Il diritto di accesso agli atti amministrativi ed i poteri istruttori del giudice civile
Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 25 settembre 2020, n. 19
Recentemente si è posta all’attenzione della Plenaria la questione inerente al rapporto tra il diritto di accesso agli atti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della l. n. 241/1990 ed i poteri probatori di acquisizione documentale previsti dal codice civile agli articoli 210, 211 e 213 c.p.c.
Ci si è chiesti, in particolare, se il diritto di accesso agli atti amministrativi sia esercitabile indipendentemente dalla forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, ovvero se, al contrario, la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione in funzione probatoria di documenti detenuti dalla p.a. precluda l’operatività del rimedio dell’accesso secondo la disciplina generale contenuta nella legge sul procedimento amministrativo.
Secondo un primo orientamento il diritto di accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della l. n. 241/1990, è certamente esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria sancite dalle citate norme processualcivilistiche.
A sostegno di tale conclusione si osserva, in primo luogo, che la disciplina dell’accesso agli atti amministrativi costituisce principio generale dell’attività amministrativa, la cui ratio deve essere ravvisata nell’esigenza di imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’azione pubblicistica.
In secondo luogo, si evidenzia come il diritto di accesso sia funzionale a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, il quale non può certo dipendere dalla spontanea produzione in giudizio della controparte, né d’altra parte dall’esercizio discrezionale del potere acquisitivo da parte del giudice, il quale potrebbe non consentire l’accesso, finendo così per pregiudicare fortemente le esigenze difensive della parte.
Nell’ambito dei procedimenti familiari, inoltre, si fa notare come l’accesso pieno ed integrale alla condizione reddituale, patrimoniale ed economica delle parti sia da considerarsi come una condizione indispensabile per l’eguale trattamento giuridico delle stesse, in quanto nei suddetti le lacune istruttorie – che spesso si verificano a cagione del comportamento processuale di una parte a danno dell’altra, inottemperante agli obblighi di deposito – sono superabili solo attraverso indagini molto invasive della sfera giuridica di soggetti terzi, le quali difficilmente sono autorizzate dal giudice civile in assenza di specifici e motivati elementi conoscitivi.
Si rileva, d’altronde, che il diritto di accesso ai documenti amministrativi potrebbe essere esperito anche prima ed indipendentemente dalla pendenza del procedimento civile, allo scopo di valutare la convenienza e l’opportunità dell’instaurazione del processo, con effetti deflattivi del contenzioso giudiziario.
Sulla base di tali argomentazioni si ritiene, pertanto, che tra le due discipline non sussista un rapporto di specialità, bensì di concorrenza, anche cumulativa, e di complementarietà.
Di diverso avviso è invece un altro orientamento, secondo il quale la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione in funzione probatoria di documenti in possesso della p.a. escluderebbe l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai sensi della l. n. 241/1990.
Per tale concezione, proprio in quanto i documenti da utilizzare nel processo riguardano una delle parti private in giudizio, al diritto alla tutela giurisdizionale del soggetto che intende avvalersi dei documenti amministrativi si contrappone il diritto di difesa dell’altra parte ed è proprio per questo che le norme processuali civilistiche sottopongono alla valutazione del giudice l’esibizione di documenti ordinata al terzo.
La possibilità di acquisire “extra iudicum” i documenti amministrativi, inoltre, si tradurrebbe in un aggiramento delle norme che governano l’acquisizione delle prove in ambito processuale, in quanto la parte si troverebbe a dover esporre le proprie ragioni innanzi alla p.a. in qualità di controinteressato, e non invece davanti ad un’autorità giurisdizionale.
Si afferma, infine, che nei procedimenti familiari, e in genere nelle cause tra privati, l’accesso ai documenti amministrativi non ha particolari finalità di pubblico interesse, né è volto a favorire la partecipazione del privato all’attività dell’amministrazione, ovvero ad assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, finendo al contrario per alterare la parità processuale delle parti, garantita anche dalla previa valutazione del giudice.
Intervenuta sulla questione, la Plenaria sposa la tesi della complementarietà sottolineando le profonde differenze che intercorrono tra le due diverse fattispecie di acquisizione documentale.
