Il diniego di iscrizione nella “White list” per pericolo di infiltrazioni mafiose
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il quadro normativo di riferimento – 3. Il sistema della “White list” e il diniego di iscrizione
1. Introduzione
Con una recentissima pronuncia (Cons. Stato, Sez. III, sent. 3 aprile 2019, n. 2211) il Consiglio di Stato ha affermato a chiare lettere che, ai fini dell’adozione dell’interdittiva antimafia – non occorre provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri.
Ne consegue che, in relazione al diniego di iscrizione nella c.d. “White list” – iscrizione che presuppone la stessa accertata impermeabilità alla criminalità organizzata – è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata. (Fattispecie in cui l’Amministrazione ha rigettato l’istanza di iscrizione nella white list nei confronti di un soggetto che si accompagnava a persone orbitanti o riconducibili ad un’associazione di tipo mafioso).
Per poter comprendere il percorso logico-argomentativo seguito dal Supremo Consesso amministrativo nella decisione ut supracitata è, però, opportuno procedere ad una breve disamina della disciplina normativa in tema di controlli antimafia.
2. Il quadro normativo di riferimento
La c.d. “Interdittiva prefettizia antimafia”, di cui agli artt. 84 e ss. del D.Lgs. n. 159/2011, costituisce una misura preventiva, di natura cautelare, volta ad impedire i rapporti contrattuali con la P.A. di società, formalmente estranee – ma direttamente o indirettamente – collegate con la criminalità organizzata.
Trattasi, pertanto, di uno strumento diretto a scongiurare che possa essere titolare di rapporti, specie contrattuali, con le Pubbliche amministrazioni, un operatore economico che sia – a qualsiasi titolo – coinvolto, colluso o semplicemente condizionato dalla delinquenza organizzata.
Avendo natura preventiva e finalità di anticipazione della soglia di difesa sociale, il siffatto istituto garantisce una forma di tutela avanzata contro le attività della criminalità organizzata e affianca in maniera sinergica e complementare l’apparato repressivo penale, agendo su un piano diverso da quello sanzionatorio.
L’interdittiva antimafia costituisce una misura finalizzata alla salvaguardia di differenti beni di rango costituzionale e, nella specie, dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione.
L’istituto de quosi pone, altresì, a tutela sia dei principi di legalità e imparzialità della P.A., nonché del corretto utilizzo delle risorse pubbliche.
La ratio legisdel sistema delle interdittive antimafia risiede, in ultima analisi, nell’esigenza di contrastare il fenomeno dell’inquinamento mafioso delle attività economiche, mercé l’esclusione dalla contrattazione pubblica di quelle imprese che, all’esito di un giudizio prognostico di permeabilità alla criminalità organizzata, abbiano compromesso la fiducia sulla serietà e moralità dell’imprenditore.
Ciò posto, si osserva che, ai sensi dell’art. 84[1]del dlgs 159/2011 la documentazione antimafia è costituita dalla “comunicazione antimafia” e dalla “informazione antimafia”. La prima consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67[2]del medesimo d.lgs. n. 159/2011; la seconda, oltre a queste circostanze, può rappresentare anche la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi di un’impresa soggetta ai controlli in materia.
Il sistema rappresenta una forma di tutela avanzata avverso il fenomeno della penetrazione della mafia nell’economia legale. L’emissione dei provvedimenti in esame comporta, tra l’altro, l’esclusione di un imprenditore dalla titolarità di rapporti contrattuali con le Pubbliche Amministrazioni, determinando a suo carico una particolare forma di incapacità giuridica.
L’informazione, a differenza della comunicazione, si fonda su una valutazione ampiamente discrezionale circa la sussistenza o meno di tentativi di infiltrazione mafiosa, che muove dall’analisi e dalla valorizzazione di specifici elementi fattuali i quali rappresentano obiettivi indici sintomatici di connessioni o collegamenti con associazioni criminali.
