Il diritto alla genitorialità e i limiti posti dalla l. n. 40/2004: possibili lesioni dei valori Costituzionali

Il diritto alla genitorialità e i limiti posti dalla l. n. 40/2004: possibili lesioni dei valori Costituzionali

Sommario: Premessa – 1. Limiti alla genitorialità nell’ambito della legge n.40/2004 – 2. La posizione della Corte Costituzionale sulla disamina de quo e la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 7668 del 3 aprile 2020 – 3. Conclusione

 

 

Premessa

Il diritto alla genitorialità è un tema che ha assunto un ruolo cruciale nei dibattiti giuridici, sollevando l’attenzione di giuristi e studiosi che si sono dedicati all’argomento de quo, analizzando i vari interrogativi che la disamina suscita. La nostra Carta Costituzionale offre espressa tutela giuridica al diritto alla genitorialità negli articoli 2, 29 e 30 Cost., gettando le premesse per un pieno riconoscimento del diritto in esame.

Siamo in presenza di una tematica ampiamente discussa che al tempo stesso dimostra come, i tempi siano abbastanza maturi per far si che un così importante diritto sia riconosciuto a chiunque e non solamente a quelle coppie di sesso diverso unite in matrimonio o stabilmente conviventi.

Ma le cose stanno realmente così?

1. Limiti alla genitorialità nell’ambito della legge n.40/2004

Nel nostro paese, il diritto ad essere genitori incontra un primo e significativo limite ad opera della legge sulla Procreazione Medicalmente Assistita che ha fatto il suo ingresso nel nostro paese nel lontano 2004.

Il contenuto originario della legge in esame è stato, più volte, innovato ad opera della più attenta giurisprudenza, chiamata in diverse occasioni a pronunciarsi sulla normativa in questione in tutte quelle circostanze in cui il contenuto della norma mal si allineava ai principi fondamentali del nostro ordinamento.

È evidente, dunque, che nell’affrontare la tematica in questione, un riferimento necessario deve essere fatto alla legge n.40/2004.

La suddetta normativa, coniugandosi con il diritto alla genitorialità pone allo stesso dei limiti che dovrebbero essere superati in modo da allineare il nostro paese alla prassi consolidata nei diversi paesi del mondo.

Un primo limite, che emerge dalla lettura della legge n.40 del 2004, si riscontra all’art.5., il quale accorda solo “alle coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi” il diritto di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Dalla lettura della norma citata, appare evidente come nessun spazio per accedere al trattamento sia riconosciuto a quelle coppie dello stesso sesso, che hanno il desiderio di diventare genitori, vedendosi al tempo stesso riconosciuti gli stessi diritti di tutte quelle coppie di sesso diverso.

Ma vi è di più!

All’articolo 5 della legge n.40/2004, fa seguito l’articolo 12 il quale si configura come un vero e proprio catalogo sanzionatorio, e che ai fini del tema in esame comporta l’applicazione di una significativa sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti di coloro i quali, in violazione dell’art.5, sottopongono a procreazione medicalmente assistita “coppie composte da soggetti dello stesso sesso”.

Alla luce della normativa in questione, è necessario porsi una domanda: un simile limite può essere accettato? O, al contrario, deve ritenersi lesivo del diritto alla genitorialità?

2. La posizione della Corte Costituzionale sulla disamina de quo e la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 7668 del 3 aprile 2020

Il dettato normativo dei citati articoli 5 e 12 della legge n.40 del 2004, ha dato vita a vivaci e molteplici dibattiti che hanno reso necessario l’intervento non solo della Corte di Cassazione, intervenuta più volte nel tentativo di placare gli animi, ma anche della Corte Costituzionale chiamata a porre fine o quanto meno a dettare una linea di principi sulla tematica in esame.

L’intervento dei Giudici Costituzionali è stato reso necessario proprio dal contenuto dei menzionati artt. 5 e 12 della legge n.40 del 2004, i quali presentano un contenuto, apparentemente lesivo di numerosi principi non solo di matrice nazionale ma anche di natura comunitaria.

La Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione in esame, dopo che il Tribunale ordinario di Pordenone, prima, e il Tribunale di Bolzano, dopo, hanno ritenuto gli articoli 5 e 12 della legge citata, lesivi non solo degli artt. 2, 3, 31 comma 2, 32 comma 1, e 117 comma 1 della Costituzionale, ma altresì degli articoli 8 e 14 della Cedu.

Ad avviso dei Tribunali ricorrenti, la lettura in combinato disposto degli articoli della legge del 2004 risulta lesiva dei basilari diritti riconosciuti ai singoli dalla Costituzione, che nella sostanza si traducono nel diritto alla genitorialità che deve essere riconosciuto ad ogni essere umano, sia come singolo sia nell’ambito delle formazioni sociali ove si esplica la sua personalità, al diritto di eguaglianza e ad ogni altro simile diritto che possa entrare in gioco.

Ancora, gli articoli 5 e 12 si ritengono colpevoli di ledere l’articolo 31 e l’articolo 32 Cost., dedicati rispettivamente a richiamare il compito della Repubblica a proteggere la maternità e il diritto alla salute, aspetti che possono, entrambi, essere lesi dai limiti imposti dalla legge del 2004.

