Il destino del dibattito pubblico in Italia: utilità e prospettive
Nel diritto amministrativo italiano, dottrina autorevole ha spesso lamentato una disparità nel rapporto tra le pubbliche istituzioni ed i cittadini, complice l’assenza di una cornice generale di regole condivise sulla partecipazione all’attività amministrativa generale[1]. Questa mancanza, non riscontrabile in altri ordinamenti[2], rischierebbe di ostacolare la formazione, da parte dei cittadini, di una «cultura alla partecipazione»[3].
Il tema assume un ruolo particolarmente rilevante nel campo della realizzazione di progetti infrastrutturali[4], ove possono verificarsi situazioni di elevata conflittualità (emblematico il caso della tratta ferroviaria ad Alta Velocità Torino-Lione, la c.d. linea «TAV»)[5]. La prassi ha conosciuto un pesante insuccesso delle tecniche di “contrattualizzazione” del dissenso, come compensazioni (monetarie o nella forma della realizzazione di opere alternative), o meccanismi d’asta, adottate proprio per bilanciare l’iniqua ripartizione dei benefici per la popolazione locale e per rendere desiderabili le infrastrutture sul territorio.
Per tentare di far comunicare le posizioni delle parti coinvolte nelle politiche infrastrutturali, si è iniziato, da tempo, a fare ricorso a strumenti di ascolto e di partecipazione degli interessati[6], tra i quali spicca certamente il dibattito pubblico (di cui si parlerà nel seguito della trattazione): un istituto di democrazia partecipativa che consente alle comunità territoriali interessate dalla realizzazione di una grande opera infrastrutturale di esprimere all’amministrazione pubblica il proprio punto di vista in merito a differenti aspetti concernenti l’opera medesima, quali i profili d’impatto ambientale, paesaggistico, economico e, non da ultimo, di opportunità[7].
Non solo il legislatore ma anche numerosi studi hanno affrontato il problema della miglior soluzione per sciogliere il c.d. nodo del consenso (ovvero i frequenti dubbi, che sfociano poi in dissenso e contestazioni sulla realizzazione di opere di rilevante impatto sociale e ambientale), ponendo l’attenzione sul ruolo degli istituti di democrazia partecipativa[8].
Il Consiglio di Stato ritiene il dibattito pubblico «uno strumento prezioso a monte, per la risoluzione dei conflitti sociali eternamente irrisolti, spesso proprio a causa di una perpetua e non sempre giustificata sfiducia dei privati nei confronti di qualsiasi tipo di intervento infrastrutturale nel territorio di residenza (la sindrome Nimby)»[9].
La democrazia partecipativa nella maggior parte dei Paesi europei si è affermata specialmente in due ambiti settoriali: la disciplina dell’urbanistica e della pianificazione territoriale; la materia ambientale. In Francia, il débat public si è affermato principalmente per il secondo.
Come l’equivalente italiano, anche in questo Stato si parla di un mezzo di partecipazione improntato al dialogo ed all’informazione e non alla decisione finale.
Poiché in Italia storicamente non ha attecchito il metodo partecipativo si è spesso parlato di una mancanza di «cultura della partecipazione» nel nostro Paese[10] e, più in generale, di una carenza di strumenti efficaci per la gestione di controversie caratterizzate da un «elevatissimo numero di soggetti interessati»[11]. Diversi studiosi chiedevano uno strumento di dialogo per affrontare la decisione di realizzare un’opera e il dibattito pubblico, tra tutti gli istituti di democrazia partecipativa, era quello che rispondeva meglio a questa necessità[12]. Anche nella pubblicistica di settore da tempo, veniva invocata la necessità di sviluppare momenti di informazione e di dialogo con tutti i portatori di interesse sulla scia di esperienze estere provenienti dal mondo anglosassone e dalla Francia[13].
L’introduzione del dibattito pubblico in Italia si deve all’apertura del legislatore italiano ad istituti atti a coinvolgere gli amministrati, e ciò in risposta ai problemi dati dall’approccio DAD (tra questi ovviamente si può trovare il fenomeno NIMBY).
In Italia il dibattito pubblico entra nella legislazione solo nel 2016, in seno alla disciplina degli appalti pubblici, successivamente sia all’esperienza francese (in cui, come detto in precedenza, se ne parlava sin dalla Loi Barnier del 1995), sia a quella regionale.