L’articolo 84, comma 4, del d.lgs. n. 159/2011 prevede che tali elementi vengano desunti dal contenuto di atti giudiziari; da accertamenti di polizia o da vicende imprenditoriali particolarmente sintomatiche di un intento elusivo; l’art. 91, comma 6, del medesimo decreto prevede poi che il Prefetto possa desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa anche da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, unitamente ad altri elementi dai quali emerga che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata.
Il provvedimento interdittivo antimafia, come prima detto, determina una particolare forma di incapacità giuridica e, di conseguenza, l’impossibilità – per il soggetto dal medesimo attinto – di essere titolare di situazioni giuridiche soggettive che determinano il sorgere di rapporti giuridici con la P.A.
Trattasi, dunque, di un’incapacità giuridica ex lege, a garanzia di valori costituzionalmente garantiti e conseguente all’adozione di un provvedimento adottato all’esito di un procedimento normativamente tipizzato.
La misura in oggetto si connota per le caratteristiche della “parzialità” – in quanto limitata ai rapporti giuridici con la P.A., di natura contrattuale ovvero implicanti l’esercizio di poteri provvedimentali – e della tendenziale “temporaneità”, potendo venire meno per il tramite di un successivo provvedimento dell’autorità amministrativa competente[3].
Se la comunicazione antimafia, emessa a seguito della mera consultazione della Banca dati nazionale, ha carattere intrinsecamente vincolato – traducendosi, per l’effetto, in un sindacato giurisdizionale particolarmente ampio, riferito alla verifica piena dei presupposti di legge – di converso, la documentazione rilasciata a seguito di verifiche prefettizie ha carattere spiccatamente discrezionale.
Tale circostanza si palesa, con particolare ampiezza, in relazione, appunto, alle informative antimafia, la cui valenza interdittiva piuttosto che liberatoria, presuppone l’accertamento della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, desumibili da provvedimenti di condanna anche non definitiva, per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata.
Alla luce di quanto sin qui esposto, è di palmare evidenza che la ratio delle informative risieda nella massima anticipazione della soglia di tutela nell’azione di prevenzione in ordine ai pericoli di inquinamento del sistema economico. Per tale ragione, i poteri del Prefetto si concretano nell’analisi di una mera base indiziaria, con un margine di apprezzamento discrezionale particolarmente ampio.
Essendo, inoltre, una misura di carattere preventivo, l’adozione del provvedimento in questione prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penalinei confronti dei soggetti che hanno rapporti con la P.A. nello svolgimento di attività imprenditoriale: ciò che rileva, viceversa, sono gli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia, poi valutati dal Prefetto territorialmente competente.
Ai fini dell’adozione dell’informativa non occorre provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì solo la sussistenza di elementi sintomatico-preventividai quali, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata, dovendo detti elementi essere considerati in modo unitario e non atomistico, di guisa che ciascuno di essi acquisisca valenza nella sua connessione con gli altri.
Nell’adozione di un’informazione interdittiva, il Prefetto non è vincolato agli esiti del procedimento penale. In forza del principio dell’autonomia delle valutazioni in materia interdittiva antimafia, le sentenze di assoluzione, rese in sede penale – così come i provvedimenti di riabilitazione – non possono ritenersi idonee ad escludere, sic et simpliciter, la sussistenza del rischio di infiltrazioni mafiose e, quindi, non precludono l’adozione di un’interdittiva antimafia, che, tuttavia, deve essere adeguatamente motivata[4].
Così sinteticamente richiamato il sistema dei controlli antimafia, è possibile ora analizzare la questione, prima accennata, relativa al diniego di iscrizione nella c.d. “White list” a cagione del pericolo di contiguità con la criminalità organizzata.
3. Il sistema della “White list” e il diniego di iscrizione
La L. n. 190 del 2012 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione.”) – all’art. 1, commi da 52 a 57 – ha disposto l’istituzione presso le Prefetture di un elenco dei formatori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei settori esposti maggiormente a rischio.
