Il diritto di difesa del minore infraquattordicenne nel processo penale
Cass. pen., sez. IV, 7 aprile 2020, n. 11541
La Suprema Corte di Cassazione, sezione IV, si è recentemente pronunciata con sentenza n. 11541 del 30/01/2020 e depositata il 07/04/2020 sul tema dell’estensione del diritto di difesa del soggetto minore infraquattordicenne all’interno del processo penale con riferimento all’istituto di cui all’art. 26 d.p.r. 448/1988 che prevede la declaratoria mediante sentenza di non doversi procedere nel caso di soggetto non imputabile ex art. 97 c.p. poiché inferiore di anni quattordici.
Il difensore dell’imputato ha infatti proposto ricorso per Cassazione lamentando la violazione del diritto di difesa del proprio assistito in quanto la pronuncia ex art 26 d.p.r. 448/1988 prescindendo dal positivo accertamento della responsabilità per il reato ascritto implica l’impossibilità per l’imputato di interloquire all’interno del processo pregiudicando il soggetto sul lungo termine in quanto conduce all’iscrizione nel casellario giudiziale ed ipoteticamente nel caso di violazioni particolarmente gravi anche l’applicazione di una misura di sicurezza.
A parere del ricorrente quindi dovrebbe costituire presupposto per il proscioglimento ex art. 26 l’accertamento dei fatti e della responsabilità del soggetto minore di anni quattordici, operato attraverso l’esplicazione del contraddittorio costituzionalmente garantito in quanto, in assenza del coinvolgimento della parte nella dinamica processuale si configurerebbe una lesione del diritto di difesa e l’impossibilità di adottare un differente provvedimento assolutorio, maggiormente liberatorio e favorevole nei confronti del soggetto, che risultasse effettivamente completamente estraneo ai fatti per i quali si procede.
La difesa ricorrente deduce quindi la violazione di legge con riferimento all’art 6 della CEDU e dell’art 40 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, il cui combinato disposto costituisce la cornice internazionale di riferimento per l’adesione del diritto di difesa alla figura del soggetto minorenne.
Il sindacato interpretativo relativo all’art. 26 d.p.r. 448/1988 porta con sé molteplici questioni, dovendo in primis comprendere l’estensione del diritto di difesa in relazione alle funzioni proprie del processo penale minorile e alla conseguente applicazione di tali assunti di principio alla concreta casistica coinvolgente soggetti minori di anni quattordici.
La difesa tecnica dell’imputato minorenne
La giurisdizione penale plasmata ad hoc sulle esigenze specifiche che contraddistinguono la minore età dell’imputato porta con sé la necessità dell’apprestamento di un sistema di difesa tecnica specifica e specializzata che dia applicazione ai principi propri del sistema penale minorile e al dettato costituzionale.
Le esigenze specifiche che processualmente distinguono il rito minorile da quello ordinario si estendono pertanto anche all’assistenza legale che dovrà diversamente declinarsi a fronte della presenza di un soggetto minore.
Tuttavia, la necessità intrinseca di differenziazione non significa sminuire i principi processuali, garanzia di un processo giusto ed equo, ma anzi adeguare tali capisaldi del sistema alle effettive peculiarità del rito minorile.
Da tale considerazione generale discendono importanti corollari.
In primo luogo, si rileva come il diritto di difesa del soggetto minorenne non solo non possa essere compresso ma anzi debba essere valorizzato maggiormente prevedendo un sistema ad hoc anche da tale prospettiva affinché la sua estensione corrisponda pienamente al combinato disposto dagli artt. 3 e 24 Cost.
In secondo luogo, si rende necessario il ricorso ad una figura professionale specializzata affinché venga garantita la sussistenza del surplus di difesa tale da compensare quello che può essere definito quale deficit di maturità che contraddistingue il soggetto imputato e che lo limita nel comprendere e nel seguire l’iter processuale.
Il proscioglimento per non imputabilità: interpretazioni ed argomentazioni
L’art. 26 sancisce che «in ogni stato e grado del procedimento il giudice, quando accerta che l’imputato è minore degli anni quattordici, pronuncia, anche di ufficio, sentenza di non luogo a procedere trattandosi di persona non imputabile.» in applicazione dell’art. 97 c.p.
A corollario di ciò è necessario rilevare fin da subito che il successivo art. 224 c.p. sancendo che «Qualora il fatto commesso da un minore degli anni quattordici sia preveduto dalla legge come delitto, ed egli sia pericoloso, il giudice, tenuto specialmente conto della gravità del fatto e delle condizioni morali della famiglia in cui il minore è vissuto, ordina che questi sia ricoverato nel riformatorio giudiziario o posto in libertà vigilata. Se, per il delitto, la legge stabilisce l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, e non si tratta di delitto colposo, è sempre ordinato il ricovero del minore nel riformatorio per un tempo non inferiore a tre anni.» induce a interpretare il citato art. 26 nel senso di rendere necessario un preventivo accertamento della responsabilità penale del soggetto.
