro cui è possibile sussumere le condotte in cui tipicamente si concretizza il cyberbullismo ed a cui è possibile, fino a quando non sia stata presentata denuncia o querela, applicare la procedura di ammonimento già prevista per il reato di atti persecutori.
Si tratta dei reati di ingiuria ex art. 594 c.p., di diffamazione ex art. 595 c.p., di minaccia ex art. 612 c.p., nonché del reato di trattamento illecito dei dati ex art. 167 d.lgs. 196/2013.
Va evidenziata la criticità della formulazione normativa, in quanto definisce reato l’ingiuria che in realtà è stato oggetto di depenalizzazione.
A tal proposito occorre preliminarmente affermare che il legislatore è intervenuto nel 1993 per introdurre una serie di ipotesi illecite relativamente ai reati informatici. In tale occasione, tuttavia, non ha previsto specifiche figure di reato con riferimento all’ingiuria e alla diffamazione perpetrate attraverso internet. È intervenuta però la Suprema Corte per chiarire che i reati previsti dagli artt. 594 e 595 c.p. possono essere commessi anche per via telematica o informatica, e ciò è intuitivo. Basta pensare alla cd. trasmissione via email per rendersi conto che è certamente possibile che un soggetto, inviando a più persone messaggi atti ad offendere qualcuno, realizzi la condotta tipica del delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse).
Pertanto, il comportamento del cyberbullo ben potrebbe integrare la condotta descritta dalla previsione dell’art. 594 ogni qualvolta si utilizzino strumenti telematici per offendere l’onore o il decoro della vittima. In tal caso gli verrà però applicata la sola sanzione pecuniaria, essendo stata l’ingiuria depenalizzata.
A seconda di come si atteggi la condotta del cyberbullo, è possibile inoltre che integri il reato di diffamazione, che richiede la compresenza di tre elementi: l’assenza della persona offesa, da intendersi come impossibilità fisica di percezione dell’addebito diffamatorio; l’offesa all’altrui reputazione, intesa come probabilità o possibilità che l’utilizzo di parole destinate a ledere l’onore provochi una effettiva lesione; la comunicazione con più persone. La giurisprudenza è arrivata alla conclusione che la diffamazione, commessa attraverso il web, integri la fattispecie aggravata prevista dall’art. 595, comma 3, c.p. Pertanto la diffamazione è aggravata ogni volta che le espressioni utilizzate non solo sono idonee ad offendere l’altrui reputazione, ma anche quando vengono diffuse tramite mezzi di comunicazione, quali ad es. i social network che consentono l’accesso alle stesse ad un numero indefinito di persone. Nel 2014, infatti, la Suprema Corte ha sancito che la pubblicazione di una frase diffamatoria su un profilo Facebook rende la stessa accessibile ad una moltitudine di soggetti e, postare un simile messaggio, integra il dolo prescritto dall’art. 595. Tanto è vero che la diffusività e la pervasività di internet non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle della stampa o delle trasmissioni radio-televisive, in quanto i contenuti immessi in rete sono fruibili in ogni parte del mondo.
Laddove, dunque, il soggetto destinatario delle frasi diffamatorie sia un soggetto minorenne e l’offesa all’altrui reputazione sia stata perpetrata tramite il web, ci troviamo di fronte ad una tipica modalità di estrinsecazione del cyberbullismo.
Anche il reto di minaccia ex art. 612 c.p. ben si presta a sanzionare il fenomeno del bullismo telematico, nel momento in cui la minaccia del danno ingiusto avvenga a danno di minori mediante l’uso della rete. Ed infatti, tale reato ben può esplicarsi, oltre che in forma verbale, anche mediante gli strumenti più svariati come scritti, sms, email.
Infine il comma 1 dell’art. 7 della citata legge cita espressamente l’art. 167 del codice della privacy. Il Garante europeo della protezione dei dati personali ha sottolineato come tale normativa possa essere applicata per proteggere le persone da attacchi di cyberbullismo. Infatti, affinché i dati personali possano essere da altri utilizzati, diffusi, raccolti, ecc. è necessario l’espresso consenso dell’interessato. Qualora questo manchi e tali dati vengano utilizzati al fine di recare danno ad altri, si integra la fattispecie delittuosa. È emerso, infatti, negli ultimi anni che la violazione della privacy, specie a danno di minori, si esplica spesso nella violazione dell’immagine, ossia nell’attività di pubblicazione dell’altrui immagine sui social network con lo scopo di porre un attacco o la loro messa in ridicolo.
Tuttavia, nonostante l’art. 7 citi espressamente solo le norme appena analizzate, dal disposto dell’art. 1 emerge come il fenomeno del cyberbullismo possa essere sanzionato anche attraverso ulteriori fattispecie criminose quali il delitto di sostituzione di persona, quello di atti persecutori, molestie, disturbo alle persone, accesso abusivo ad un sistema informatico. Questo a conferma del fatto che si tratta di un fenomeno che si sta cercando di prevenire e allo stesso tempo reprimere con forza.
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Valentina La Spada
Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Messina nell' A. A. 2014/2015 con tesi di Laurea su "Falsa identità digitale e delitto di sostituzione di persona". Nel 2018 si è diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le professioni Legali dell'Università degli Studi di Messina con votazione 70/70 e Lode discutendo una tesi avente ad oggetto la "Mancata consegna di bene venduto online: tra truffa e insolvenza fraudolenta". Nell'ottobre dello stesso anno, ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense.
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