L’articolo 22[14] del c.d. Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50[15]) ha previsto che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori pubblichino, nella propria qualifica di committente, i progetti di fattibilità relativi alle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio, nonché gli esiti della consultazione pubblica, comprensivi dei resoconti degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse[16]. La stessa norma ha poi rimandato ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di stabilire i criteri per l’individuazione delle opere per le quali è obbligatorio il ricorso al dibattito pubblico, le modalità di svolgimento e il termine di conclusione della medesima procedura[17].
L’articolo rappresenta uno dei vincoli che il legislatore prevede per espressa decisione e non in base ad obblighi derivanti da direttive comunitarie[18]. Con la medesima norma, sono stati introdotti nell’ambito delle norme relative alla pianificazione, programmazione e progettazione, alcuni nuovi obblighi relativi alla «trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico». Tra i princìpi cardine da seguire nella stesura del successivo decreto spiccano la trasparenza stessa, pubblicità e neutralità[19].
In attuazione dell’articolo 22, è stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 maggio 2018, n. 76, “Regolamento recante modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico”.
I pilastri del regolamento sono: che i grandi interventi infrastrutturali siano decisi a seguito di confronto pubblico, svolto nella fase iniziale del progetto (quando tutte le opzioni sono ancora possibili, compresa la c.d. opzione zero[20]), con le comunità locali; che i risultati siano utili a migliorare la progettazione delle opere, in modo che queste siano più vicine alle esigenze degli amministrati; che il dialogo possa ridurre la conflittualità sociale che solitamente accompagna realizzazione delle grandi opere[21].
Anche in Italia si prende grande spunto dall’esperienza francese, con la Commissione Nazionale per il dibattito pubblico, come perno della disciplina. Il suo compito principale è quello di raccogliere e pubblicare informazioni sui dibattiti pubblici, presentare raccomandazioni e monitorare sul corretto funzionamento delle procedure. Si occupa inoltre: di rendere trasparente il confronto con i territori sulle opere pubbliche, attraverso procedure che garantiscano il coinvolgimento delle comunità interessate; di migliorare la qualità delle progettazioni delle opere pubbliche di grande rilevanza; di semplificare l’esecuzione dell’opera attraverso scelte ponderate, al fine di ridurre l’aggravio dei contenziosi.
Come si è potuto vedere, il dibattito pubblico nasce in risposta alla richiesta di dottrina[22] (e non solo[23]) di uno strumento capace di sintetizzare gli interessi in gioco per la realizzazione delle grandi opere, materia in cui si è a lungo ritenuta necessaria una partecipazione più forte dei cittadini[24]. Tra le finalità vi è anche quella di migliorare la qualità delle decisioni pubbliche e contribuire alla loro legittimità democratica[25]. Essendo un istituto che premia il confronto tra le parti si è sottolineata l’importanza della fiducia che deve regnare tra cittadini, amministrazioni e soggetti che curano il dialogo. Qualora essa venisse a mancare, il dibattito avverrà in un clima decisamente ostile[26], non potendo esplicare i suoi vantaggi, soprattutto quello fondamentale di evitare il contenzioso.
In tal senso è rilevante soprattutto il comportamento del coordinatore, soggetto chiamato a favorire la partecipazione degli interessati e che quindi dovrebbe essere molto vicino ai comuni cittadini. La formazione del professionista, pertanto, è molto importante: si richiedono determinate capacità, sia dal punto di vista professionale (mediare tra più soggetti), sia dal punto di vista dell’empatia (deve essere neutrale e non prendere parte)[27].
La partecipazione degli interessati può essere stimolata in diversi modi (anche “atipici”): sarà il singolo coordinatore a valutare la situazione e decidere gli strumenti migliori in base ad essa[28].
Ruolo cardine è ovviamente detenuto anche dalle stesse stazioni appaltanti[29], le quali devono essere aperte al dialogo: se si mostrassero troppo chiuse sulle proprie posizioni, rischierebbe di saltare il rapporto di fiducia con i cittadini, che potrebbero solo impugnare l’opera nelle fasi successive.
