Il diritto di accesso agli atti e ai documenti della pubblica amministrazione tra profili di trasparenza amministrativa e diritto di difesa

Il diritto di accesso agli atti e ai documenti della pubblica amministrazione tra profili di trasparenza amministrativa e diritto di difesa

Un commento all’articolo 22 della legge 241/90 tra profili di legittimità e tutela amministrativa e penale

In questa sede mi soffermerò esclusivamente sui profili di accesso sotto il profilo del procedimento amministrativo da parte del soggetto privato che presenti un’istanza allo scopo di ottenere un provvedimento amministrativo.

Merita ben più ampia ed approfondita disamina il tema di accesso civico, su cui mi soffermo brevemente per ragioni di completezza.

La normativa cosiddetta FOIA (Freedom of Information Act), introdotta con decreto legislativo n. 97 del 2016, è parte integrante del processo di riforma della pubblica amministrazione, definito dalla legge 7 agosto 2015, n. 124.

L’accesso civico generalizzato garantisce a chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti posseduti dalle pubbliche amministrazioni, se non c’è il pericolo di compromettere altri interessi pubblici o privati rilevanti, indicati dalla legge.

Viene riconosciuta quindi la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni come diritto fondamentale: in assenza di ostacoli riconducibili ai limiti previsti dalla legge, le amministrazioni devono dare prevalenza al diritto di chiunque di conoscere e di accedere alle informazioni possedute dalla pubblica amministrazione.

A differenza del diritto di accesso civico “semplice” (regolato dal d. lgs. n. 33/2013), che consente di accedere esclusivamente alle informazioni che rientrano negli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge (in particolare, dal decreto legislativo n. 33 del 2013), l’accesso civico generalizzato si estende a tutti i dati e i documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni, all’unica condizione che siano tutelati gli interessi pubblici e privati espressamente indicati dalla legge.

A differenza del diritto di accesso procedimentale o documentale (regolato dalla legge n. 241/1990), garantisce al cittadino la possibilità di richiedere dati e documenti alle pubbliche amministrazioni, senza dover dimostrare di possedere un interesse qualificato.

Quest’ultimo è l’oggetto specifico di queste riflessioni.

Dispone l’articolo 22 della legge 241/90: “Ai fini del presente capo si intende: a) per “diritto di accesso”, il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi; b) per “interessati”, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso; c) per “controinteressati”, tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza; d) per “documento amministrativo”, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale; e) per “pubblica amministrazione”, tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6. Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono. L’acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, ove non rientrante nella previsione dell’articolo 43, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al principio di leale cooperazione istituzionale. Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere“.

Il diritto di accesso (in generale e procedimentale) costituisce applicazione diretta del principio di trasparenza della pubblica amministrazione.

In tale ottica il riconoscimento del diritto di accesso a opera della Legge n. 241/90 è chiaro indicatore del passaggio da una concezione della pubblica amministrazione quale entità distante dal cittadino a una nuova visione della pubblica amministrazione quale struttura a servizio del cittadino, vicina alle esigenze del privato.

Il diritto di accesso procedimentale è il diritto di prendere visione e di estrarre copia dei documenti relativi a un procedimento amministrativo nell’ambito del quale il privato risulta coinvolto. Tale tipologia di accesso riguarda un interesse concreto, diretto e attuale configurabile in capo al privato.

I principi richiamati dalla legge 241 hanno piena rilevanza costituzionale in concreto, e il diritto di accesso pieno del “privato coinvolto nel procedimento” agli atti relativi al procedimento che lo vedono parte-partecipe sono costituzionalmente tutelati.

Si pensi al principio di “buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione” ex art. 97 Cost. allo sviluppo della personalità dell’individuo ex art. 2 Cost., e la sua crescita sociale, che avviene anche attraverso la partecipazione all’organizzazione amministrativa e dalla consapevolezza dei documenti che “lo riguardano”. Si pensi alla effettività del “principio di democrazia” di cui all’art. 3 Cost. che si realizza, in particolar modo, con la partecipazione dell’individuo ai processi decisionali ed al “diritto di difesa” di cui all’art. 24 Cost. che si estende anche all’istruttoria amministrativa, in quanto il soggetto partecipante può, da subito, preparare una linea difensiva nei confronti di future determinazioni illegittime della pubblica amministrazione.

Ecco che una violazione dell’articolo 22 della legge sul procedimento amministrativo da parte della pubblica amministrazione finisce con il concretizzare una vera e propria “violazione in concreto” di diritti costituzionali. Non meno dei quattro appena citati.

L’art. 22 specifica infatti che: “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.
Si tratta, dunque, di diritto fondamentale dell’individuo, collegato ai principi di trasparenza, imparzialità efficacia e, in primo luogo, al principio di democraticità dell’azione amministrativa.

Sotto questo punto di vista l’articolo 22 finisce con l’essere lo strumento di “verifica in concreto” che i principi di cui all’articolo 1 siano stati rispettati.