Ad avviso dei ricorrenti, ad essere violato, risulta essere anche l’art. 117 comma primo Cost., in quanto determinerebbe una violazione di due principi basilari della Cedu, e in particolare gli articoli 8 e 14 nei quali risultano essere consacrati il rispetto della vita familiare e il divieto di discriminazione[1].

La posizione dei giudici costituzionali si è tradotta con il deposito della sentenza n.221/2019, ove sono state affrontare tutte le censure sollevata nei confronti della discussa legge n.40/2004.

Nella sentenza della Corte Costituzionale, è stato messo in evidenza come lo scopo perseguito da entrambi i Tribunali rimettenti è stato quello di provocare una significativa riforma della legge censurata con l’ulteriore obiettivo di eliminare dalla normativa quel requisito di natura soggettiva che consente solo alle coppie di sesso diverso la possibilità di accedere alle relative tecniche di PMA.

Ad avviso dei giudici costituzionali, i quali per spiegare meglio le loro conclusioni hanno realizzato un confronto con l’adozione[2], le norme censurate non ledono nessun principio costituzionale in quando è compito della società e in primo luogo del legislatore garantire al bambino che ancora deve nascere “le migliori condizioni di partenza”, sacrificando quelle che possono essere le aspirazioni genitoriali.

Dalla lettura della sentenza menzionata, si evince come le questioni sollevate, certamente meritevoli di attenzione, non possono essere accolte in ragione del fatto che nessun diritto è stato violato e considerando che non esiste nessun obbligo per l’ordinamento italiano di allinearsi, sempre e comunque, alla più permissiva normativa straniera.

Nessun diritto alla salute, nessun principio di eguaglianza, e nessun altro diritto risulta essere leso ad opera degli articoli 5 e 12 della legge n.40 del 2004.

La problematica affrontata dalla Corte Costituzionale è tornata, di recente, alla ribalta rendendo necessario l’intervento della Corte di Cassazione intervenuta con la sentenza n.7668 del 3 aprile 2020. I giudici della prima sez. della Cassazione, hanno rigettato il ricorso depositato da due donne, entrambe cittadine italiane e conviventi, di vedersi riconosciute, nell’atto di nascita, come madri di una bambina nata in Italia da una delle due, in seguito alla pratica di fecondazione assistita a cui la donna si è sottoposta all’estero.

I giudici della Corte di Cassazione, nel rigettare in toto il ricorso hanno ritenuto legittimo e conforme a Costituzione il divieto di cui al già citato art. 5 della legge n.40 del 2004, facendo proprie le stesse conclusioni della sentenza n.221/2019 della Corte Costituzionale. 

3. Conclusione

Al termine di questa breve ricostruzione è evidente come i tempi risultino maturi per realizzare una significativa modifica nei confronti della legge 40 del 2004, che potrebbe tradursi in una maggiore apertura, dando ingresso a spiragli di luce e consentendo alle coppie formate da persone dello stesso sesso di poter, finalmente, usufruire delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

È evidente come la tematica de quibus coinvolge numerosi e delicati interessi di matrice costituzionale che necessitano di essere bilanciati, ed è proprio in questo tentativo di bilanciamento di molteplici interessi contrapposti, tutti meritevoli di tutela, risulta inevitabile l’intervento del legislatore italiano chiamato a predisporre normative puntuali che consentano al nostro paese di allinearsi alle dinamiche esistenti negli altri paesi europei.

Il contenuto tipicamente restrittivo della legge del 2004, che limita l’accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie di sesso diverso ed in presenza di patologie quali sterilità o infertilità, necessità di essere ripensato e rivisto in un’ottica di ampliamento dei relativi confini.

Non è possibile trascurare come siamo in presenza di una tematica nei confronti dei quali il nostro legislatore gode di un un ampio margine di discrezionalità, risultando essere l’unico artefice in grado di realizzare una, tanto auspicata, riforma in un così delicato tema.

Le conclusioni a cui sono giunti i giudici della Corte Costituzionale e di Cassazione, se conformi al diritto vigente in Italia sollevano dei seri interrogativi morali, che meritano altrettanto rispetto e tutela.

 

 

 


[1]Nel ricorso presentato alla Corte Costituzionale, si legge un riferimento esplicito alla giurisprudenza austriaca, sottolineando come la Corte Costituzionale Austriaca, nel 2013, abbia dichiarato la legge del proprio Paese, nella parte in cui nega alle coppie formate da donne di accedere alle tecniche di PMA, illegittima per palese violazione dell’art. 8 della Cedu.
[2]Negli ultimi anni, in numerose sentenze della Corte di Cassazione, si è registrato una maggiore apertura all’adozione del figlio del partner omosessuale, considerando detta unione come idoneo contesto familiare per la crescita dei figli. Ad avviso della Corte Costituzionale esiste una notevole differenza tra i due istituti dell’adozione e della PMA, poiché solo con il primo dei due è possibile garantire ad un minore, già esistente, di avere una famiglia. Diverse sono, invece, le finalità della PMA, il qui risultato finale non è altro che quello di realizzare le aspirazioni genitoriali.

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