Il diritto all’oblio nella riforma penale

Il diritto all’oblio nella riforma penale

Premessa. Al fine di accelerare i tempi del procedimento penale e l’efficienza dello stesso, il legislatore è recentemente intervenuto sulla disciplina, riformando alcuni istituti e introducendone altri.

Infatti, l’art. 2 della legge del 27 settembre 2021, n. 134, cd. Riforma Cartabia, sancisce le norme immediatamente precettive che operano direttamente sul Codice penale, di procedura penale e sulle norme attuative di quest’ultimo, dal 19 ottobre 2021.

L’art.1 contiene, invece, i criteri e i principi con i quali la stessa, delega al Governo l’adozione di decreti legislativi volti alla modifica di alcuni istituti penali, da attuarsi entro un anno dall’entrata in vigore della riforma e, al comma 25, prevede l’introduzione di un provvedimento che garantisce un’effettiva tutela del diritto all’oblio dell’imputato o indagato.

La riforma. Occorre segnalare che, tra i numerosi cambiamenti auspicati dalla riforma, l’art. 2 prevede, innanzitutto, un’importante modifica all’istituto della prescrizione del reato: l’introduzione dell’art. 161 bis c.p., l’inserimento del decreto penale di condanna quale ulteriore atto avente efficacia interruttiva della prescrizione ex art. 160 c.p. e l’istituzione, ex art. 344 bis c.p.p., di un’inedita causa di improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.

In secondo luogo, l’art. 1 delega al Governo l’adozione di alcuni interventi normativi al fine di introdurre un’udienza predibattimentale nei procedimenti a citazione diretta e per ampliare l’ambito applicativo del procedimento per decreto e della sospensione con messa alla prova. Altresì, delega allo stesso l’adozione di un decreto per l’introduzione di un mezzo di impugnazione straordinario, per l’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, innanzi alla Corte di Cassazione.

Infine, come premesso, l’art. 1, comma 25, prevede i criteri e i principi attraverso cui l’esecutivo deve attuare le modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie al codice di procedura penale, in materia di comunicazione della sentenza, prevedendo che il decreto di archiviazione, la sentenza di non luogo a procedere e di assoluzione, costituiscano titolo per l’emissione di un provvedimento di deindicizzazione.

Il diritto all’oblio e deindicizzazione. Il diritto all’oblio, riconosciuto per la prima volta dalla giurisprudenza europea, nella causa Google Spain SL, Google Inc. vs. AEPD, Mario Costeja Gonzále (causa C-131/12), è il diritto ad ottenere l’eliminazione dei dati personali da parte del cd. intermediario (es. motore di ricerca), qualora l’interessato li ritenga lesivi per la propria reputazione.

L’attività di mera diffusione delle notizie operata dall’intermediario, cd. indicizzazione, consente alla collettività di ottenere un aggiornamento costante senza che debba essere effettuato un controllo sul contenuto delle stesse, pertanto, l’art. 17 del GDPR elenca i motivi, precisati dalla giurisprudenza, per i quali l’interessato ha il diritto di ottenere dall’intermediario la cd. deindicizzazione, ossia la rimozione delle informazioni oggetto della richiesta (es. l’insussistenza di un interesse pubblico specifico ed attuale alla diffusione della notizia o il decorso di un significativo lasso di tempo dai fatti che renda l’informazione irrilevante).

La tutela nazionale del diritto in oggetto, attualmente, è conseguibile mediante diversi ed automi rimedi civilistici, di natura inibitoria e risarcitoria.

Tra i primi, rientra il processo di deindicizzazione che permette di dissociare un nominativo da determinati risultati di ricerca o da alcune parole chiave connesse allo stesso, per evitare di essere associati facilmente a notizie lesive della propria immagine, trovando la sua ratio nel diritto alla riservatezza ex art. 2 Cost.

Qualora un soggetto ritenga di avere diritto alla deindicizzazione, può inviare un’istanza direttamente all’intermediario e, in caso di inottemperanza della richiesta, successivamente, lo stesso potrà proporre reclamo all’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali (c.d. Garante della Privacy), ex art. 140 bis del Codice della Privacy e art 77 GDPR; da ultimo, potrà ricorrere all’Autorità Giudiziaria avverso la decisione dell’autorità di controllo, ex art. 78 GDPR.

Tuttavia, il diritto all’oblio non ha carattere assoluto: richiede un bilanciamento da parte del giudice di merito per valutare l’effettiva preminenza, nel caso concreto, dell’interesse alla riservatezza e all’identità personale dell’individuo ex art. 2 Cost., rispetto alla libertà di informazione ex art. 21 Cost.