Una rilevanza tuttavia non solo nazionale che trova espressione anche in ambito sovranazionale.

All’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è disposto che: “Ogni cittadino dell’Unione nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione, a prescindere dal loro supporto”.

All’art. 15 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) è stabilito, al primo comma che: “Al fine di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione operano nel modo più trasparente possibile”.

Il riferimento immediato è al principio di trasparenza, di cui il diritto di accesso costituisce espressione concreta.

Viene dunque disposto, all’art. 3 TFUE che: “Qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione”.

L’esercizio della funzione amministrativa non è, allora, manifestazione di un potere unilaterale e al contrario la pubblica amministrazione è al servizio del cittadino.

L’esercizio del potere amministrativo non è, cioè, arbitrario, al contrario necessita di una giustificazione, che si concretizza in quell’obbligo di motivazione trasversale e dettagliata di cui agli articoli 3, 10 e 10bis della legge 241/90. Il potere amministrativo, in sostanza, trova il suo fondamento nella legge; è retto, in ogni sua manifestazione, dal principio di legalità, come ribadito dall’articolo 1 della legge sul procedimento amministrativo.

Ulteriore riferimento costituzionale è rintracciabile nella norma di cui all’art. 24 della Costituzione ove è sancito il diritto di difesa del cittadino in ogni stato e grado del processo ovvero all’art. 111 della Costituzione ove è sancito il principio del contraddittorio.
Queste disposizioni costituzionali recano un riferimento immediato al processo e non al procedimento amministrativo, ma è ben possibile applicare i principi sopra richiamati alla dinamica procedimentale, poiché, anche se al di fuori del processo considerato in senso stretto, si è pur sempre dinanzi a una procedura nell’ambito della quale sono coinvolti diritti del singolo al cospetto della pubblica autorità.

Il diritto di accedere ai documenti amministrativi, invero, permette al singolo di conoscere in pieno l’operato della pubblica amministrazione avuto riguardo a un suo interesse specifico, in tal modo egli potrà apportare al procedimento tutti i contributi che riterrà necessari per supportare al meglio la propria posizione.

Il provvedimento finale emanato dalla pubblica amministrazione, in tale ottica, non è più il risultato di una dinamica oscura, non è più espressione di un destino incontrovertibile, di un potere incontestabile.

Nella norma di cui all’art. 22 della legge sul procedimento amministrativo vengono fornite una serie di definizioni in tema di accesso ai documenti amministrativi, che ne chiariscono i presupposti.

Il diritto di accesso è “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi”.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, con sentenza del 26 aprile 2022 n. 575 ha statuito che “il rapporto tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza dei dati c.d. sensibilissimi, chiarisce in modo inequivoco che, in questi casi, il diritto di accesso può essere esercitato soltanto se, in seguito a una delicata operazione di bilanciamento di interessi, la situazione giuridica rilevante sottesa al diritto di accesso viene considerata di rango almeno pari al diritto alla riservatezza riferito alla sfera della salute dell’interessato”.

Tale opera di bilanciamento va effettuata in concreto, sulla base dei principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza.

Sul punto il TAR ha invocato la norma di cui all’art. 24, comma 7, della Legge n. 241 del 1990 secondo cui l’accesso è in tutti questi casi consentito qualora ciò risulti strettamente necessario e indispensabile per la difesa dei propri interessi giuridici.

Vale la pena incidentalmente richiamare la lettura dell’articolo 22, comma 1 lettera d, secondo il cui dettato: “per “documento amministrativo”, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.

Ciò rileva da un punto di vista della identificazione e della “selezione” della documentazione da produrre in sede di accesso, che dovrà essere “piena e completa” – ovvero non selettivamente discrezionale o arbitraria – rilevando la completezza da un punto di vista del principio di legalità, dovendosi considerare una qualsiasi arbitraria selezione o omissione, violante proprio tale principio: laddove la legge non disponga diversamente o non indichi esclusioni, l’esclusione è illegittima.

Come stabilito dall’art. 25 della legge 241/90, decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta di accesso, questa si intende respinta.

In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso, il richiedente ha due strade. Egli può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ovvero chiedere, al difensore civico, che sia riesaminata la determinazione dell’amministrazione.
Se si tratta di atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l’accesso e presso l’amministrazione resistente.

Il difensore civico o la Commissione per l’accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza. Scaduto il termine senza alcuna risposta, il ricorso si intende respinto.
La tutela processuale del diritto di accesso è assicurata a norma dell’art. 116 del Codice del processo amministrativo (D. Lgs 2 luglio 2010, n. 104).

Viene infatti previsto un rito speciale in tema di accesso ai documenti amministrativi “contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli obblighi di trasparenza”.

Il ricorso deve essere proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, e deve essere notificato all’amministrazione e ad almeno uno degli eventuali controinteressati.

A tali rimedi – a chi scrive – pare possa aggiungersene uno di responsabilità penale ex art. 328 c.p.

