Il danno non patrimoniale iure hereditatis
Per capire la disputa giurisprudenziale riguardante la trasmissibilità o meno iure ereditario del danno da perdita della vita, è opportuno distinguere le differenti tipologie di danno, alle quali è riconducibile l’argomento di cui si discute.
Preliminarmente si dica che la trasmissibilità iure ereditario di cui ci occupiamo, fa riferimento alle ipotesi in cui, trascorra o meno un apprezzabile lasso di tempo, tra l’evento morte e le lesioni che l’hanno cagionata.
La giurisprudenza di legittimità ha individuato a tal proposito:
–il danno biologico terminale: riscontrabile nelle ipotesi in cui tra l’evento morte e le lesioni colpose che l’hanno cagionato, trascorre un apprezzabile lasso di tempo, tale da procurare una sofferenza alla vittima, di entità tale da riconoscergli risarcimento trasmissibile iure hereditatis.
–il danno catastrofale: è stato riconosciuto dalle famose sentenze San Martino (Cass. Civ. Sez.Un.n.26972-26973/2008) che hanno ammesso la risarcibilità della sofferenza psichica, di massima intensità anche se di durata contenuta, nel caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo.. La giurisprudenza ha definito il danno catastrofale, come quel danno non patrimoniale conseguente alla sofferenza patita dalla persona che a causa delle lesioni sofferte, nel lasso di tempo compreso tra l’evento e la morte, assiste alla perdita della vita. Il risarcimento del danno catastrofale può essere fatto valere iure hereditatis, a condizione che sia effettivamente entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte; ciò vuol dire che la persona offesa doveva essere vigile e cosciente, quantomeno per un breve lasso di tempo, nel periodo intercorrente tra le lesioni subite e l’evento morte.
–il danno tanatologico: viene considerato come il danno in sè, causato dalla perdita della vita e per il quale la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la non risarcibilità; anche la Corte Costituzionale ha affermato il principio in base al quale, diversamente dalla lesione al diritto alla salute, la lesione immediata del diritto alla vita non può configurarsi quale perdita a carico della vittima, ormai non più esistente, per cui è da escludere che il diritto al risarcimento del cd danno biologioco da morte entri nel patrimonio dell’offeso deceduto e sia quindi trasmissibile ai congiunti in qualità di eredi.
Due significative pronunce giurisprudenziali si sono occupate dell’argomento in esame: la sentenza n.1361 del 2014 (sent. Scarano), con cui la Corte di Cass. ha affermato il principio secondo cui, contrariamente a quanto affermato nelle precedenti pronunce, deve ritenersi risarcibile iure hereditatis il danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni riportate a seguito di un incidente stradale. La sentenza prevede che, il danno non patrimoniale da perdita della vita, bene supremo dell’individuo è oggetto di diritto assoluto ed inviolabile, garantito in via primaria dall’ordinamento; ne consegue che la perdita della vita vada sempre ristorata; non assume alcun rilievo nè il presupposto della persistenza in vita di un apprezzabile lasso di tempo successivo all’evento morte (danno biologico terminale) nè il criterio dell’intensità della sofferenza subita dalla vittima per la cosciente e lucida percezione dell’ineluttabile sopraggiungere della propria fine (danno catastrofale). La perdita della vita dovrà essere ristorabile in favore della vittima che la subisce e per l’effetto trasmissibile agli eredi. Sostiene Scarano che la soluzione adottata dalla giurisprudenza tradizionale ripugna la coscienza sociale perchè se la tutela civilista è ammessa per beni di rango inferiore, allora a maggior ragione ciò deve essere vero per il supremo bene-vita; diversamente per il danneggiante sarebbe più conveniente uccidere che ferire. Se dunque il danno tanatologico deve essere risarcito, la sentenza stabilisce che ciò è possibile se si ammette un’eccezione al principio della risarcibilità dei soli danni conseguenza; pertanto se nella generalità dei casi il diritto al risarcimento sorge logicamente con il concretizzarsi del danno stesso, nell’ipotesi di perdita della vita tale diritto deve nascere prima, al momento dell’evento lesivo, quando il soggetto ha ancora capacità giuridica, salvo poi consolidarsi con il decesso della vittima e transitare nell’asse ereditario.
La sentenza S.S.U.U. 15350/2015 invece, si pone sulla scia dell’orientamento tradizionale e dunque conferma la trasmissibilità iure hereditario solo del danno derivante dalla morte verificatasi a seguito di un apprezzabile lasso di tempo. L’irrisarcibilità dell’evento morte deriva dall’assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica il fine vita, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito. A parere delle Sezioni Unite non è giuridicamente concepibile che dalla vittima venga acquisito un diritto derivante dal fatto stesso della sua morte (chi non è più non può acquistare un diritto che gli derivererebbe dal non essere più), essendo logicamente inconfigurabile la stessa funzione del risarcimento che nel nostro ordinamento civilistico non ha natura sanzionatoria, bensì riparatoria.
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Stella Sepe
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