Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone
Sommario: 1. Premessa – 2. La natura giuridica dei reati ex artt. 392 e 393 c.p. – 3. Il criterio distintivo tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e il reato di estorsione – 4. Il concorso del terzo
1. Premessa
Il delitto di «esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone», previsto e punito dall’art. 393 c.p., nonostante sia stato inserito dal Legislatore nel Titolo III del Libro II del codice di rito – concernente i delitti contro l’Autorità Giudiziaria – condivide con il più grave reato di «estorsione» – disciplinato dall’art. 629 c.p. – diversi elementi.
Invero, entrambi sono connotati dall’utilizzo, ai fini dell’integrazione del delitto, della violenza o della minaccia alle persone, utile a costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualche cosa.
Con la sentenza enunciata dalle delle Sezioni Unite n. 29541 del 16/07/2020, dep. 23/10/2020, Filardo, la Corte di Cassazione ha inteso superare alcuni contrasti giurisprudenziali formatisi nel corso degli anni.
Più in particolare, gli Ermellini si sono soffermati su tre fondamentali e differenti princìpi di diritto e per i quali hanno precisato: 1) la natura giuridica del reato ex art. 393 c.p.; 2) il criterio distintivo tra i due reati de qua; 3) il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone.
2. La natura giuridica dei reati ex artt. 392 e 393 c.p.
In primo luogo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto il contrasto ermeneutico riguardante la natura giuridica dei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Invero, la dottrina tradizionale, nonché una parte minoritaria di quella più recente, afferma che i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni siano classificabili come reati comuni (facendo leva, in particolare, dall’utilizzo, negli articoli de qua, del termine “chiunque” per indicare il soggetto attivo).
La dottrina maggioritaria più recente – in senso diametralmente opposto – afferma invece la natura di reato proprio dei reati previsti dagli artt. 392 e 393 c.p., poiché perpetrabili soltanto dal titolare del preteso diritto, dal soggetto che in sua vece esercita legittimamente tale diritto ovvero dal negotiorum gestor.
Conformandosi a quest’ultima interpretazione, le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto dottrinale statuendo che detti delitti hanno natura giuridica di reati propri.
3. Il criterio distintivo tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e il reato di estorsione
Ma il tema più dibattuto e controverso posto all’attenzione degli Ermellini riguarda, essenzialmente, il criterio distintivo tra il reato previsto e punito dall’art. 393 c.p. e quello ex art. 629 c.p.
Il contrasto ermeneutico si fonda su due tesi.
Secondo una prima tesi, il criterio di distinzione tra i due reati ora richiamati, viene individuato nell’elemento psicologico in quanto, nel delitto di estorsione, l’intenzione dell’agente è di procurarsi un ingiusto profitto; invece, nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, il reo agisce per conseguire un’utilità che ritiene spettargli senza tuttavia – pur potendolo fare – adire l’Autorità.
Altro filone giurisprudenziale, al contrario, afferma che la distinzione tra i due reati in oggetto deve essere individuata nella materialità del fatto, ovverosia verrà contestato il delitto ex art. 393 c.p. ogniqualvolta la condotta violenta o minacciosa dell’agente non sia sproporzionata e miri a far valere il diritto preteso; di conseguenza, qualora la violenza (o la minaccia) sia estrinsecata in forme di forza intimidatoria e sistematica pervicacia tali da eccedere ogni ragionevole intento di far valere un diritto ovvero quando detto asserito diritto manchi del tutto – assumendo la coartazione il carattere di una vera e propria ingiustizia – si ricadrà nell’alveo dell’art. 629 c.p.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto l’affannoso contrasto abbracciando la prima delle tesi suesposte: il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico: «nel primo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta e arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia»[1]
La Corte di Cassazione ha precisato, inoltre, che la materialità delle due fattispecie non risulta pienamente sovrapponibile considerato che solo in quella di estorsione è normativamente richiesto il verificarsi di un effetto di “costrizione” della vittima, conseguente alla violenza o alla minaccia, tale da indurre il soggetto passivo, di cui è compressa la libertà di autodeterminazione, all’adozione della prestazione patrimoniale in suo danno.
4. Il concorso del terzo
In ultimo, le Sezioni Unite hanno affrontato un’altra importante questione rimessa al loro esame, ossia la connotazione del concorso di persone nei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
I Giudici di legittimità hanno tradizionalmente affermato che per configurare il reato ex art. 393 c.p. in luogo di quello ex art. 629 c.p., nel caso in cui la condotta tipica sia posta in essere da un terzo, occorre assolutamente che il terzo agisca con il precipuo scopo di esercitare il preteso diritto per conto del suo effettivo titolare; nel caso contrario, qualora il terzo agisca, invece, per un proprio tornaconto personale, anche se di natura non patrimoniale, dovrà ritenersi integrato il concorso nel reato di estorsione ex artt. 110 e 629 c.p.
Ed è proprio questo orientamento che trova condivisione nella sentenza delle Sezioni Unite.
Va da sé, quindi, che «il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa e ulteriore finalità».
[1] Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo e altri.
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Giovanni Vacirca
Il Dott. Giovanni Vacirca ha conseguito la Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Enna “Kore” il 17 luglio 2018 con il voto di 105/110, discutendo la tesi “Investigazioni difensive ed effettività del diritto di difesa”.
Durante il periodo universitario ha frequentato diversi seminari tra i quali spiccano “La mediazione penale tra passato, presente e futuro” e “Crisi e politiche monetarie” e “Workshop informativo sulla disoccupazione giovanile e nuove politiche comunitarie”.
Ha ottenuto la Certificazione delle Competenze linguistico-comunicative Livello B1 del Q.C.R.E. (Quadro comune di riferimento per la conoscenza delle lingue).
Ha iniziato la pratica forense presso due studi legali a Catania subito dopo il conseguimento della Laurea, orientata esclusivamente in diritto penale, conclusa con diligenza nel marzo 2020.
Ha frequentato con assiduità ed impegno la Scuola Forense “Vincenzo Geraci” dell’Ordine degli Avvocati di Catania.
Ha superato brillantemente l'esame di abilitazione alla professione forense nel dicembre 2021.
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