Anche nella fase di realizzazione dell’opera (e non solo in quella di dibattito) le amministrazioni aggiudicatrici hanno una posizione fondamentale: dovranno tenere conto delle richieste e delle preoccupazioni avanzate e, ove possibile, dare una spiegazione ai cittadini in modo chiaro e convincente.
La speranza è che l’istituto in questione possa apparire non soltanto come un mezzo garantista per la partecipazione degli interessati, ma anche come uno strumento idoneo a migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione in una materia delicata come quella del governo del territorio.
Nonostante in poche occasioni il dibattito pubblico abbia causato il rigetto del progetto, esso ha comunque determinato delle modifiche[30]. Tramite l’impegno di tutte le parti in gioco, l’istituto produce scelte nuove e “più consapevoli” degli interessi e delle conseguenze dell’opera.
Nonostante quanto sopra, si deve tuttavia far presente che il dibattito pubblico, così come lo conosciamo rischia di trovare un brusco rallentamento. La normativa dedicata all’istituto del d.lgs. 36/2023 (c.d. Codice dei Contratti pubblici) segna un grande passo indietro nell’affermazione nel nostro ordinamento di questo importante strumento di democrazia partecipativa.
L’articolo 40 della citata norma infatti rimanda per la disciplina specifica del dibattito pubblico all’Allegato numero I.6 del Codice, il quale verrà abrogato da un regolamento adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica e il Ministro della cultura, che lo sostituirà integralmente.
Come fatto presente dalla Commissione Nazionale per il Dibattito Pubblico, dalle disposizioni in esame verrebbero meno molti dei fattori che hanno costituito la “fortuna” dell’istituto[31].
Le norme (codice e allegati), escludono la partecipazione dei singoli cittadini, consentendo di prendere parte al Dibattito Pubblico alle sole amministrazioni interessate e ai portatori di interesse collettivo.
Il codice non nomina e non tiene in considerazione neanche Commissione Nazionale, che verrebbe così abrogata. Il principio di neutralità della procedura verrebbe meno: il procedimento, in assenza della Commissione Nazionale quale organo esterno, si avvierebbe e si concluderebbe fra la stazione appaltante ed il Responsabile del Dibattito Pubblico, il quale, invece di rappresentare con imparzialità tutti i punti di vista emersi, deciderebbe discrezionalmente quali siano gli argomenti maggiormente significativi emersi da indicare nella relazione conclusiva.
Anche il principio del giusto procedimento e il principio europeo sulla partecipazione pubblica, verrebbero azzerati dall’abrogazione della Commissione Nazionale, in quanto organo preposto alla vigilanza ed al rispetto di tali principi.
La trasparenza che contraddistingue il dibattito verrebbe meno in quanto, il codice non fa cenno alla pubblicità ed alla corretta informazione che sono alla base del Dibattito pubblico, affidando alla stazione appaltante un generico obbligo di pubblicazione sul sito web.
Si dovrà quindi attendere che venga abrogato l’Allegato I.6 in seguito all’entrata in vigore del regolamento ministeriale, per conoscere quale sarà la disciplina compiuta dell’istituto del dibattito pubblico e capire soprattutto se potrà ancora in futuro esplicare tutte le funzioni ed utilità esposte.
[1] Cfr. M. Nigro, Il procedimento amministrativo tra inerzia legislativa e trasformazioni dell’amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge), in Dir. proc. amm., 1989, p. 13; Id, Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, IV, p. 1623; G. Pastori, Il procedimento amministrativo tra vincoli formali e regole sostanziali (1987), ora in Scritti scelti, Napoli, 2010, I, pp. 361 ss.
[2] Si pensi al caso statunitense con l’Administrative Procedure Act, grazie al quale i cittadini possono esprimere la propria “voce”, tanto nei procedimenti particolari quanto in quelli generali.
[3] A. Averardi, L’incerto ingresso del dibattito pubblico in Italia, in Giorn. dir. amm., 2016, IV, p. 510. Secondo l’Autore l’istituto del dibattito pubblico potrebbe offrire un’occasione per «coltivare una dimensione relazionale più matura tra i cittadini e i decisori». Posizione, quest’ultima, condivisa anche da I. Casillo, in occasione del Convegno Le citoyen et la décision publique. Enjeux de légitimité et d’efficacité, dans le Plénière 3 “Les pratiques de participation du public à l’étranger”, 2014.
