Il delicato equilibrio tra diritto alla bigenitorialità e diritto alla salute ai tempi del Covid-19
L’emergenza sanitaria causata dalla pandemia Covid-19 ha comportato l’inevitabile limitazione di alcune libertà personali, tra le quali rientra quella di libera circolazione, diritto riconosciuto e garantito costituzionalmente all’art. 16 Cost.. Tale restrizione trova la propria ragione nell’esigenza di salvaguardare un altro dei principi cardine del nostro ordinamento, il diritto alla salute, previsto dall’art. 32 Cost., da intendersi non solo come diritto spettante al singolo individuo bensì all’intera collettività.
Le limitazioni poste alla libertà di circolazione hanno comportato ripercussioni anche su altri diritti individuali, tra i quali il diritto alla bigenitorialità, quale diritto di ciascun bambino a intrattenere stabili rapporti con entrambi i genitori, anche nel caso in cui questi non vivano più sotto lo stesso tetto. In questo caso il genitore non collocatario ha il diritto – dovere di vedere e tenere con sé il minore esercitando il proprio diritto di visita, secondo le modalità disposte dal Tribunale o concordate con l’altro genitore. Orbene, a causa della grave pandemia che ha colpito il nostro Paese, le visite tra genitore e minore non sempre sono attuabili stante le limitazioni imposte per la tutela di un altro diritto fondamentale: il diritto alla salute. E’ di tutta evidenza come il trasferimento di persone da un luogo ad un altro porti con sé un elevato rischio di diffusione del virus con gravi ripercussioni su tutta la collettività.
Sulla portata di tale limite sono sorte non poche incertezze, complice il fatto che gli atti normativi susseguitisi nelle ultime settimane non hanno fornito risposte univoche sul punto, anzi, sembra che nella decretazione d‘urgenza il Governo si sia dimenticato di prevedere gli effetti che la restrizione alla libertà di circolazione avrebbe causato sui delicati aspetti del diritto di famiglia, e più precisamente, sui tempi di permanenza dei minori presso ciascun genitore. I dubbi sorgono dalla lettura di due provvedimenti che, emanati a breve distanza di tempo, presentano differenti contenuti: il d.P.C.M. del 9 marzo 2020 (preceduto dal d.P.C.M. dell’ 8 marzo 2020 che prevedeva limitazioni solo all’interno della Regione Lombardia e in altre 14 province) e il d.P.C.M. del 22 marzo 2020, preceduto quest’ultimo da due ordinanze, l’Ordinanza del Ministero della Salute datata 20 marzo 2020, seguita da quella del Ministero della Salute in concerto con il Ministero degli Interni del 22 marzo 2020.
Con il d.P.C.M. 9 marzo 2020, il Governo invitava le persone ad evitare spostamenti su tutto il territorio nazionale, considerando l’intero Paese un’unica “zona rossa”, prevedendo una deroga a tale limite solo in presenza di motivate e comprovate esigenze lavorative, di situazioni di necessità, ovvero per motivi di salute e consentendo il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Ciò premesso, con riferimento al diritto di visita, si deve ricordare come il Governo, nelle proprie FAQ, si era espresso nel considerare legittimi, e quindi autorizzati, gli spostamenti necessari per permettere ai figli di genitori separati di vedere entrambi i genitori. Sul punto merita di essere citato il Decreto del Tribunale di Milano datato 11 marzo 2020, con il quale è stata riconosciuta efficacia vincolante al calendario di frequentazioni concordato dai genitori per l’attuazione del diritto di visita padre – figli, ritenendo che le previsioni normative di cui all’art. 1 comma 1, lett. a), del d.P.C.M. 8 marzo 2020 n. 11, laddove autorizzavano gli spostamenti finalizzati al rientro presso la propria residenza o domicilio, non erano da ritenersi preclusive dell’attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori.
La situazione risulta più complessa con riferimento al d.P.C.M. del 22 marzo 2020, con il quale è stato vietato ogni spostamento di persone da un Comune diverso da quello di loro appartenenza, se non per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute, senza più contemplare la possibilità di fare rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. Il nuovo decreto ministeriale ritiene, ad oggi, leciti gli spostamenti solo ed esclusivamente se effettuati all’interno del medesimo Comune in quanto la regolamentazione di riferimento è il d.P.C.M. del 9 marzo 2020 e non quello del 22 marzo 2020.
E’ dunque di tutta evidenza come le problematiche sorgano con riferimento ai genitori che vivono in Comuni diversi, anche se a pochi chilometri di distanza. Stando a quanto disposto dal d.P.C.M. 22 marzo, gli spostamenti che interessano Comuni diversi, infatti, possono essere effettuati solo in presenza di situazioni di “assoluta urgenza”, tra le quali non sembra rientrare il diritto alla bigenitorialità.
In questo contesto di incertezza normativa, costituiscono un valido aiuto le linee guida desumibili dalle pronunce giurisprudenziali delle ultime settimane e dai Protocolli adottati da molti Tribunali al fine di regolamentare le singole fattispecie.
