Il delitto di Oltraggio a Pubblico Ufficiale: disamina di una fattispecie riscritta

Il delitto di Oltraggio a Pubblico Ufficiale: disamina di una fattispecie riscritta

Sommario: 1. Evoluzione normativa, e tratti essenziali del “ricostituito” delitto di Oltraggio a P.U. – 2. La vexata quaestio in ordine alla nozione delle “più persone presenti

 

1. Evoluzione normativa, e tratti essenziali del “ricostituito” delitto di Oltraggio a P.U.

La peculiare fattispecie di reato disciplinata dall’ odierno art. 341-bis c.p., a seguito della formale abrogazione avvenuta ad opera della l. 205/1999, è stata re-introdotta dal Legislatore, per effetto dell’art. 1, comma 8, l. n. 94 del 15.7.2009, con il precipuo scopo di assicurare una tutela rafforzata alla dignità sociale di quei soggetti rivestenti la qualifica di pubblico ufficiale.

Tanto doverosamente premesso sul piano storico-normativo, occorre adesso procedere con l’analisi degli elementi connotanti la nuova figura delittuosa.

Ebbene, da un’oculata disamina del dato testuale cristallizzato all’interno del nuovo art. 341-bis c.p., emerge chiaramente come, a differenza dell’abrogato art. 341 c.p., il quale considerava il reato in questione quale “alternativamente” offensivo dell’onore e del decoro del pubblico ufficiale, l’attuale assetto normativo postuli, piuttosto, la sussistenza di una duplice assetto lesivo, involgente cioè, tanto l’onore, quanto il prestigio connesso all’esercizio della funzione pubblica.

Tanto basta per agevolmente comprendere come il comportamento tipico, per assurgere a rango di condotta in concreto penalmente rilevante, non possa risultare confinato entro la intima sfera personale della persona fisica in quanto tale, essendo, per converso, necessaria la contestuale lesione del prestigio sotteso al munus pubblicistico incarnato dal soggetto passivo del reato.

A questo proposito, significativo appare l’assunto esegetico, più volte ribadito dal Supremo Consesso di legittimità, secondo cui, ai fini dell’integrazione del delitto in parola, “è necessario che, l’offesa attinga l’apprezzamento di sé del pubblico ufficiale sia nella dimensione personale, sia nella dimensione funzionale e sociale, potendosi giustificare la tutela assicurata ai pubblici ufficiali dalla fattispecie di cui all’art. 341-bis cod. pen., rafforzata rispetto a quella dei comuni cittadini, soltanto allorché sia minata, più che la reputazione del singolo esponente, la reputazione dell’intera Pubblica Amministrazione”(cfr: Cass. Pen. Sez. VI, n. 30136/2021).

In aggiunta alla necessaria struttura plurioffensiva di cui sopra, il Legislatore, nel chiaro intento di ulteriormente esaltare la caratura pubblicistica della figura delittuosa in disamina, non si è limitato a riproporre, quale porzione costitutiva dell’illecito penale, il nesso di occasionalità tra l’offesa e le funzioni esercitate dal pubblico ufficiale, esigendo, per contro,  che la condotta lesiva dell’altrui decoro e reputazione si realizzi “mentre il P.U. compie un atto del suo ufficio”.

Ma vi è di più. Sempre allo scopo di circoscrivere il perimetro della tipicità penale alle sole condotte concretamente lesive del bene oggetto di protezione giuridica, nella odierna disposizione incriminatrice s’innestano due ulteriori segmenti strutturali, ovvero: il requisito della pubblicità dell’offesa, alla cui stregua è necessario che la condotta oltraggiosa si esplichi “in luogo pubblico o aperto al pubblico”; nonché, quello della presenza, nel momento consumativo del fatto delittuoso, “di più persone.

Quanto al primo dei requisiti summenzionati, per luogo pubblico, alla luce della costante elaborazione di matrice dottrinale e giurisprudenziale, deve intendersi quello il cui accesso sia normalmente, ed in via continuativa, consentito ad un numero indeterminato di persone: si pensi, ad esempio, comunemente ad una pubblica via.

