Il danno da cose in custodia
Sommario: 1. La responsabilità per danni causati da cose – 2. Il danno da cose in custodia ex 2051 c.c. – 2.1. La derivazione del danno dalla cosa – 2.2. Il rapporto di custodia – 4. Il concorso del danneggiato
1. La responsabilità per danni causati da cose
Con l’espressione “danno da cose” si suole indicare una categoria di fattispecie speciali di responsabilità aquiliana, previste dal codice civile e dalle leggi speciali. Tali responsabilità assumono caratteri derogatori rispetto alla figura generale di illecito civile di cui all’art. 2043 c.c. proprio in virtù del particolare rapporto che sussiste tra la cosa dannosa e il soggetto responsabile.
Le figure codicistiche ricondotte alla responsabilità per danni da cose sono disciplinate agli artt. 2051, 2052, 2053 e 2054 c.c..
L’art. 2051 c.c., che per molti versi rappresenta la figura generale di “illecito da cose”, disciplina la responsabilità per danni cagionati da qualunque cosa che il soggetto abbia in custodia, a prescindere da una sua condotta colposa e salva la prova del caso fortuito.
Costituisce specificazione della figura dell’art. 2051 c.c. la responsabilità per danno cagionato da animale di cui all’art. 2052 c.c., a norma del quale “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
La responsabilità per rovina di edificio (art. 2053 c.c.), riconosciuta dalla giurisprudenza quale ipotesi speciale di responsabilità da cose in custodia[1], deroga parzialmente all’art. 2051 c.c.. La norma, infatti, innanzitutto individua quale unico responsabile del danno il proprietario della costruzione, e, in secondo luogo, prevede che costui possa liberarsi dalla responsabilità provando, anziché il caso fortuito, la non riconducibilità del danno a difetto di manutenzione o vizio di costruzione.
L’art. 2054 c.c., infine, configura la responsabilità del conducente e proprietario di un veicolo senza guida di rotaie, per i danni derivanti dalla circolazione del veicolo (comma primo) o per difetto di manutenzione o vizi di costruzione (comma quarto). Delle due, tuttavia, solo la responsabilità di cui al comma quarto può considerarsi propriamente “da cose”, in quanto quella prevista dal comma primo si caratterizza non per il potere di custodia che il soggetto esercita sulla cosa (carattere ineludibile della “responsabilità per danni causati da cose” di cui agli artt. 2051, 2052 e 2053 c.c.) bensì per il particolare uso che della cosa viene fatto (la circolazione).
A livello extracodicistico, una figura di responsabilità per danni da cose è quella di cui all’art. 114 c.cons., rubricato “responsabilità del produttore”, in forza del quale il produttore (e il fornitore, qualora non indichi il produttore) risponde per i difetti del prodotto verso chiunque sia esposto al rischio. Tale responsabilità è esclusa in presenza dei soli casi tassativi di cui all’art. 118 c.cons., della cui prova è onerato lo stesso produttore.
A differenza delle responsabilità da cose previste dal codice civile, il particolare regime di responsabilità per i prodotti dannosi si giustifica non in virtù del rapporto di custodia, ma esclusivamente in forza del principio secondo il quale “cuius commoda, eius et incommoda”: il vantaggio economico tratto dal soggetto avendo prodotto e messo in commercio il bene difettoso comporta che egli risponda delle conseguenze dannose dello stesso.
2. Il danno da cose in custodia ex 2051 c.c.
Tra le figure di responsabilità speciali appena menzionate, assume un ruolo centrale, in virtù del suo carattere generale, la responsabilità per danno da cosa in custodia di cui all’art. 2051 c.c..
Disponendo che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia”, la norma configura un’ipotesi di responsabilità civile caratterizzata da due soli presupposti: la derivazione del danno dalla cosa e il rapporto di custodia.
2.1. La derivazione del danno dalla cosa
In relazione al primo requisito, è dato ormai acquisito in dottrina e giurisprudenza che la responsabilità risarcitoria del soggetto custode prescinda dalle caratteristiche intrinseche della cosa.
