Il delitto di autoriciclaggio: profili problematici

Il delitto di autoriciclaggio: profili problematici

L’art.3 della L. 15 dicembre 2014 n.186 ha introdotto all’art. 648-ter.1 del nostro sistema normo-codicistico penale la fattispecie di autoriciclaggio e, attraverso un’inserzione dell’art.25-octies di cui al d.lgs.231/2001, ha incluso tale figura nel novero dei reati-presupposto caratterizzanti il regime disciplinare della responsabilità amministrativa ex crimine degli enti. La scelta del legislatore è ricaduta sull’orientamento secondo cui aggiungere maggior disvalore penale alla condotta di cd. “reimpiego”, seppur apportandovi alcuni correttivi in ordine alla volontà dell’autore, da un lato e a quella del concorrente nel delitto presupposto, dall’altro, avrebbe importato la previsione ex novo di una figura delittuosa piuttostochè la rimodulazione del paradigma nominale di cui all’art.648-bis c.p. Sicchè, finalmente esordisce nel codice penale l’art.648-ter.1 che punisce, con  la reclusione da due a otto anni e la multa da 5.000 a 25.000 euro, chi, “avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Prosegue, al secondo comma – con una cornice edittale più tenue – sancendo “la reclusione da uno a quattro anni e la multa da 2.500 a 12.500 euro, se il delitto non colposo presupposto è punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni”; mentre tornano ad applicarsi pene più severe al comma terzo “se si tratta di delitto commesso con le modalità di cui all’art.7 del d.l. n.152 del 1991”, che prevede l’aggravante del fine e delle condizioni e del metodo di agevolazione mafiosa. Al quarto comma, invece, raffiora una discutibilissima causa di non punibilità in relazione alle condotte “per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”. Infine, l’innesto di una circostanza aggravante ad effetto comune al quinto comma, allorchè i fatti siano stati commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o un’altra attività professionale e con una diminuzione di pena a dir poco rilevante nel caso l’autore “si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti dal delitto”.

Sin dall’entrata in vigore della norma in materia di autoriciclaggio, non pochi problemi sono sorti sull’interpretabilità ed applicabilità della fattispecie incriminatrice ed i suoi effetti penalmente rilevanti che, per esigenze contenutistiche limitate di questo contributo, si accingerà a circoscrivere a tre ambiti essenziali: 1) il tema del concorso nell’autoriciclaggio, con annessi rapporti intercorrenti tra le fattispecie di riciclaggio e autoriciclaggio; 2) il perimetro di estensione della responsabilità dell’ente al delitto non colposo di autoriciclaggio; 3) i profili di diritto intertemporale.

La trattazione della prima problematica presuppone anzitutto il superamento del dogma dell’unicità del titolo di reato, come d’altronde caldamente sostenuto dalla più recente Cassazione sulla qualificazione delle condotte soggettive differenziate secondo il coefficiente di adesione psicologica alla fattispecie delittuosa, muovendo dall’ipotesi in cui il terzo extraneus istighi l’autore o concorrente nel delitto presupposto a porre in essere la condotta di impiego. Una dottrina particolarmente avveduta sentenzierebbe – sic et simpliciter – concorso del terzo in autoriciclaggio: la condotta tipica dell’autore del predicate crime anticiperebbe la soglia della penale responsabilità al punto da fungere quale vis attractiva verso le altre condotte penalmente rilevanti ex art.648-ter.1 c.p. Diversamente, qualora l’extraneus ponga in essere la condotta di impiego, su incarico dell’autore del delitto presupposto, nel qual caso si configurerebbe il concorso del terzo nel delitto di riciclaggio, non sanzionandosi l’apporto dell’intraneus alla luce della clausola di riserva di cui all’ultimo comma dell’art.648-bis c.p. e contravvenendo così alla originaria voluntas legis.

La seconda questione problematica attiene, invece, all’inclusione nel catalogo dei reati-presupposto di cui al d.lgs.231 del 2001, della fattispecie di autoriciclaggio. Il presupposto dal quale partire per decretare la punibilità della condotta posta in essere dalla persona giuridica a titolo di autoriciclaggio muove dall’assunto cristallizzatosi nella Circolare n. 19867 del 15 giugno 2015 di Confindustria secondo cui, ai fini dell’ascrizione della responsabilità ex crimine all’ente, è necessario che il reato presupposto sia preveduto e punito dal d.lgs.231/2001, ossequiando così le logiche del principio di tassatività, baluardo della legalità di uno Stato di diritto sempre più tiranno e superbamente emblematico di un Diritto Penale onnivoro, frutto di una politica criminale (quasi) simbolica, pressochè cosmetica, a detta dei più illuminati esponenti della dottrina penalistica contemporanea. Unica soluzione plausibile apparirebbe il dover l’ente preoccuparsi di rafforzare ulteriormente i presidi interni al fine di prevenire il cd. “rischio-reato”, investendo l’intraneus risorse monetarie di provenienza illecita in attività economico-finanziarie o speculative. Di tal che si potrebbe facilmente dedurre che la soluzione criminosa più confacente ad una “malpractice organizzativa” dell’ente si concreterebbe nella fattispecie di riciclaggio in luogo di autoriciclaggio.

Terza ed ultima questione problematica concerne il peculiare profilo di diritto intertemporale, ovverosia l’applicazione dell’art.648-ter.1 a proventi di fatti illeciti commessi prima dell’entrata in vigore della norma incriminatrice. Presupposto indefettibile sarebbe rappresentato dalla “reimmissione” nel circuito legale di proventi delittuosi, scaturenti da una condotta illecita realizzata a valle, così evidenziando lo stretto rapporto intercorrente tra reato a monte e successiva “messa a reddito” dei proventi, reato di autoriciclaggio e condotta di impiego di tali risorse, unico comportamento non sanzionato antecedentemente l’entrata in vigore della fattispecie di cui all’art.648-ter.1.

Rebus sic stantibus, risulta alquanto difficile controvertire l’orientamento da ultimo maturato in seno all’illustre consesso di Piazza Cavour circa l’ascrizione della responsabilità penale per aver commesso fatti di autoriciclaggio, in quanto la fattispecie incriminatrice punirebbe esclusivamente le condotte poste in essere dall’intraneus che abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo-presupposto, giacchè in precedenza non sanzionate. Diversamente, il contributo causale agevolatorio dell’extraneus verrebbe ad essere punito ai sensi dell’art.648-bis c.p. – quale fatto di compartecipazione al riciclaggio di beni dalla provenienza illecita – più gravemente di quanto accadrebbe applicando il combinato disposto di cui agli artt.110-117 e 648-ter.1 del codice penale, in materia di concorso di persone nel reato [Cfr., Cass., Sez.II, sent. 17 gennaio 2018 (dep. 18 aprile 2018) n. 17235, Pres. Diotallevi, Rel. Beltrani].


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