Si configura – in caso di non accoglimento motivato dell’istanza o peggio di silenzio di fronte all’istanza – concretamente la sciente e cosciente colposa, laddove non dolosa, omissione d’atti d’ufficio.

Trascorsi 30 dei giorni trascorsi dalla data in cui è stata inviata l’intimazione senza risposta si configura de facto l’inadempimento di cui all’art. 328 C.P. secondo comma, come modificato dall’art. 16 della legge n. 86 del 1990 (omissione e rifiuto di atti d’ufficio).

Infatti l’azione tipica del delitto di cui all’art. 328, comma secondo, è integrata dal mancato compimento di un atto dell’ufficio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ovvero dalla mancata esposizione delle ragioni del ritardo, entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi ha interesse; ne consegue che il reato, omissivo proprio e a consumazione istantanea, deve intendersi perfezionato con la scadenza del predetto.

Ai fini dell’integrazione del delitto di omissione di atti d’ufficio, è infatti irrilevante il formarsi del silenzio-inadempimento entro la scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato che, in quanto inadempimento, integra la condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice.

La ratio della norma che prevede l’integrazione della fattispecie nell’ipotesi di inadempimento o omessa risposta decorsi i trenta giorni dalla richiesta di chi vi ha interesse, non può fondatamente nemmeno essere ulteriormente compressa attraverso una duplicazione defaticante degli adempimenti necessari per conseguire (quantomeno) una risposta formulata per iscritto sulle ragioni del ritardo; circostanza che, qualora avallata, subirebbe poi le ulteriori implicazioni direttamente connesse alla disciplina amministrativa del procedimento, tanto da determinare interferenze tra le vicende penali e quelle amministrative; situazione che, attraverso la previsione del termine di trenta giorni contemporaneamente previsto dall’art. 2 L. 241/1990 e dal secondo comma dell’art. 328, il legislatore ha inteso chiaramente evitare.

Ai fini dei termini per la configurazione del reato quindi dovrà considerarsi il 31° giorno dall’istanza.

Il comma secondo punisce infatti la condotta di omissione non motivata di atti richiesti e perché vi sia omissione è necessario il ricorrere di tre requisiti: la richiesta formale dell’interessato, il mancato compimento dell’atto entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta (termine previsto dalle norme amministrative) e la mancata esposizione dell’interessato, nello stesso termine, delle ragioni del ritardo.

Si rammenta in proposito che il reato di cui all’art. 328 è compreso tra quelli commessi dai pubblici ufficiali contro la p.a. ed il bene giuridico tutelato, non è la «salvaguardia dell’organizzazione amministrativa» in quanto tale, bensì il buon andamento e la trasparenza dell’attività amministrativa (tutela dei valori-fine della legalità, probità, efficienza ed imparzialità) che devono caratterizzare l’attività della p.a., quando essa viene in contatto con i cittadini, mentre i privati non sono soggetti passivi bensì eventualmente danneggiati.  (Cassazione, Sez. 4, 18851/2012).

Il reato di abuso d’ufficio (art. 323), come quello di omissioni d’atti d’ufficio (art. 328), hanno natura plurioffensiva, poiché idonei a ledere, oltre all’interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della P.A., anche l’interesse del privato a non essere leso nei propri diritti costituzionalmente garantiti dal comportamento illegittimo ed ingiusto del pubblico ufficiale (Sez. 6, 20399/2006), nonché il concorrente interesse del privato danneggiato dall’omissione o dal ritardo dell’atto amministrativo dovuto (Sez. 2, 17345/2011) (riassunzione dovuta a Sez. 6, 15515/2018).

Per quanto all’elemento soggettivo del reato si rammenta che per configurare l’elemento psicologico del delitto di rifiuto di atti d’ufficio è necessario che il pubblico ufficiale sia consapevole del proprio contegno omissivo – dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento contra ius (Sez. 6, 36674/2015).

Per quanto all’elemento oggettivo del reato, il rifiuto si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un’urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio assuma la valenza di rifiuto dell’atto medesimo (Sez. 6, 17570/2006).

Si rileva, quindi, che la richiesta scritta di cui all’art. 328, comma secondo, rilevante ai fini dell’integrazione della fattispecie, deve essere tesa a rappresentare quantomeno la cogenza della richiesta e la sua necessità di un adempimento direttamente ricondotto alla disciplina del procedimento amministrativo, circa le conseguenze in ipotesi di non evasione o mancata risposta nei termini.

Va ricordata infine la sussidiarietà e ulteriorità del ricorso all’azione penale – che può integrare ma non sostituire il ricorso amministrativo – dal momento che ha rilevanza in termini di responsabilità personale individuale del soggetto omittente (si tratta di una scelta di omissione della persona fisica e non di una responsabilità dell’organizzazione!)”.

In tal senso possono essere ritenuti responsabili del reato ciascuno in proprio ed in concorso tra loro, nonché per la mancata vigilanza di competenza, e nello specifico sia il responsabile del procedimento, sia eventuali dirigenti (pari o superiori) che potevano/dovevano dare impulso all’adempimento.


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