La giurisprudenza più recente, infatti, ha ritenuto superate le risalenti tesi che riconducevano al campo applicativo della norma esclusivamente le cose dinamiche e non quelle inerti, riconoscendo in ogni cosa una intrinseca pericolosità[2]. Ai fini della responsabilità speciale in questione, dunque, ciò che rileva è che il danno derivi dalla cosa in quanto «esplicazione della sua concreta potenzialità dannosa»[3], come effetto di una sua naturale dinamicità o del concorso di fattori esterni che tale potenzialità dannosa determinino.
Così, in materia di danni cagionati dalla strada pubblica, ancorché “cosa inerte”, la giurisprudenza riconosce pacificamente la responsabilità della P.A. custode[4]; e non solo in relazione ai danni determinati da difetti del bene[5], ma altresì a quelli dovuti al crollo sulla strada di massi o alberi circostanti, anche se non di proprietà della P.A.[6].
2.2. Il rapporto di custodia
Il secondo requisito dell’illecito di cui all’art. 2051 c.c. è il potere di custodia, inteso come materiale disponibilità e controllo del bene, il quale rappresenta l’elemento che giustifica il particolare regime di responsabilità.
Dal potere di custodia, infatti, sorge un dovere di evitare le possibili estrinsecazioni della potenzialità dannosa del bene le quali, laddove si realizzino, sono imputate al custode senza che sia necessario provare una sua condotta colposa.
Così individuato il fondamento della responsabilità ex 2051 c.c., è da considerarsi custode chiunque – soggetto pubblico o privato –, avendo la materiale disponibilità del bene, possa e debba esercitare su di esso un potere che lo renda in grado di evitare i danni che ne possano derivare.
Rientrano dunque nel novero dei custodi: il conduttore[7], il concessionario[8] ed altresì l’appaltatore, i cui rapporti con il bene potrebbero escludere la responsabilità del proprietario privato di poteri sulla cosa. Se, infatti, per custodia si intende la materiale disponibilità del bene, ai fini del riconoscimento della responsabilità in capo al titolare del diritto dominicale appare fondamentale l’accertamento della sussistenza in capo a questi del potere di governare la cosa.
In particolare, in relazione al contratto di locazione si suole differenziare l’ipotesi di danno cagionato dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati da quella di danno derivante dalle altre parti dell’immobile: il proprietario resta custode nella prima; il conduttore è l’unico responsabile nella seconda[9].
In relazione al contratto d’appalto, invece, la giurisprudenza distingue tra appalto di servizi e appalto d’opera.
Nell’appalto di servizi, si riconosce la permanenza della custodia del committente, non perdendo questi la disponibilità materiale della cosa. Resta, dunque, in capo al proprietario-committente la relativa responsabilità, alla quale si aggiunge quella dell’appaltatore per il periodo di esecuzione del servizio.
Nell’appalto d’opera, invece, la custodia del bene si ritiene interamente traslata in capo all’appaltatore, venendo meno la disponibilità materiale in capo al committente.
3. La natura del danno da cose in custodia e la prova liberatoria
Essendo la responsabilità in questione soggetta a due soli presupposti, il soggetto che lamenti un danno ex art. 2051 c.c. sarà tenuto a provare esclusivamente il nesso di causalità (tra evento dannoso e cosa) e il potere di custodia. Sarà, invece, il custode a dover fornire la prova liberatoria, che la norma individua nel “caso fortuito”, generalmente inteso come evento imprevedibile e inevitabile idoneo a recidere il nesso causale.
La corretta definizione di “caso fortuito” nell’ambito della disciplina dell’art. 2051 c.c. risente, tuttavia, delle tesi che si sono sviluppate in ordine alla qualifica di tale responsabilità speciale come responsabilità oggettiva o per colpa presunta.
Una tesi sostenuta da autorevole dottrina[10], infatti, inquadra la responsabilità per cose in custodia nella categoria delle responsabilità per colpa presunta.
La norma, per questa impostazione dottrinale, porrebbe una presunzione relativa di inadempimento di un dovere di diligenza, superabile dal custode provando di aver tenuto una condotta conforme a quanto richiesto dall’ordinamento in base alla cosa dannosa. L’espressione “prova del caso fortuito” sarebbe, quindi utilizzata nell’art. 2051 c.c. in maniera atecnica, dovendosi intendere come «prova che il danno si è verificato per un evento non prevedibile e non superabile con la diligenza normalmente adeguata in relazione alla natura della cosa»[11], in maniera simile alle ipotesi di cui agli artt. 2047 e 2048 c.c..