Il proscioglimento per età non imputabile si distinguerebbe quindi dai casi di proscioglimento pieno di cui all’art 129 c.p.p.
Anche la suprema corte infatti nel provvedimento analizzato ha richiamato le pronunce secondo le quali «la formula terminativa di cui al d.p.r. n. 448/1988 art. 26 non può essere considerata pienamente liberatoria, alla stressa stregua di quelle di cui all’art. 129 c.p.p.. Conseguenza ne è la eventuale applicazione dell’art. 224 c.p.. Si profila pertanto una sostanziale incompatibilità tra l dettato del predetto art. 26 e quello del ricordato art. 224, atteso che il primo pretende che, preso atto della età infraquattordicenne della persona nei cui confronti le indagini sono state promosse o dovrebbero esserlo, il giudice emani sentenza di non luogo a provvedere, omettendo o sospendendo – secondo tale “lettura” – qualsiasi eventuale accertamento nel merito, mentre il secondo lascia aperta la possibilità a seguito della decisione sopra indicata, dell’applicazione di provvedimenti anche fortemente incisivi sulla libertà personale o, quantomeno, su quella di movimento»
Tale affermazione conduce a ritenere che la disposizione ex art. 31 d.p.r. 448/1988, concernente lo svolgimento dell’udienza preliminare non può considerarsi contraddittoria rispetto la previsione ex art. 26 medesimo d.p.r. mentre il differente orientamento interpretativo che consentirebbe una pronuncia de plano non sarebbe condivisibile.
Sulla base di tali presupposti la Suprema Corte ha affrontato il tema accogliendo il ricorso proposto argomentando come segue.
Il coordinamento tra le disposizioni analizzate diventa ancor più complesso con riferimento alla sentenza 20 gennaio 1971 con la quale la Corte costituzionale ha eliminato l’automatismo ex art. 224 c.p. atteso che «da un lato, il giudicante deve immediatamente dichiarare non luogo a provvedere, una volta effettuato il semplice accertamento anagrafico, dall’altro, dovrebbe essere in grado di conoscere il merito e di scandagliare la personalità del minore, allo scopo di valutare la necessità di applicare la misura di sicurezza».
A sostegno della tesi preveduta dal ricorrente viene richiamata la pronuncia della Corte Europea dei diritti dell’Uomo Panovits vs. Cyprus all’interno della quale la Corte EDU ha ribadito che in applicazione della salvaguardia della condizione di particolare vulnerabilità del minore nel processo penale e della sua incidenza sul contenuto degli obblighi positivi in capo agli Stati, questi devono organizzare il processo a carico di un soggetto minorenne tenendo conto dell’età, del livello di maturità e del grado di sviluppo delle capacità intellettive ed emotive dell’accusato al fine di consentire la comprensione e la partecipazione attiva al procedimento in applicazione del diritto di difesa ex art. 6 CEDU, nella sua massima estensione.
La decisione
La Suprema Corte quindi conclude in favore del ricorrente annullando l’impugnata sentenza e rinviando per nuovo giudizio al Tribunale per i minorenni di Roma, affermando che le argomentazioni poste «inducono a propendere per la necessità di assicurare al minore, ancorché infraquattordicenne e come tale non imputabile, la più ampia difesa al fine di scongiurare, consentendogli la partecipazione al processo nel pieno contraddittorio, qualsiasi effetto pregiudizievole derivante dal coinvolgimento in un affare penale, ivi compresi – ovviamente – effetti diversi dall’applicazione della sanzione penale, quali l’applicazione di una misura di sicurezza, o anche, la semplice annotazione della sentenza di proscioglimento su certificato del casellario penale, tenuto conto della possibile ricaduta del proscioglimento del proscioglimento per difetto di imputabilità, accompagnato da dette misure sul pieno e incondizionato inserimento sociale del minore, nella delicata fase dello sviluppo della personalità».
Dalla analizzata pronuncia della Suprema Corte discendono talune considerazioni di rilievo.
In primis viene nuovamente affermata ed applicata nel settore minorile la centralità del diritto di difesa in ogni suo aspetto, e che tale diritto necessità a sua volta di particolari peculiarità che lo adattino e lo rendano idoneo ad esplicarsi nel rito minorile in modo particolare nel caso in cui sia coinvolto un soggetto infra quattordicenne.
Pertanto in tale ottica la disposizione ex art. 97 c.p. che prevede la presunzione assoluta di non imputabilità del soggetto che non abbia compiuto al momento del fatto gli anni quattordici per assenza della capacità di intendere e volere idonea, pur costituendo normativa di favore nei confronti di tali soggetti non può condurre per altro verso a restrizione del costituzionalmente tutelato diritto di difesa nel processo penale.
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