[4] B.G. Mattarella, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2018, p. 8, secondo cui nella materia del governo del territorio «le decisioni delle amministrazioni sono rivolte alla generalità dei cittadini, ma incidono in modo particolare sugli interessi di determinati soggetti, che vivano o operino nelle relative zone: è per questo che, nei procedimenti volti all’adozione dei relativi atti, è ampiamente consentita la partecipazione dei soggetti interessati, ai quali è data la possibilità di far valere i propri interessi e di formulare proposte e osservazioni».
[5] Si v. Averardi, Amministrare il conflitto. Costruzione di grandi opere e partecipazione democratica, in Riv. trim. dir. pubbl., 2015, IV, pp. 1177-1183.
Riguardo il caso TAV si v. anche F. Celata, Governance e partecipazione nella pianificazione della Torino-Lione: relazioni tra attori in un contesto conflittuale, Working Papers n. 28, Dipartimento di Studi geoeconomici linguistici statistici storici per l’analisi regionale, Università degli Studi di Roma La Sapienza, 2005. pp. 7-10.
[6] L. Casini, La partecipazione nelle procedure di localizzazione delle opere pubbliche. Esperienze di diritto comparato, in A. Macchiati, G. Napolitano (a cura di), È possibile realizzare le infrastrutture in Italia?, Bologna, 2009, pp. 139 ss.
[7] Questa la definizione reperibile nell’Osservatorio sul dibattito pubblico.
[8] Cfr. S. Cassese, La partecipazione al procedimento amministrativo in Italia e fuori d’Italia, ovvero la democrazia amministrativa, in R. Balduzzi (a cura di), Annuario DRSAD, Milano, 2011, pp. 212 ss.
[9] Parere n. 359 del 2018, con cui la Commissione speciale dello stesso Consiglio si esprimeva sullo schema di regolamento da parte della Presidenza del Consiglio.
[10] G. Azzariti, Democrazia partecipativa: cultura giuridica e dinamiche istituzionali, in Costituzionalismo.it, 2009, III, p. 1. Si parla in tema di partecipazione di un «gap culturale che colloca queste riflessioni in un ambiente che si rivela nel suo complesso sostanzialmente ostile». A riguardo si veda anche Averardi, L’incerto ingresso del dibattito pubblico in Italia, cit., p. 510. Secondo l’Autore l’istituto del dibattito pubblico potrebbe offrire un’occasione per «coltivare una dimensione relazionale più matura tra i cittadini e i decisori». In tal senso si v. anche I. Casillo, in occasione del Convegno Le citoyen et la décision publique. Enjeux de légitimité et d’efficacité, dans le Plénière 3 “Les pratiques de participation du public à l’étranger”, 2014.
[11] G. Scarchillo, Class Action, dalla comparazione giuridica alla formazione del giurista: un caleidoscopio per nuove prospettive, Torino, 2019, p. 107.
[12] A. Airoldi, T. Cini, R. Zucchetti, Introduzione del “dibattito pubblico”, in Italia: motivi, obiettivi, rischi e proposte operative, in www.certet.it, 2017, p. 5. Gli Autori inoltre prospettano che «che questo dialogo sia condotto in maniera corretta e costruttiva».
[13] Ibidem.
[14] M. Immordino, Commento ad art. 22, in G. Esposito (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, Milano, 2017, I, p. 191.
[15] Per quanto riguarda il Codice dei contratti pubblici si v.: M. Clarich (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, Torino, 2019; G.F. Ferrari, G. Morbidelli (a cura di), Codice dei contratti pubblici. Il D. L.vo 18 aprile 2016, n. 50 commentato articolo per articolo, Piacenza, 2017; M.A. Sandulli, R. De Nictolis, Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2019; M. Lasalvia, Commentario al nuovo codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, Milano, 2017.
[16] I.L. Diana, La recente disciplina in tema di dibattito pubblico sull’aggiudicazione di appalti e concessioni pubbliche (art. 22 d.lgs. 2016 n. 50), in Riv. giur. sarda, 2016, III, pp. 111 ss.
[17] Lo stesso articolo ha infine chiarito che gli esiti del dibattito pubblico e le osservazioni raccolte sono valutati in sede di predisposizione del progetto definitivo e sono discussi in sede di conferenza di servizi relativa all’opera sottoposta al dibattito pubblico.