In attuazione dell’art. 1, comma 56, della legge precitata, è stato adottato il D.P.C.M. 18/04/2013, che disciplina le modalità relative all’istituzione e all’aggiornamento presso ogni Prefettura dell’elenco e le attività di verifica da svolgersi per l’accertamento dei requisiti per l’iscrizione nel medesimo elenco. In particolare è stata prevista l’obbligatoria iscrizione delle imprese che operano nei settori a rischio di infiltrazioni mafiose (individuati dall’art. 1, comma 53, della L. 190/2012) negli elenchi delle imprese non soggette a rischio di infiltrazione mafiosa tenuti dalle prefetture e periodicamente aggiornati per confermare il mantenimento del possesso dei requisiti originari.
Per queste imprese, l’iscrizione alla c.d. “White list” – originariamente facoltativa e ora obbligatoria – assorbe i contenuti della comunicazione e dell’informazione antimafia, che va comunque acquisita indipendentemente dalle soglie stabilite dal Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al D. Lgs n. 159/2011.
Le white list, in altri termini, sono degli elenchi istituiti presso ogni Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo ai quali possono (o devono) registrarsi le imprese che lavorano nei settori considerati più ad alto rischio di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata.
Orbene, lo scopo di siffatti elenchi è quello di i rendere più efficaci i controlli antimafia nei confronti di operatori economici operanti in settori maggiormente esposti a rischi di infiltrazione mafiosa.
Relativamente alle attività maggiormente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa, le P.P.A.A., gli enti e le aziende vigilati dallo Stato e le società o le imprese comunque controllate dallo Stato, i concessionari di opere pubbliche e i contraenti generali, hanno l’obbligo di acquisire, indipendentemente dalle soglie di cui al Codice Antimafia, l’informazione e la comunicazione antimafia liberatoria attraverso la consultazione, anche in via telematica, dell’apposito elenco (istituito presso ogni Prefettura) di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti in detti settori.
L’iscrizione nell’elenco consente all’impresa di non dover richiedere e farsi rilasciare dalla Prefettura la certificazione antimafia, dal momento che l’iscrizione di cui si discorre tiene luogo della documentazione antimafia: a) per l’esercizio delle attività per cui l’impresa ha conseguito l’iscrizione; b) ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali l’impresa ha conseguito l’iscrizione nell’elenco.
L’iscrizione nell’elenco è obbligatoria per le imprese operanti nei settori più vulnerabilied è soggetta a due condizioni. La prima condizione si sostanzia nell’assenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’art. 67 del D. Lgs 159/2011). Il secondo presupposto consiste, invece, nell’assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa, di cui all’art. 84, comma 3, del Codice antimafia.
Il titolare dell’impresa individuale o il legale rappresentante – se l’impresa è organizzata in forma societaria – presentano istanza alla Prefettura competente – anche in via telematica – nella quale deve essere indicato il settore o i settori per cui è richiesta l’iscrizione all’elenco.
Nel caso in cui l’impresa risulti censita nella Banca dati nazionale unica è possibile rilasciare immediatamente l’informazione antimafia liberatoria e la Prefettura comunica il provvedimento di iscrizione per via telematica ed aggiorna l’elenco pubblicato sul proprio sito istituzionale.
La Prefettura, invece – ai fini dell’iscrizione – deve effettuare le necessarie verifiche nei seguenti casi: 1) se l’impresa non risulta censita nella Banca dati nazionale unica; 2) allorquando gli accertamenti antimafia siano stati effettuati in data anteriore ai 12 mesi dalla richiesta; 3) qualora emerga l’esistenza di taluna delle situazioni di cui agli articoli 84, comma 4, e 91, comma 6, del Codice antimafia.
Se a seguito delle suddette verifiche viene accertata la mancanza delle condizioni previste per poter essere iscritti nella white list, la Prefettura adotta il provvedimento di diniego dell’iscrizione e ne dà comunicazione all’interessato. In caso contrario, la Prefettura procede all’iscrizione richiesta dal soggetto interessato.