La giurisprudenza maggioritaria, tuttavia, individua nell’art. 2051 c.c. un’ipotesi di responsabilità oggettiva[12], fondata sul semplice riscontro del nesso di causalità, a prescindere che si possa imputare al soggetto un comportamento negligente.
In tale prospettiva, allora, il concetto di “fortuito” di cui all’art. 2051 c.c. non assume connotazioni diverse da com’è tradizionalmente inteso: ai fini della liberazione dalla responsabilità risarcitoria, il soggetto dovrà provare l’evento imprevedibile ed inevitabile, estraneo alla sua sfera soggettiva, che abbia escluso il legame causale tra cosa ed evento dannoso.
4. Il concorso del danneggiato
Tra i fattori idonei ad integrare il caso fortuito è pacificamente ricompreso il comportamento colposo del danneggiato.
Ai sensi dell’art. 1227, comma primo, c.c., applicabile in materia di responsabilità civile in forza del rinvio operato dall’art. 2056 c.c., se il fatto colposo del danneggiato concorre a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate.
La disposizione disciplina un’ipotesi di concorso causale colposo: riconoscendo il fatto del danneggiato quale concausa dell’evento, la responsabilità risarcitoria è diminuita in quanto il danno è stato solo parzialmente causato dal fatto del danneggiante. La riduzione dell’obbligo risarcitorio cui è tenuto il danneggiante, infatti, «non discende da una corresponsabilità della vittima ma dal principio di causalità: l’autore dell’illecito non risponde di quella parte del danno che è a lui causalmente estranea»[13].
La condotta del danneggiato, pertanto, in base alla gravità che la connota, potrebbe configurarsi sia come causa concorrente – soggetta all’art. 1227, comma primo, c.c. – che come causa esclusiva del danno subìto, e questo tanto nell’ipotesi generale di responsabilità ex art. 2043 c.c. che nelle ipotesi speciali, quale quella dell’art. 2051 c.c..
Come specificato dalla giurisprudenza più recente, qualora la situazione di pericolo derivante dalla cosa sia evidente, e quindi evitabile con l’adozione delle normali cautele della vita quotidiana, la condotta negligente del danneggiato potrà assumere rilevanza in termini di efficienza causale[14].
In tale prospettiva, riemerge inoltre la rilevanza della natura della cosa. Il giudizio sull’idoneità causale della condotta del danneggiato, infatti, «dev’essere parametrato sulla natura della cosa stessa e sulla sua pericolosità; sicché, quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è tale da essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte del danneggiato, tanto più influente deve considerarsi l’efficienza causale dell’imprudente condotta della vittima, fino ad interrompere il nesso tra la cosa ed il danno»[15].
Nonostante la riconosciuta natura oggettiva della responsabilità di cui all’art 2051 c.c., quindi, al responsabile è sempre data la possibilità di dimostrare l’assenza di nesso causale tra la cosa e il danno attraverso l’imputazione di quest’ultimo alla condotta del danneggiato. Se è vero, infatti, che il custode del bene ha il fondamentale dovere di evitare ogni danno che dalla cosa possa derivare, è altresì vero che in capo al soggetto che entri in contatto con il bene è posto un altrettanto pregnante dovere di cautela, riconducibile al generale dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.
La norma costituzionale, infatti, impone ai consociati di tenere comportamenti idonei a limitare entro confini di normalità e ragionevolezza gli aggravii altrui, in virtù della reciprocità degli obblighi derivanti dal vivere comune. La violazione di tale dovere da parte del danneggiato, tanto più grave quanto più evidente ed evitabile il pericolo, potrà pertanto essere considerata causa esclusiva del danno subìto, elidendo il nesso causale con la cosa ed integrando un’ipotesi di caso fortuito tale da escludere la responsabilità del custode.
[1] Cfr. ex multis Cass., 8 settembre 1998, n. 8876 secondo la quale l’art. 2053 c.c. “integra un’ipotesi particolare di danno da cose in custodia ex art. 2051 c.c., con la conseguenza che per il principio di specialità, il suo configurarsi impedisce l’applicazione della stessa disposizione”. Conformi: Cass., sez. III, 29 marzo 2007, n. 7755; Cass., sez. III, 12 novembre 2009, n. 23939 e la più recente Cass., sez. III, 26 maggio 2020, n. 9694.
