Il diritto di non nascere se non sano

Il diritto di non nascere se non sano

La vita è il bene supremo che ciascuno possa ricevere ed il diritto a nascere è inviolabile. Esso rientra tra quelli enunciati dall’art. 2 della Cost.: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Essi si suddividono in un aspetto “materiale” e in uno “morale” dei diritti della persona e nel primo rientrano il diritto alla vita, alla salute ed alla integrità psicofisica nel secondo, invece, quello al nome, all’immagine, onore e riservatezza. Sul diritto alla vita la dottrina e la giurisprudenza hanno affrontato importanti questioni in riferimento alla esistenza o meno di un diritto a non nascere se non sani ed un diritto a morire se si versa in condizioni di salute gravi ed irreversibili.

Sul primo si è formato un contrasto giurisprudenziale tra due linee di pensiero differenti: una parte della dottrina e della giurisprudenza negava l’esistenza di un diritto di non nascere se non sano; il figlio disabile non era, pertanto, legittimato ad agire per ottenere un risarcimento del danno da parte del medico e della struttura sanitaria di riferimento che lo avevano fatto nascere perché, nel momento in cui il medico ha omesso di comunicare alla madre le malformazioni del feto, egli non era un soggetto di diritto. Nello specifico, non possedeva quella capacità giuridica, ex art. 1 c.c. che lo legittimava ad essere titolare e /o destinatario di situazioni giuridiche soggettive. (Cass. civ. n. 14488/2004, n. 16123/2006, n. 10741/2009).

Alla tesi che esclude la legittimazione del figlio disabile a domandare un ristoro per il pregiudizio subito per assenza di soggettività giuridica si contrappone il filone dottrinario e giurisprudenziale che sosteneva che per richiedere un risarcimento non necessariamente si deve essere un soggetto di diritto ma è possibile anche per chi è qualificato come “oggetto” di diritto. Tale assunto si fonda sulla presenza nell’ordinamento giuridico italiano di una serie di norme che tutelano il nascituro ancor prima della nascita e che, conseguentemente, gli permettono di agire in giudizio una volta nato e per il tramite o dei suoi genitori biologici od eventualmente di chi ne fa le veci per ottenere la riparazione di quanto subito in qualità di “oggetto” di diritto al momento in cui è stato commesso il danno. (Cass. Civ. n. 16754/2012).

A dirimere questo contrasto sono intervenute le Sezioni Unite n. 25767 del 2015 opponendosi ad entrambe le posizioni ed affermando che esse sbagliavano a focalizzarsi sulla soggettività o meno del nascituro perché nel caso in cui viene a nascere un figlio con malformazioni fisiche, facilmente, riscontrabili dal medico e delle quali non veniva, debitamente, informata la gestante è quest’ultima ad essere lesa dal comportamento negligente del professionista e non il nascituro.

Ad essere violato è il diritto della madre ad essere, adeguatamente, informata sulle condizioni di salute del feto al fine di permetterle di potersi, liberamente, autodeterminarsi in ordine alla scelta se proseguire o meno con la gravidanza.

Se si dovesse, invece, riconoscere un diritto del nascituro al risarcimento del danno sul fatto che egli avrebbe preferito morire anziché vivere a quelle condizioni si giungerebbe al paradosso di incolpare il medico per avergli dato la vita che, come all’inizio scritto, costituisce il bene supremo di ciascun individuo.

Così ragionando si finirebbe, d’altronde, per accusare anche la madre laddove, una volta informata della disabilità del figlio, coscientemente e volutamente proseguisse con la gravidanza con la conseguenza che l’aborto non sarebbe più il frutto di una libera scelta ma, indirettamente, un obbligo per non incorrere in una responsabilità civile.

Con questa pronuncia, la Corte a Sez. Un. ha, una volta per tutte, escluso il diritto a non nascere se non sano affermando che, in tali circostanze, gli unici che possono avanzare, fondatamente, una richiesta di risarcimento dei danni sono solo la madre, quale vittima della lesione al suo diritto di, liberamente, autodeterminarsi di fronte alla scelta se abortire o meno, il padre ed i figli nati prima del concepimento del germano disabile in forza della propagazione intersoggettiva degli effetti dell’illecito. Quest’ultimi, difatti, in primis non possono beneficiare in misura totale di un rapporto con i genitori i quali sono, maggiormente, impegnati ad occuparsi del figlio invalido ed inoltre possono subire un danno sia economico che psicologico in quanto la loro vita è compromessa a causa di importanti difficoltà che, assieme ai genitori, devono affrontare.

Una volta che poi quest’ultimi verranno meno saranno loro a doversi occupare del fratello menomato affrontando eventuali spese mediche e vivendo una vita, qualitativamente, inferiore.


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Alessandra Albanese

Laureata in giurisprudenza con la passione per la legge, le piace approfondire continuamente gli aspetti giuridici nei vari settori del diritto e condividere quanto appreso assieme agli altri.

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