Tutto ciò chiarito in punto di disciplina normativa, è possibile ora soffermarsi sul caso analizzato dal Consiglio di Stato nella decisione in epigrafe indicata, in merito alla legittimità del provvedimento di diniego di iscrizione nella white list a motivo della contiguità del soggetto richiedente con la criminalità organizzata.
I giudici amministrativi hanno preliminarmente chiarito che il diniego di iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa è disciplinato dagli stessi principi che regolano l’interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione.
Ergo, le disposizioni attinenti all’iscrizione nella cd. white list, formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia per le relative misure antimafia (comunicazioni ed informazioni), talchè, come chiarisce l’art. 1, comma 52-bis, della l. n. 190 del 2012, “l’iscrizione nell’elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per la quali essa è stata disposta”.
Alla stregua dell’impostazione prospettata dalla Terza Sezione, pertanto, l’unicità e l’organicità del sistema normativo antimafia vietano all’interprete una lettura atomistica, frammentaria e non coordinata dei due sottosistemi – quello della cd. white list e quello delle interdittive antimafia – che, limitandosi ad un criterio formalisticamente letterale e di cd. stretta interpretazione, renda incoerente o, addirittura, vanifichi il sistema dei controlli antimafia.
Il ragionamento dei giudici di Palazzo Spada trae l’abbrivo dalla natura del provvedimento interdittivo prefettizio. L’informazione antimafia – ricordano i giudici amministrativi – implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa.
Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza alla stregua del canone penalistico dell’ “Oltre ogni ragionevole dubbio” – necessario al fine dell’affermazione della responsabilità penale del soggetto, e, quindi, fondato su prove – ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “more probably that not” il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Lo stesso legislatore, all’art. 84 del D.Lgs 159/2011, ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”.
Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e la tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o già inveratosi nella realtà fenomenica, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.
Il pericolo di infiltrazione mafiosa va intesa, di conseguenza, come la probabilità che si verifichi l’evento.
Ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; dall’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri.
Da quanto sopra esposto, consegue che anche in relazione al diniego di iscrizione nella white list– iscrizione che presuppone la stessa accertata impermeabilità alla criminalità organizzata – è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosafondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.
La Corte, inoltre, nella decisione in commento, si preoccupa, altresì, di verificare la legittimità di un’interpretazione consimile dei controlli antimafia, anche e soprattutto alla luce della giurisprudenza sovranazionale.
Più in dettaglio, la Terza Sezione paventa una possibile frizione della panoplia preventiva de quacon l’art. 23 della Dichiarazione universale dei diritti umani e con i principi della Carta costituzionale, per violazione della libertà di impresa.
Tale contrasto, però, non sussiste, poichè la normativa antimafia è espressione della potestà di cui all’art. 117, comma 1 Cost. [ nella specie, lett. h) “ordine pubblico e sicurezza” e lett. e) “tutela della concorrenza”], in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale 1 alla CEDU, sul presupposto che la formula elastica adottata dal legislatore per la disciplina delle interdittive antimafia – che consente di procedere in tal senso anche solo su base indiziaria – deve ritenersi quale corretto bilanciamento dei valori coinvolti.
Infatti, se da una parte è opportuno fornire adeguata tutela alla libertà di esercizio dell’attività imprenditoriale, dall’altra non può che considerarsi preminente l’esigenza di salvaguardare l’interesse pubblico al presidio del sistema socio-economico, in guisa impedire qualsivoglia inquinamento mafioso.
