Il decreto penale di condanna dopo la riforma Cartabia
Il processo penale di stampo tendenzialmente accusatorio adottato dal legislatore italiano offre indubitabili garanzie all’imputato, attraverso i principi del contradditorio e dell’oralità nella formazione della prova, tuttavia si caratterizza per la sua eccessiva durata.
Per tale ragione, il legislatore ha predisposto forme di procedimento alternative all’ordinario iter processuale, introducendo nel codice di rito dei “moduli” volti ad assicurare una più celere definizione del giudizio.
Nel dettaglio, assumono rilievo i c.d. procedimenti speciali – disciplinati dagli artt. 438 e ss. c.p.p. – che si discostano dal procedimento penale ordinario in quanto omettono una delle fasi processuali, ossia l’udienza preliminare o il dibattimento.
Tra i riti speciali, occorre analizzare il procedimento per decreto, soprattutto alla luce delle recentissime modifiche introdotte ad opera della c.d. Riforma Cartabia.
Analizzando l’art. 459 c.p.p., rubricato “Casi di procedimento per decreto”, occorre sottolineare che il comma 1 è rimasto sostanzialmente inalterato, ad eccezione del termine entro il quale il pubblico ministero può formulare la richiesta di applicazione di decreto penale di condanna, termine di un anno – e non più di 6 mesi – dalla data in cui il nominativo della persona alla quale è attribuito il reato è stato iscritto nel registro delle notizie di reato.
Trattasi di modifica chiaramente preordinata a garantire un raccordo tra il predetto termine e quello – anch’esso annuale – di durata delle indagini preliminari, per i reati diversi dalle contravvenzioni e dai delitti di cui all’art. 407, comma 2 c.p.p., per i quali valgono rispettivamente i termini di sei e di diciotto mesi.
Il comma 1-bis presenta due novità. La prima riguarda una modifica dei criteri di ragguaglio della pena detentiva alla pena pecuniaria, prevedendo che il giudice, in fase di determinazione della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato – che non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 250 euro e corrisponde alla quota di reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare – e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva.
La previgente formulazione prevedeva un valore giornaliero non inferiore a 75 euro e non superiore al triplo di tale ammontare, ossia 225 euro.
Rimane fermo il richiamo alla rateizzazione della pena pecuniaria irrogata in sostituzione della pena detentiva, ai sensi dell’art. 133-ter c.p.p.
La seconda novità introdotta nel comma 1-bis dell’articolo in esame riguarda la possibilità di sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 56-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689, laddove l’indagato – prima dell’esercizio dell’azione penale – ne faccia richiesta al P.M., “presentando il programma di trattamento elaborato dall’ufficio esecuzione penale esterna con la relativa disponibilità dell’ente”. Con riferimento a quest’ultimo profilo innovativo è facilmente intuibile come la possibilità di sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità venga circoscritta alle ipotesi in cui la persona sottoposta alle indagini preliminari sia a conoscenza del procedimento penale a suo carico e abbia un concreto interesse ad attivarsi presso il P.M. per ottenere un decreto penale di condanna al lavoro di pubblica utilità ovvero al caso in cui il pubblico ministero o la polizia giudiziaria specializzata prendano iniziative simili presso l’indagato e il suo difensore.
Per quanto concerne il comma 1-ter, il legislatore ha ampliato le possibilità di accesso al lavoro di pubblica utilità anche successivamente all’emissione del decreto penale di condanna a pena pecuniaria sostitutiva. Infatti, viene previsto che, in caso di emissione di decreto penale di condanna a pena pecuniaria in sostituzione di pena detentiva, l’imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, nel termine di quindici giorni dalla notificazione di detto decreto, possa chiedere la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità, senza formulare opposizione a decreto penale di condanna. Nello specifico, l’imputato – mediante l’istanza di sostituzione – può chiedere un termine di sessanta giorni per depositare la disponibilità dell’ente o dell’associazione di cui all’art. 56-bis primo comma e il programma dell’U.E.P.E. Una volta decorso tale termine, il giudice che ha provveduto all’emissione del decreto penale di condanna può operare la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità. In difetto dei presupposti, il giudice rigetta la richiesta ed emette decreto di giudizio immediato.
Trattasi di procedura ampiamente utilizzata nelle ipotesi di decreto penale di condanna a pena pecuniaria per i reati stradali punibili anche con il lavoro di pubblica utilità e avallata dalla recente giurisprudenza di legittimità “in caso di avvenuta emissione di decreto penale di condanna, il giudice per le indagini preliminari, può, su istanza dell’imputato presentata nel termine di quindici giorni dalla notifica del provvedimento, ed in assenza di presentazione, da parte di questi, di atto di opposizione, sostituire la pena pecuniaria di cui al decreto penale con quella del lavoro di pubblica utilità prevista dall’art. 186, comma 9-bis, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285” (cfr. Corte Cass., sez. IV, 13 gennaio 2021, n. 6879).
Per quanto concerne l’art. 460 c.p.p, rubricato “Requisiti del decreto di condanna”, viene previsto che il decreto penale di condanna – in particolare il dispositivo – deve contenere l’indicazione specifica che, laddove si provveda al pagamento della pena pecuniaria nel termine di 15 giorni dalla notificazione del decreto medesimo rinunciando all’opposizione, l’importo viene ridotto di un quinto. Il comma 5 dell’articolo in analisi prevede, infine, l’estinzione del reato in due ipotesi: la prima – già contemplata nella precedente formulazione – consistente nella mancata commissione, da parte del condannato, di un delitto o di una contravvenzione della medesima indole, rispettivamente nel termine di 5 e 2 anni. La seconda – apportata con la recente Riforma Cartabia – consistente nell’effettivo pagamento della pena pecuniaria (con possibilità di riduzione di un quinto delle pena pecuniaria in caso di pagamento nel termine di quindici giorni dalla notificazione del decreto).
Per quanto concerne gli articoli 461 c.p.p., rubricato “Opposizione”, e 462 c.p.p., rubricato “Restituzione nel termine per proporre opposizione”, il legislatore è intervenuto esclusivamente sotto due profili; da un lato prevedendo che la presentazione dell’atto di opposizione a decreto penale di condanna, da parte dell’imputato o del difensore nominato, debba avvenire con le forme previste dall’art. 582 c.p.p., ossia mediante deposito telematico, nella cancelleria del G.I.P. che ha provveduto all’emissione del decreto oggetto di opposizione, ovvero nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trova l’opponente, dall’altro prevedendo che l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria sono restituiti nel termine per proporre opposizione non solo a norma dell’art. 175 c.p.p., ma anche a norma dell’art. 175-bis c.p.p., ossia in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici.
In conclusione, gli obiettivi della riforma parrebbero essere quelli di raccordare la disciplina dei casi di procedimento per decreto ad altre norme inevitabilmente connesse, prevedendo, tra l’altro, la possibilità di sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità e garantire il pagamento della pena pecuniaria inflitta, subordinando la declaratoria di estinzione del reato anche all’avvenuto pagamento di detta pena, con riduzione di un quinto dell’importo della medesima nell’ipotesi di pagamento entro 15 giorni dalla notificazione del decreto, con rinuncia all’atto di opposizione.
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Avv. Filippo Cavirani
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