[18] D. Galli, Il nuovo codice dei contratti pubblici – I settori speciali, in Giorn. dir. amm., 2016, IV, p. 472. L’autore a riguardo cita tra i “vincoli italiani”: «le disposizioni in tema di trasparenza e pubblicità (artt. 29 e 79), delle norme sul dibattito pubblico (art. 22), ed infine delle norme, applicabili alle sole amministrazioni aggiudicatrici (e non anche ad imprese pubbliche e soggetti privati), operanti nell’ambito dei settori speciali, sulle modalità di nomina della commissione giudicatrice (art. 77)».
[19] Cfr. C. Cittadino, Intervento al Convegno Il dibattito pubblico alla prova delle prime esperienze, 22 novembre 2022, presso La Sapienza Università di Roma.
[20] Nonostante prima della sua emanazione, parte della dottrina temesse di non vedere inserita la c.d. opzione zero. Cfr. A. Pillon, Dibattito pubblico, un’opportunità anche per l’Italia, in Techne, 2016, X, p. 47. Secondo l’autore (coordinatore di vari dibattiti, tra cui quello di Milano), sulla c.d. opzione zero «il nuovo Codice degli appalti non è molto chiaro perché non prevede che il dibattito si possa concludere con la decisione di non realizzare l’intervento (alternativa invece prevista nella legislazione francese)».
Si veda a riguardo anche A. Barone, Programmazione e progettazione nel codice dei contratti pubblici, in www.federalismi.it, 2018, p. 6, per il quale sembrava che il dibattito pubblico “all’italiana” si concentrasse solo sui dettagli dell’opera e non sulla possibilità o meno di realizzarla.
[21] Recita così la stessa relazione illustrativa allegata allo schema di Regolamento trasmesso alle Camere (AG 494 della XVII legislatura). Si specifica che i contenuti dello stesso sono stati elaborati attraverso la consultazione dei seguenti soggetti: i parlamentari che hanno presentato negli anni proposte o disegni di legge riguardo il tema; le principali aziende pubbliche del comparto infrastrutturale (ferroviario, autostradale e stradale); le principali aziende e organizzazioni di categoria del comparto energetico; le principali associazioni ambientaliste di livello nazionale (WWF Italia, Legambiente, AIIG, Federazione Pro-Natura, Gruppi di Ricerca Ecologica); esperti di settore e studiosi a livello nazionale e internazionale.
[22] Id, L. Carbonara, E. Morlino, V. Turchini, Industria petrolifera e attività amministrativa. Il caso del petrolio in Basilicata, in L. Torchia (a cura di), I nodi della pubblica amministrazione, cit., p. 202.
[23] Si può citare come esempio il progetto di legge n. 1845/2015.
[24] Mattarella, Lezioni di diritto amministrativo, cit., p. 8.
[25] Y. Mansillon, L’esperienza del dèbat public in Francia, in Dem. dir., 2006, p. 107. L’Autore afferma che «la finalità del dibattito pubblico è quella di democratizzare e legittimare la decisione a venire, in modo che, seppure non accettata da tutti, risulti accettabile, perché tutti sono stati ascoltati».
[26] A riguardo Relazione conclusiva Dibattito Pubblico Salerno/Reggio Calabria, p. 18.
[27] Cittadino, Intervento al Convegno Il dibattito pubblico alla prova delle prime esperienze, cit..
[28] Si possono citare le c.d. attività nel quartiere, avvenute durante il Dibattito pubblico sullo Stadio di Milano.
[29] U. Allegretti, Un caso di attuazione del principio costituzionale di partecipazione: il regolamento del dibattito pubblico sulle grandi opere, in Rivista AIC (Associazione italiana dei costituzionalisti), 2018, III, p. 470, definisce «impegno delle istituzioni nella partecipazione».
[30] Lo afferma il Professor Andrea Pillon, coordinatore di diversi dibattiti pubblici (tra i quali quello di Milano), in una intervista presso www.milano.corriere.it, in cui afferma che nella sua esperienza nessun progetto è mai uscito dal dibattito uguale a come era entrato.
[31] Si veda Il Dibattito Pubblico in Italia a due anni dalla sua attuazione, Relazione del 2023 al Parlamento da parte della Commissione Nazionale del Dibattito pubblico.
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