Non vi sono dubbi che l’esigenza di tutela della libertà di tutti i cittadini e di salvaguardia della convivenza democratica sono finalità perfettamente coincidenti con i principi della CEDU, ed anche la formula “elastica” adottata dal legislatore nel disciplinare l’informativa interdittiva antimafia su base indiziaria ha il suo fondamento nella ragionevole esigenza del bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost. e l’interesse pubblico alla salvaguardia dell’ordine pubblico e alla prevenzione dei fenomeni mafiosiche, del resto, mediante l’infiltrazione nel tessuto economico e nei mercati, compromettono anche – oltre alla sicurezza pubblica – il valore costituzionale di libertà economica, indissolubilmente legato alla trasparenza e alla corretta competizione nelle attività con cui detta libertà si manifesta in concreto nei rapporti tra soggetti dell’ordinamento.
In ultima analisi, il giudizio fondato sul canone del “più probabile che non”, sotteso al motivato giudizio formulato dall’autorità prefettizia, in quanto estraneo ad ipotesi di affermazione della responsabilità penale, non importa le garanzie portate seco dalla presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., cui risulta peraltro ispirato l’art. 6 § 2 della CEDU.
Da molto tempo, infatti, le consorterie di tipo mafioso hanno mutato le proprie modalità “operative”, non più ispirate solamente e semplicemente all’uso intimidatorio della violenza, bensì volte ora alla pratica del reinvestimento di proventi di attività illecite in imprese formalmente estranee[5](perché intestate a prestanome “puliti”) e dispersi in una miriade di società collegate da vincoli di vario tipo con l’organizzazione criminale.
Il legislatore, allontanandosi dal modello della repressione penale, ha conseguentemente impostato l’interdittiva antimafia come strumento di interdizione e di controllo sociale, al fine di contrastare le forme più subdole di aggressione all’ordine pubblico economico, alla libera concorrenza ed al buon andamento della Pubblica amministrazione.Il carattere preventivo del provvedimento prescinde, quindi, dall’accertamento di singole responsabilità penali, essendo il potere esercitato dal Prefetto espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata.
In conclusione, può, dunque, concludersi per la piena legittimità del diniego di iscrizione dell’impresa nella white list a causa del pericolo di infiltrazione mafiosa, in virtù dell’organicità e dell’unicità di principi che informano l’intero sistema dei controlli antimafia, nell’ottica di consentire una più efficace risposta preventiva ai fenomeni di inquinamento del sistema economico da parte della criminalità organizzata, salvaguardando, al contempo, i principi di tutela del libero mercato e di buon andamento e imparzialità dell’agere amministrativo.
[1] Art. 84, D.Lgs 159/2011 – Definizioni: “1. La documentazione antimafia è costituita dalla comunicazione antimafia e dall’informazione antimafia. 2. La comunicazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67. 3. L’informazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67, nonché, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 91, comma 6, nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4. 4. Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 603-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356; b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione; c) salvo che ricorra l’esimente di cui all’articolo 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dall’omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei reati di cui agli articoli 317 e 629 del codice penale, aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, da parte dei soggetti indicati nella lettera b) dell’articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste; d) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all’articolo 93 del presente decreto; e) dagli accertamenti da effettuarsi in altra provincia a cura dei prefetti competenti su richiesta del prefetto procedente ai sensi della lettera d); f) dalle sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia. 4-bis. La circostanza di cui al comma 4, lettera c), deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente alla prefettura della provincia in cui i soggetti richiedenti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, hanno sede ovvero in cui hanno residenza o sede le persone fisiche, le imprese, le associazioni, le società o i consorzi interessati ai contratti e subcontratti di cui all’articolo 91, comma 1, lettere a) e c) o che siano destinatari degli atti di concessione o erogazione di cui alla lettera b) dello stesso comma 1.(comma aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera a), d.lgs. n. 218 del 2012.