Secondo quanto ritenuto dal supremo consesso amministrativo, infatti, l’accesso difensivo non può certamente essere ricondotto ad un mero potere processuale, assumendo una duplice natura giuridica, sostanziale e processuale. La natura sostanziale, in particolare, dipende dal fatto che l’istituto è finalizzato alla tutela di una situazione giuridica finale, mentre quella processuale consiste nella circostanza che il legislatore ha fornito una specifica protezione giuridica alla pretesa di conoscenza, rendendo giustiziabile l’eventuale illegittimo diniego o silenzio attraverso l’instaurazione di uno specifico procedimento di cui all’art. 116 c.p.a.
Viceversa, gli strumenti di acquisizione probatoria previsti dal codice civile – sia quelli generali di cui agli articoli 210 e seguenti, che quelli particolari di cui agli articoli 492 bis e 155 sexies delle disposizioni di attuazione – operano esclusivamente sul piano processuale e sono assoggettati al prudente apprezzamento del giudice, il cui eventuale rigetto non è autonomamente impugnabile.
Si osserva, d’altra parte, che nel nostro ordinamento la produzione in giudizio di documenti nel processo civile di primo grado ad opera delle parti è sottratta al giudizio di rilevanza di cui all’art. 187, comma 7, c.p.c., non essendo soggetta ad alcuna selezione preventiva sul presupposto che il suddetto criterio serva solo ad evitare attività processuali inutili, esigenza certamente non sussistente con riferimento alle prove precostituite quali i documenti.
A ciò si aggiunga, osserva il Collegio, che gli ordini di esibizione istruttoria sono subordinati – per effetto del richiamo ai “limiti entro i quali può essere ordinata l’ispezione ex art. 118 c.p.c.” contenuto nell’art. 210 c.p.c. – al requisito della indispensabilità del mezzo di prova per la conoscenza dei fatti di causa. Tale requisito, nello specifico, è stato sempre interpretato nel senso che i suddetti “ordini” debbano assumere carattere residuale, e che quindi possano essere adottati solo qualora la parte non sia in grado di acquisire il documento attraverso altri strumenti offerti dall’ordinamento, ai quali va sicuramente ricondotto anche il diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della l. n. 241/1990, qualora l’oggetto del conoscere sia costituito da un documento amministrativo.
Ne deriva che l’acquisizione al di fuori del giudizio dei documenti dei quali la parte intende avvalersi nel corso del processo deve ritenersi del tutto fisiologica e dunque, non solo consentita dall’ordinamento, ma oggetto di uno specifico onere a carico della parte a ciò legittimata.
Secondo la Plenaria, pertanto, la disciplina degli strumenti civilistici di esibizione istruttoria ex articoli 210, 211 e 213 c.p.c., lungi dal costituire un limite all’esperibilità dell’accesso documentale prima o in pendenza del giudizio sulla situazione giuridica finale, sembrano invece presupporre il suo previo esperimento.
Ad analoghe conclusioni deve inoltre pervenirsi con riguardo al rapporto tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo ed i poteri istruttori di acquisizione documentale attribuiti al giudice ordinario in materia di famiglia (si pensi all’art. 337, ult. com., c.c., all’art. 736 bis, comma 2, c.p.c., all’art. 155 sexies disp. att. c.p.c., nonché all’art. 5, comma 9, l. n. 898/1970), i quali, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, non possono essere esercitati per sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, la quale abbia la possibilità di acquisire aliunde le prove e non l’abbia fatto.
L’esperibilità in controversie di natura civilistica dell’accesso difensivo ai documenti amministrativi, afferma la Plenaria, non può nemmeno ritenersi lesivo del diritto di difesa della parte controinteressata, in quanto nel bilanciamento di interessi contrapposti, da una parte l’interesse all’accesso difensivo dell’istante e dall’altra la tutela della riservatezza della controparte, deve in questo caso prevalere il primo, quale esplicazione del diritto costituzionalmente garantito della tutela giurisdizionale, così come emerge dalla disciplina legislativa, la quale permette l’accesso ai documenti riservati nei casi in cui si renda necessario ai fini della tutela di un interesse giuridico.
L’accoglimento dell’istanza, d’altronde, non rende il dato acquisito liberamente trattabile dal soggetto richiedente, il quale è tenuto ad utilizzare il documento esclusivamente ai fini difensivi per i quali l’ostensione è stata richiesta, a pena di incorrere nelle sanzioni amministrative ed eventualmente anche penali previste per il trattamento illecito di dati riservati, e fatta salva inoltre la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.
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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo.
L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile.
Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale.
Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori.
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