In gioco vi è il bilanciamento di due interessi: il benessere psico-fisico del minore, espressione che coincide con il the best interest of the child, principio preminente sancito dall’art. 3 della Convenzione ONU3, realizzabile in modo concreto anche grazie all’esercizio del diritto alla bigenitorialità, e il diritto alla salute fisica, diritto che spetta al singolo individuo e all’intera collettività. Se da un lato, dunque, è fondamentale garantire al minore il diritto a mantenere rapporti continuativi ed equilibrati con entrambi i genitori, anche e soprattutto in questo contesto emergenziale, dove la famiglia, mai come ora, costituisce un punto di riferimento per i più piccoli, pena la violazione dell’art. 8 Cedu, è altresì di primaria importanza tutelare la salute fisica del minore, dei genitori e, più in generale, della comunità, adottando tutte quelle misure di prevenzione necessarie ad evitare il rischio di diffusione del contagio del virus Covid-19.
Tuttavia, quale sia la corretta linea da seguire per garantire un corretto bilanciamento degli interessi in gioco non vi è uniformità di vedute. Parte della dottrina e della giurisprudenza, interpretando letteralmente il d.P.C.M. del 22 marzo, ritiene che il diritto di visita debba essere sospeso ogni qualvolta il suo esercizio implichi la necessità di effettuare spostamenti in Comuni diversi. Altro orientamento, facendo leva sulla stretta connessione che sussiste tra il diritto alla bigenitorialità e la tutela della salute psico-fisica del minore, ritiene che l’esercizio del diritto di visita non possa essere limitato, ove vengano attuate tutte le misure preventive dirette a contenere la diffusione del contagio, in quanto la sua limitazione provocherebbe conseguenze negative sul benessere dei figli.
In definitiva, per riuscire a garantire una tutela effettiva ad ambo i diritti, non è sufficiente affidarsi al dato normativo, non sussistendo un’unica soluzione in grado di disciplinare in modo astratto la generalità dei casi, ma è fondamentale che ciascun genitore si impegni, mai come ora, a rivestire diligentemente il proprio ruolo genitoriale, facendo uso del buon senso. E’ ragionevole, quindi, ipotizzare la sospensione/limitazione del diritto di visita ogniqualvolta vi sia una notevole distanza chilometrica tra i Comuni, nell’ipotesi in cui l’abitazione delle parti coinvolte si trovi in zone ove sono in atto gravi focolai epidemici o, per esempio, ove sia necessario usufruire del trasporto pubblico per raggiungere l’altra abitazione (decisamente meno sicuro del trasporto da effettuarsi tramite mezzo privato). Altro aspetto rilevante da valutare può essere la professione esercitata dal genitore non collocatario. E’ evidente che se dovesse trattarsi di una professione cd. “a rischio” sarebbe senza dubbio interesse del minore sospendere temporaneamente l’esercizio del diritto di visita. In ogni caso, le tecnologie attualmente disponibili consentono, anche qualora risulti necessario sospendere/limitare temporaneamente le visite genitore-figli, di garantire al minore e al genitore non collocatario di continuare ad avere tra loro rapporti continuativi tramite, ad esempio, chiamate o videochiamate quotidiane, così da evitare una brusca interruzione del rapporto che risulterebbe pregiudizievole per entrambi.
Ecco dunque che, in questa fase di emergenza sanitaria, la sospensione/limitazione del diritto di visita non può essere frutto della decisione assunta arbitrariamente da uno dei genitori a danno dell’altro, non potendo costituire un pretesto per allontanare il figlio dall’altra figura genitoriale in quanto, così facendo, si comprometterebbe inevitabilmente la salute psico-fisica del minore. E’ di primaria importanza, difatti, non dimenticare che il diritto di visita, prima di essere un diritto dei genitori è un diritto del figlio, il quale, per poter crescere serenamente, necessita di coltivare e mantenere rapporti continuativi ed equilibrati con entrambi i genitori.
1 FAQ diramate dalla Presidenza del CDM in data 10.03.2020 indicano al punto 13 che gli spostamenti per raggiungere i figli minori presso l’altro genitore o presso l’affidatario sono sempre consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione e divorzio.
2 Di seguito alcune tra le pronunce giurisprudenziali più rilevanti in materia: Tribunale di Napoli con Decreto del 26.03.2020 ha disposto che “la frequentazione sia assicurata al padre con colloqui da remoto anche a mezzo di videochiamata con i figli a cadenza quotidiana secondo orario che i genitori concorderanno”; Tribunale di Matera con provvedimento del 12.03.2020 ha disposto la sospensione degli incontri protetti padre-figlio ritenendo che, “nell’ottica del bilanciamento tra l’interesse del minore a mantenere un rapporto significativo con il padre e quello di restare a casa per evitare il rischio del contagio Covid – 19, debba prevalere quest’ultimo funzionale alla tutela del superiore interesse alla salute”; Corte d’Appello di Bari, con provvedimento del 16.03.2020 ha rigettato l’istanza con la quale una coppia di genitori, entrambi decaduti dalla responsabilità genitoriale, chiedevano che le minori venissero autorizzate a lasciare la comunità dove erano collocate per far rientro presso la casa familiare, ritenendo che in famiglia il pericolo del contagio fosse meno elevato.