Infatti, l’art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’individuo che, in relazione alla tutela dell’oblio, si riferiscono al diritto all’integrità morale, alla reputazione e al diritto all’immagine, mentre l’art. 21 Cost. sancisce la libera manifestazione del pensiero per mezzo della libertà di informazione, di stampa e di cronaca.

Perciò, è necessaria una valutazione giudiziale concreta caso per caso, essendo inammissibile predeterminare una gerarchia astratta e assoluta riguardo la preminenza di uno dei due diritti costituzionali, in ordine alla deindicizzazione.

Diversamente dalla vigente tutela civilistica, i criteri attraverso cui la riforma penale in oggetto delega al Governo la modifica dell’istituto sulla comunicazione della sentenza, di cui al D.lgs. 271/1989, sembrerebbe delineare un perimetro entro il quale il diritto all’oblio debba essere tutelato in termini assoluti, rispetto alla divulgazione delle informazioni di carattere giudiziario.

Infatti, l’indagato/imputato avrebbe diritto alla cancellazione delle notizie diffuse dall’intermediario qualora il procedimento penale si sia concluso in suo favore e nei casi in cui vi sia stata l’emanazione di un provvedimento di deindicizzazione, non dovendo sottostare al bilanciamento giudiziale di cui sopra.

Tale provvedimento, infatti, costituisce il titolo mediante il quale ottenere l’effettiva deindicizzazione qualora la vicenda giudiziaria si sia conclusa con decreto di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione.

Pertanto, in mancanza del provvedimento di deindicizzazione l’interessato dovrà ricorrere al comune procedimento, richiedendo all’intermediario la deindicizzazione dei contenuti relativi a procedimenti penali o condanne, con riferimento ai presupposti richiesti dall’art. 17 GDPR.

Diritto di cronaca e diritto all’oblio nel processo penale. La deindicizzazione limita, pertanto, gli effetti pregiudizievoli del costante richiamo ad una notizia che, seppur legittimamente diffusa in origine, non è più giustificata da ragioni di pubblica utilità ed incide negativamente sulla personalità del soggetto interessato.

La natura pubblicistica del processo penale determina una diffusione incessante e continua delle notizie di cronaca riguardanti i soggetti coinvolti, ponendo alcune perplessità sugli archivi giornalistici digitalizzati e fruibili direttamente on line.

Sempre in riferimento all’art. 21 Cost., la disciplina processuale penale esige il bilanciamento fra del diritto all’oblio e il diritto di cronaca essendo, quest’ultimo, un diritto pubblico soggettivo posto a tutela dell’informazione pubblica e corollario della libertà di manifestazione del pensiero, riconosciuto pacificamente da dottrina e giurisprudenza come diritto alla divulgazione dei fatti di pubblico interesse.

Tuttavia, per poter entrare nell’alveo del diritto di cronaca, la notizia deve osservare le condizioni della verità, della pertinenza e della continenza, come elaborati dalla Corte di legittimità.

Infatti, riguardo la pubblicazione delle notizie, i presupposti per la tutela effettiva delle stesse riguardano, essenzialmente, la verità oggettiva, l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e la forma civile dell’esposizione, dovendo essere rispettosa della dignità della persona (cd. decalogo del giornalista).

La Suprema Corte ha affermato che il diritto all’oblio può essere recessivo, rispetto al diritto di cronaca, solo in presenza di alcuni elementi del contenuto informativo, come un dibattito di interesse pubblico che ne giustifichi la diffusione in modo effettivo ed attuale o la grande notorietà del soggetto rappresentato (Cass. Civ.,I sez, Ord. 20 marzo 2018, n. 6919).

Altresì, la Corte romana osserva come “al venir meno dell’attualità della notizia e dell’utilità sociale della prima pubblicazione, si accompagna il vincente rilievo che lo scorrere del tempo modifica la personalità dell’individuo e la ripubblicazione di una notizia già divulgata in un lontano passato può avvalorare una immagine della persona diversa da quella al momento esistente, con lesione della identità personale e della reputazione che alla nuova immagine si accompagna. Il diritto ad essere dimenticati (right to be forgotten) per i menzionati contenuti consiste, pertanto, nel diritto a non rimanere esposti, senza limiti di tempo, ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza […] Come rilevato da attenta dottrina, accade così che il fatto, completamente acquisito dalla collettività, dopo aver perduto la connotazione pubblica, nell’intervenuto decorso del tempo, con il trascolorare dell’interesse alla sua conoscenza diventa privato e, là dove riproposto, apre lo spazio ai riconoscimento del diritto all’oblio […] (Cass. Civ., Sez. I, ord. 18 febbraio-19 maggio 2020, n. 9147).