[2] Art. 67, D.Lgs 159/2011 – Effetti delle misure di prevenzione: “1. Le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere: a)licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l’esercizio di attività imprenditoriali; c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l’esercizio del commercio all’ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all’ingrosso; e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
h) licenze per detenzione e porto d’armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti. 2. Il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al comma 1, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le iscrizioni sono cancellate ed è disposta la decadenza delle attestazioni a cura degli organi competenti. 3. Nel corso del procedimento di prevenzione, il tribunale, se sussistono motivi di particolare gravità, può disporre in via provvisoria i divieti di cui ai commi 1 e 2 e sospendere l’efficacia delle iscrizioni, delle erogazioni e degli altri provvedimenti ed atti di cui ai medesimi commi. Il provvedimento del tribunale può essere in qualunque momento revocato dal giudice procedente e perde efficacia se non è confermato con il decreto che applica la misura di prevenzione. 4. Il tribunale, salvo quanto previsto all’articolo 68, dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni. 5. Per le licenze ed autorizzazioni di polizia, ad eccezione di quelle relative alle armi, munizioni ed esplosivi, e per gli altri provvedimenti di cui al comma 1 le decadenze e i divieti previsti dal presente articolo possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla famiglia. 6. Salvo che si tratti di provvedimenti di rinnovo, attuativi o comunque conseguenti a provvedimenti già disposti, ovvero di contratti derivati da altri già stipulati dalla pubblica amministrazione, le licenze, le autorizzazioni, le concessioni, le erogazioni, le abilitazioni e le iscrizioni indicate nel comma 1 non possono essere rilasciate o consentite e la conclusione dei contratti o subcontratti indicati nel comma 2 non può essere consentita a favore di persone nei cui confronti è in corso il procedimento di prevenzione senza che sia data preventiva comunicazione al giudice competente, il quale può disporre, ricorrendone i presupposti, i divieti e le sospensioni previsti a norma del comma 3. A tal fine, i relativi procedimenti amministrativi restano sospesi fino a quando il giudice non provvede e, comunque, per un periodo non superiore a venti giorni dalla data in cui la pubblica amministrazione ha proceduto alla comunicazione. 7. Dal termine stabilito per la presentazione delle liste e dei candidati e fino alla chiusura delle operazioni di voto, alle persone sottoposte, in forza di provvedimenti definitivi, alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è fatto divieto di svolgere le attività di propaganda elettorale previste dalla legge 4 aprile 1956, n. 212, in favore o in pregiudizio di candidati partecipanti a qualsiasi tipo di competizione elettorale. 8. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 4 si applicano anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale nonché per i reati di cui all’articolo 640, secondo comma, n. 1), del codice penale, commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e all’articolo 640-bis del codice penale. (comma così modificato dall’art. 24, comma 1, della legge n. 132 del 2018).
[3] Cfr. sul punto Cons. Stato, Ad. Plen., sentenza 6 aprile 2018, n. 3).
[4] Sul punto, Tar Lombardia, Sez. I, sent. 3 dicembre 2018, n. 2707.
[5] Sul punto, Cons. Stato Sez. III, sent. 20 febbraio 2019, n. 1182 esclude, per esempio, che la costituzione di un’associazione antiracket, da parte della società che insti per la iscrizione nella white list, osti all’opposizione del diniego, attese le modalità assunte dalla criminalità organizzata per penetrare nel tessuto economico nazionale ed accreditarsi presso la collettività e le forze sociali, in modo da confonderne il ruolo nel contrasto all’illegalità.
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Ludovica Loprieno
Ludovica Loprieno, nata a Lecce il 3 marzo 1990. Consegue la laurea in giurisprudenza il 16 ottobre 2014 presso l'Università del Salento, con tesi in diritto penale e votazione 110 con lode. In data 25 luglio 2016 consegue il diploma di specializzazione post-laurea presso la SSPL di Lecce, con tesi in diritto penale e votazione 70/70. Dal 2014 al 2016 svolge il tirocinio obbligatorio previsto per legge ai fini dell'ammissione all'esame per l'esercizio della professione forense presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Lecce. Consegue l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato il 20 ottobre 2017. Nel frattempo partecipa a vari corsi di alta formazione giuridica per la preparazione del concorso in magistratura.