Il decreto correttivo e il ridimensionamento dei poteri dell’ANAC: una semplice “svista”?

Il decreto correttivo e il ridimensionamento dei poteri dell’ANAC: una semplice “svista”?

Con l’approvazione del Correttivo del Codice Appalti sono state apportate diverse modifiche necessarie per porre rimedio ad alcune incongruenze presenti nel d.lgs. 50 del 2016, anche se non hanno trovato accoglimento alcune richieste avanzate dagli operatori del settore (per esempio quella sul subappalto, di cui è stato mantenuto il limite del trenta percento nonostante le indicazioni europee, con forti perplessità sulla futura tenuta della norma italiana).

Tra le modifiche più importanti e discusse vi è  sicuramente quella dell’eliminazione della c.d. raccomandazione vincolante dell’ANAC, potere attribuito dal comma 2 dell’art. 211, il quale prevedeva che: “qualora l’ANAC, nell’esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all’articolo 36 del presente codice. La raccomandazione è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell’articolo 120 del codice del processo amministrativo”.

Disciplina che quindi era volta a rimuovere con prontezza, nei casi di evidente irregolarità, gli eventuali effetti degli atti illegittimi, in termini più rapidi rispetto a quelli giudiziali ed in linea con l’intento di attribuire all’Autorità Anticorruzione un potere sui generis nell’attività di prevenzione della corruzione.

Norma che il recente decreto non si è limitato a modificare, in quanto l’art. 123 del Correttivo prevede che “il comma 2 è abrogato”.

Tale abrogazione rappresenta un vero mistero, in quanto non solo non era prevista nella bozza del decreto, ma inoltre i membri della Commissione affermano di non averne assolutamente discusso: manca infatti qualsiasi tracciatura del procedimento di abrogazione; e infatti nella relazione sull’analisi di impatto non vi alcuna considerazione su questa abrogazione non prevista.

Dal canto suo il Governo non ha tardato ad affermare che “non c’è alcuna volontà politica di ridimensionare i poteri dell’Anac” e ad assicurare che “sarà posto rimedio già in sede di conversione del DEC e in maniera inequivocabile”. Tuttavia non appare plausibile che l’abrogazione sia stata frutto una semplice “svista”, che si sia abrogato in toto un comma che non doveva subire alcuna modifica, senza che sia fornita alcuna spiegazione o dettaglio su come e su chi abbia commesso tale “errore”.

Per tale ragione sono state avanzate diverse ipotesi, che hanno inquadrato questa abrogazione in un atto puramente politico o in un tentativo di porre rimedio ad una norma che potrebbe suscitare qualche criticità, come già rilevato da alcuni, in primis dal Consiglio di Stato.

Alcuni infatti hanno avanzato la tesi secondo cui tale abrogazione nasconda in realtà un mero intento politico, volto a dare un forte segnale a Cantone, soprattutto in seguito a casi come quello dello scandalo Consip.

Ciò sarebbe inoltre espressione dell’avversione di parte della forza politica al Governo verso il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, legato all’ex premier Renzi, e che quindi non vedeva l’ora di ridurne il potere.

Teoria che appare quantomeno controversia, visto che l’attuale Governo, non è un segreto, è fortemente legato all’ex premier Renzi (inoltre la Boschi è la Sottosegretaria unica alla presidenza del Consiglio), appunto colui che più di tutti ha voluto fornire tali poteri all’Anac ed investire Raffaele Cantone di tale ruolo chiave nella lotta alla patologia più profonda e radicata dell’intero sistema.

Altri, hanno visto tale atto come un correttivo, un tentativo di correggere la rotta di fronte alle perplessità sollevate in merito alle c.d. raccomandazioni vincolanti.

Infatti, la norma aveva suscitato qualche perplessità da parte del Consiglio di Stato, espresse nel parere n. 855/2016 sul Codice Appalti, il quale aveva rilevato “significative criticità” tanto “sul piano della compatibilità con il sistema delle autonomie”, tanto “sul crinale della ragionevolezza e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi”. Consiglio di Stato che però non aveva mai ipotizzato una sua completa abrogazione, ma una sua “riformulazione in chiave di controllo collaborativo”, al fine di renderlo coerente con la legge delega e con la Costituzione, salvaguardandone l’efficacia, come del resto affermato nel comunicato dello scorso 21 aprile.

Dunque il parere, se è vero che, al di là della indicazione di una riforma in chiave collaborativa, andava nel concreto a paventare una forte ridimensionamento dei potere attribuiti all’Autorità Anticorruzione (veniva suggerita una formulazione che prevedeva, nel caso in cui la stazione appaltante non si fosse conformata al parere dell’Anac, la possibilità per questa di presentare ricorso presso il giudice competente: veniva quindi introdotto l’intervento del giudice amministrativo, , con eliminazione della sanzione amministrativa pecuniaria), ma non prevedeva l’effettiva abrogazione del comma: ciò posto, un intervento del Governo volto a ritornare sui suoi passi  attraverso l’eliminazione tout court della disposizione non sembra conciliarsi con quanto espresso ed auspicato dal Consiglio di Stato, ragione per cui difficilmente può rintracciarsi in ciò il vero motivo della modifica dell’articolo 211 secondo comma ( in tal caso sì che si potrebbe parlare di una vera e propria svista ed errata interpretazione del parere, cosa assai poco probabile anche perché, come detto, una tale abrogazione non era assolutamente prevista).

L’assoluto mistero intorno alla vicenda continua ad alimentare altre teorie che si basano sulle problematiche insite in questo nuovo potere, fra le quali non è possibile non citare i dubbi che vengono espressi da Sabbino Cassese che, nel suo scritto sul tema Anac che verrà pubblicato nel mese di maggio nell’edizione cartacea di Mondoperaio, sottolinea che “il grande gendarme” esercita funzioni che “dovevano essere esercitate dalla Corte dei conti”.

Probabilmente la vera ragione di ciò, se non si trattasse di una semplice (e assai improbabile) svista, non verrà mai rilevata, tuttavia ciò che occorre ora auspicarsi è che il Governo adempia a quanto promesso e corregga il Decreto Correttivo (gioco di parole che adeguatamente sottolinea la situazione paradossale).

Se è vero infatti che l’Anac sta venendo ad avere un ruolo e poteri sempre più rilevanti nella lotta alla corruzione ( e non solo in tale ambito), tuttavia questa è stata frutto di una coraggiosa scelta politica e di una legge, votata in Parlamento: dunque, in primis, una tale modifica eccede le funzioni attribuite al Decreto Correttivo e richiederebbe un atto del Parlamento; inoltre, occorre che l’Autorità, su cui si è puntato per cercare di arginare una corruzione ormai dilagante nel nostro Paese, venga fatta operare, evitando di continuare a modificare le varie normative in maniera assolutamente indipendente ai risultati raggiunti ( si sottolinea che l’Anac non ha ancora mai utilizzato un tale potere, di cui quindi non si può affermare l’inefficienza con una tale certezza tanto da spingere alla sua abrogazione).

E se è vero che alcune delle principali cause del fallimento della disciplina previgente in materia di appalti erano la mancanza di strumenti adeguati a combattere adeguatamente la corruzione e la stratificazione e proliferazione normativa che ha seguito l’approvazione del Codice de Lise, la nuova disciplina, già oggetto di sviste, correzioni e incongruenze, solleva, allora sì, diverse perplessità.


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