Diversamente, con il sintagma “luogo aperto al pubblico”, si suole generalmente identificare quel luogo il cui accesso sia consentito, in presenza di determinate condizioni, ad una specifica categorie di persone, al solo fine del soddisfacimento di particolari interessi ad appannaggio pubblicistico, parimenti meritevoli di tutela: come classico esempio si pensi all’ingresso in un pubblico ufficio.

2. La vexata quaestio in ordine alla nozione delle “più persone presenti

Alla specifica qualità del luogo si aggiunge, altresì, quale ulteriore elemento di cernitura dell’offesa giuridicamente rilevante, come già sopra accennato, il requisito della “presenza delle più persone”.

Il problema dell’esatta perimetrazione concettuale di quest’ultimo requisito – oramai considerato, a differenza del previgente impianto normativo, alla stregua di necessario elemento oggettivo del fatto tipico – è stato oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali.

Secondo un primo orientamento ermeneutico della Suprema Corte regolatrice, da considerarsi, allo stato, maggioritario, all’interno del novero concettuale delle più persone in presenza delle quali deve consumarsi l’offesa oltraggiosa – almeno due – “non possono computarsi quei soggetti che, pur non direttamente attinti dall’offesa, assistano alla stessa nello svolgimento delle loro funzioni” .

Più nello specifico, come meglio lumeggiato nella pronuncia suddetta, “il requisito della pluralità di persone alla cui presenza deve svolgersi la condotta oltraggiosa è integrato unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione ( ossia dai “ civili”), ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio – temporale non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente(cfr. ex multis, Cass. Pen. Sez. VI, n. 11820/2022).

Viceversa, secondo un altro, e più restrittivo indirizzo esegetico, recentemente inaugurato dalla Suprema Corte, la nozione rilevante delle “più persone”, dovrebbe essere intesa nel senso che “la sola circostanza della presenza di plurimi pubblici ufficiali non possa, di per sé, precludere sempre e comunque l’applicabilità della fattispecie in esame, ove si accerti che i soggetti presenti, pur riconducibili alla medesima articolazione della pubblica amministrazione, stiano svolgendo, in concreto, funzioni ed atti di natura diversa” (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, n. 211/2024).

Il fondamento ontologico della prefata impostazione interpretativa, più o meno opinabile, andrebbe ravvisato, ad avviso del Giudice di legittimità, nella esigenza di assicurare una protezione ai beni giuridici del prestigio e dell’onore della P.A. anche nelle ipotesi in cui la condotta oltraggiosa, indipendentemente dalla sussistenza di atti d’ufficio in corso di svolgimento, risulti, comunque idonea, per le sue intrinseche caratteristiche, a compromettere e/o condizionare il regolare esercizio della funzione pubblica.

Da ultimo, un’ulteriore questione che merita qui di essere affrontata, è quella afferente alla necessità o meno che le frasi oltraggiose risultino essere “effettivamente percepite” dalle persone che debbano considerarsi presenti nei termini anzidetti.

A fronte della tesi privilegiata dalla dottrina maggioritaria secondo cui, il requisito dell’effettiva percezione debba intendersi quale ineluttabile segmento costitutivo della fattispecie de qua, la giurisprudenza, anche di merito, è propensa, di contro, nel ritenere bastevole, quale conditio sine qua non del momento consumativo, la mera possibilità di percezione dell’offesa, fermo restando la necessità per cui risulti debitamente provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la presenza delle persone sul luogo oggetto di verificazione del fatto storico.

A riprova della predilezione del crinale ermeneutico appena tracciato vale la pena, in chiusura, richiamare il granitico principio di diritto, soventemente espresso dal Supremo Consesso di legittimità, alla cui stregua, “ai fini della configurabilità del reato di oltraggio previsto dall’art. 341-bis cod. pen. è necessario che l’azione si svolga in presenza di almeno due persone, tale essendo il requisito numerico minimo perché possano ravvisarsi “più persone”. Una volta che sia provata la presenza di più persone, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all’art. 341-bis cod. pen. è però sufficiente la mera possibilità della percezione dell’offesa da parte dei presenti, atteso che già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie(cfr. ex multis, Cass. Pen. Sez. VI, n. 47879/2019).


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Gabriele Ferro

Laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Siena, attualmente praticante avvocato, con predilezione per il settore del diritto penale sostanziale e processuale.

Articoli inerenti