[2] Cass, 4 ottobre 2010, n. 20620: il giudizio sulla pericolosità delle cose inerti deve essere condotto alla stregua di un modello relazionale, in base al quale la cosa venga considerata nel suo normale interagire con il contesto dato, sicché una cosa inerte in tanto può ritenersi pericolosa in quanto determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante.
[3] C. M. BIANCA, Diritto civile, volume 5, la responsabilità, Milano 2021, p. 688.
[4] Ex multis, Cass. sez. III, 13 febbraio 2019, n. 4160: la responsabilità ex art. 2051 c.c. dell’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito è configurabile, nel concorso degli altri presupposti, in presenza di un nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, il quale sussiste quando la cosa si inserisca, con qualificata capacità eziologica, nella sequenza che porta all’evento e non rappresenti mera circostanza esterna, o neutra, o elemento passivo di una serie causale che si esaurisce all’interno e nel collegamento di altri e diversi fattori.
[5] Sul superamento della tesi che, riconducendo la responsabilità per sinistri avvenuti su strade pubbliche alla figura generale di cui all’art. 2043, richiedeva “l’insidia e il trabocchetto” si veda R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto civile, Torino, 2022, pp.1814 ss..
[6] La distinzione tra situazione di pericolo connessa alla strada o alle sue pertinenze e quella dovuta a fattori esterni conserva, tuttavia , una sua rilevanza ai fini della prova liberatoria. Per la recentissima Cass., sez. VI, 30 marzo 2022, n.10188 infatti “in tema di responsabilità, quale custode ai sensi dell’art. 2051 c.c., dell’ente proprietario di una strada, ai fini della prova liberatoria che quest’ultimo deve fornire per sottrarsi alla propria responsabilità occorre distinguere tra la situazione di pericolo connessa alla struttura ed alla conformazione della strada e delle sue pertinenze e quella dovuta ad una repentina e imprevedibile alterazione dello stato della cosa, poiché solo in quest’ultima ipotesi può configurarsi il caso fortuito, in particolare quando l’evento dannoso si sia verificato prima che il medesimo ente proprietario abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo espletata con diligenza per tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile condizione di pericolo determinatasi da obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché il suo aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato.
[7] Cass., SS.UU., 11 novembre 1991, n. 12019.
[8] Tribunale, Ravenna, 14 gennaio 2016 , n. 66: in tema di danno da cose in custodia, l’ente proprietario o concessionario di una strada aperta al pubblico transito riveste lo status di custode trovandosi in una situazione che lo pone in grado di sorvegliarla, controllarla, modificarne le condizioni di fruibilità, se del caso, segnalando le condizioni di pericolo. Ciò, in quanto, la responsabilità per danni cagionati dalla cosa in custodia, ex articolo 2051 c.c., prescinde dall’accertamento di un comportamento colposo del custode e ha carattere oggettivo necessitando, per la sua configurabilità, l’esistenza del nesso causale fra cosa ed evento.
[9] Ex multis, Cass., sez. III , 27 marzo 2018 , n. 7526: al proprietario dell’immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati a terzi dagli accessori dalle altre parti dell’immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità. Pertanto, data la specialità dell’art. 2053 rispetto al 2051, è escluso che rispetto allo stesso fatto possono concorrere le responsabilità del proprietario e del conduttore.
[10] C.M. BIANCA, op.cit., pp. 692 ss..
[11] Id.
[12] Ex multis, Cass., sez. III, 30 novembre 2005, n. 26086, n. 26086: la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia – prevista dall’art. 2051 c.c. – ha carattere oggettivo e, perché possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario e, d’altro canto, la funzione della predetta norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’usp e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta.
[13] C.M. BIANCA, op.cit., p. 634.
[14] Ex plurimis, Cass., sez. VI, 30 marzo2022, n.10188: il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva.
[15] Cass., sez. III, 29 gennaio 2019, n. 2345.
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Raffaele Gennaro Talarico
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