Ciò detto, in merito alle notizie sui procedimenti penali, le Sezioni Unite Civili illustrano che“la corretta premessa dalla quale bisogna muovere è che quando un giornalista pubblica di nuovo, a distanza di un lungo periodo di tempo, una notizia già pubblicata – la quale, all’epoca, rivestiva un interesse pubblico – egli non sta esercitando il diritto di cronaca, quanto il diritto alla rievocazione storica (storiografica) di quei fatti. […] si tratta di un diritto avente ad oggetto il racconto, con la stampa o altri mezzi di diffusione, di un qualcosa che attiene a quel tempo ed è, perciò, collegato con un determinato contesto. Ciò non esclude, naturalmente, che in relazione ad un evento del passato possano intervenire elementi nuovi tali per cui la notizia ritorni di attualità, di modo che diffonderla nel momento presente rappresenti ancora una manifestazione del diritto di cronaca (in tal senso già la citata sentenza n. 3679 del 1998); in assenza di questi elementi, però, tornare a diffondere una notizia del passato, anche se di sicura importanza in allora, costituisce esplicazione di un’attività storiografica che non può godere della stessa garanzia costituzionale che è prevista per il diritto di cronaca. […] L’attività storiografica, intesa appunto come rievocazione di fatti ed eventi che hanno segnato la vita di una collettività, fa parte della storia di un popolo, ne rappresenta l’anima ed è, perciò, un’attività preziosa. Ma proprio perché essa è “storia”, non può essere considerata “cronaca” […]”. (Cass. Civ., SS.UU., sent. n.19681/2019)

Pertanto, secondo la Corte, il giudice di merito è tenuto a verificare se sussista o meno un interesse qualificato alla diffusione della notizia con riferimenti precisi alla persona che di quella vicenda fu protagonista in passato, l’identificazione personale potrebbe divenire irrilevante per i destinatari dell’informazione stessa: il diritto ad informare sussiste anche rispetto a fatti molto lontani ma non equivale in automatico al diritto alla nuova e ripetuta diffusione dei dati personali.

L’indicizzazione, perciò, è un’attività distinta dalla creazione dei contenuti informativi – pubblicazione – che è sua volta distinta dalla ripubblicazione degli stessi – rievocazione storica-: ciascuna di tali attività configura un autonomo trattamento di dati, pertanto, l’aggiornamento di una notizia può essere chiesto unicamente al sito sorgente, mentre al motore di ricerca può essere richiesta la sola deindicizzazione.

Conclusioni. Al fine di tutelare l’oblio dell’indagato/imputato, il provvedimento di deindicizzazione introdotto dalla riforma, unito alle linee guida concernenti le Dichiarazioni di autorità pubbliche sulla colpevolezza delle persone fisiche sottoposte a procedimento penale, di cui l’art. 2 del D. Lgs. 8 novembre 2021 n. 188, rappresentano una garanzia diretta e assoluta per limitare, quanto possibile, gli effetti pregiudizievoli dovuti all’imprecisa ed incessante divulgazione delle notizie in materia di cronaca giudiziaria.

Il primo, infatti, tutela il soggetto nei confronti del quale è stato pronunciato decreto di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione, limitando l’attività dell’intermediario ma lasciando impregiudicata la facoltà di editori e responsabili di testate giornalistiche di pubblicare, conservare e ripubblicare a distanza di tempo le notizie relative ad un procedimento penale se pur definito con le modalità di cui all’art. 1, comma 25, della legge n.134 del 27 settembre 2021 mentre, la regolamentazione delle dichiarazione delle autorità pubbliche, vieta agli stessi di indicare pubblicamente come colpevole l’indagato o l’imputato, fino alla sentenza di condanna o decreto penale di condanna irrevocabili, a pena della rettifica della dichiarazione resa, nonché l’applicazione di eventuali sanzioni penali, risarcitorie e disciplinari.

Tuttavia, considerando che il rapido intervento sulla disciplina penale è legato all’esigenza del Governo di adempiere alle condizioni dettate dalla Commissione Europea per l’accesso al NextGenerationEU, è lecito domandarsi se limitare la mera diffusione delle notizie di cronaca giudiziaria operata dall’intermediario e contenere le dichiarazioni dell’autorità pubblica nelle more di un procedimento penale, tuteli effettivamente l’oblio dei soggetti interessati oppure rappresenti solo il primo tentativo della tutela penale dello stesso.


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