Il diritto di prelazione: la prelazione urbana e quella agraria

Il diritto di prelazione: la prelazione urbana e quella agraria

Si definisce “prelazione” il diritto di essere preferito ad altri, a parità di condizioni, nella stipulazione di un futuro contratto.

Si parla di prelazione volontaria, in particolare, per indicare quella che trova la propria fonte nella volontà delle parti; si definisce legale, invece, quella prevista espressamente dalla legge. In alcuni casi, infatti, è la legge stessa a ritenere che, nell’ambito di determinate stipulazioni, un contraente debba essere preferito rispetto ad un altro. 

Le due forme di prelazione si distinguono in relazione agli effetti che sono suscettibili di produrre: mentre la prelazione volontaria ha infatti efficacia meramente obbligatoria, consentendo in caso di inadempimento il solo diritto al risarcimento del danno, quella legale ha invece carattere reale, permettendo al prelazionario la possibilità di recuperare il bene presso il soggetto che lo ha acquistato in violazione della prelazione.

Posto che la prelazione volontaria trae origine da un accordo tra le parti, ci si interroga in ordine alla natura giuridica di tale accordo.

Secondo una prima concezione, l’accordo di prelazione dovrebbe considerarsi alla stregua di un patto di opzione, da questo differenziandosi per il solo fatto che il diritto attribuito alla parte non si identifica nella possibilità di decidere se accettare o meno l’altrui proposta contrattuale, quanto piuttosto nella facoltà di scegliere se pervenire o meno alla stipulazione di un futuro contratto.

Tale tesi risulta difficilmente condivisibile in quanto non coglie gli elementi distintivi tra le due fattispecie: l’opzione, infatti, a differenza della prelazione, non consiste nell’attribuzione del diritto ad essere preferito nella conclusione di un futuro ed eventuale negozio, ma conferisce il diritto di accettare una proposta, senza che occorra nessuna altra manifestazione di volontà da parte del proponente.

Per un’altra interpretazione il patto di prelazione sarebbe invece un preliminare unilaterale, il cui contenuto coinciderebbe con le condizioni contrattuali eventualmente offerte in futuro dal terzo.

Anche tale opinione non può certamente essere accolta, in quanto la prelazione non obbliga il promittente, il quale, nonostante l’accordo di preferenza intercorso con il prelazionario, può comunque decidere di non pervenire alla stipulazione del contratto.

A differenza del contratto preliminare unilaterale, si osserva, il quale comporta l’immediata e definitiva assunzione dell’obbligazione di prestare il consenso per il contratto definitivo, il patto di prelazione genera a carico del promittente l’obbligo di non stipulare con altri il contratto se non dopo che il prelazionario, debitamente informato, non abbia manifestato la volontà di esercitare la prelazione.

Si tratterebbe pertanto di un patto de non contrahendo, ossia di un accordo a non concludere con altri il contratto senza aver prima interpellato il prelazionario.

Tanto premesso, nel caso in cui il promittente intenda pervenire alla stipulazione del contratto, dovrà procedere ad informare il prelazionario, al quale dovrà essere consentito l’esercizio della prelazione.

Alcuni autori ed una parte della giurisprudenza ritengono che il dovere di interpello costituisca per il promittente un obbligo, e non invece un onere, posto che il medesimo non avrebbe alcun interesse sotteso a tale comunicazione.

In realtà, si osserva, il patto di prelazione non comporta alcun obbligo di comunicazione in capo al promittente, ma solo l’obbligo di preferire il promissario; d’altra parte, non è vero che il prelazionario non ha alcun interesse a fare la denuncia, posto che il rifiuto del prelazionario ne determinerebbe la liberazione, permettendogli così di stipulare il contratto con il terzo.

La denuntiatio costituisce dunque un onere per il promittente, ovvero un comportamento che lo stesso è tenuto a porre in essere qualora intenda raggiungere un determinato risultato, da identificarsi in questo caso nella liberazione dall’obbligo di prelazione e nella conseguente possibilità di instaurare il rapporto giuridico con il terzo.

Uno degli aspetti maggiormente controversi del diritto di prelazione concerna la natura giuridica di tale denuncia.

Secondo un prima impostazione, la stessa dovrebbe intendersi alla stregua di una vera e propria proposta contrattuale, dovendo pertanto essere redatta nella medesima forma del contratto che si interne concludere e contenere tutti gli elementi necessari per pervenire alla stipulazione del medesimo.

Per un’altra concezione, invece, la denuntiatio dovrebbe essere ricondotta nell’ambito degli atti di interpello non aventi natura negoziale, mentre assurgerebbe a proposta contrattuale la risposta affermativa del promissario di voler esercitare la prelazione.

Sulla questione concernente la natura giuridica di tale comunicazione è intervenuta la S.C., secondo la quale essa può sicuramente concretizzarsi in una proposta contrattuale ma non necessariamente.

Secondo la Corte, in particolare, la denuncia assume di norma la valenza di un mero interpello a forma libera, con il quale si comunica la volontà di stipulare un contratto a certe condizioni e dalla quale non deriva per il beneficiario il diritto alla conclusione del negozio, ma solo quello di essere preferito ad altro contraente.

La funzione necessaria e sufficiente dell’interpellanza non è quindi quella di una proposta contrattuale, bensì soltanto quella di consentire al promittente di liberarsi dall’obbligo di prelazione e di pervenire così alla contrattazione con il terzo.

Accogliendo tale impostazione, dunque, si esclude che la suddetta comunicazione debba rivestire la stessa forma del contratto al quale si riferisce: laddove nel patto di prelazione non sia sancita espressamente la forma scritta, pertanto, la denuntiatio potrà avvenire anche oralmente, ancorché il contratto che si intende stipulare abbia ad oggetto un bene immobile.

La denuntiatio è quindi un atto dovuto di interpello finalizzato a consentire l’esercizio del diritto di prelazione, e non invece una proposta contrattuale o comunque una mera informativa di generici intenti.

La dichiarazione di esercizio della prelazione da parte dell’avente diritto, pertanto, non costituisce accettazione negoziale e non comporta l’immediato acquisto della proprietà del bene, ma soltanto il vincolo per entrambe le parti di addivenire alla stipula del contratto.

Nella prelazione legale, come detto, l’omessa comunicazione di alienare comporta per il prelazionario la possibilità di riscattare il bene presso il terzo acquirente.

Come ritenuto dalla S.C., d’altronde, il diritto di retratto deve essere riconosciuto qualora la vendita sia avvenuta a condizioni diverse da quelle comunicate, nonché nell’ipotesi di vendita a terzi dell’immobile locato nonostante l’esercizio del diritto di prelazione, ovvero nel caso in cui la stipulazione dell’atto di vendita con il terzo sia stata effettuata in data successiva e diversa rispetto a quella enunciata nella denuntiatio.

L’esercizio del riscatto avviene mediante una dichiarazione unilaterale recettizia del prelazionario, la quale, osserva la S.C., non comporta la risoluzione del contratto traslativo e la contestuale formazione di un titolo di acquisto ex nunc a favore del retraente, né un nuovo trasferimento del diritto sul bene dal terzo acquirente al titolare del diritto di riscatto, quanto piuttosto la sostituzione con effetto ex tunc di quest’ultimo nella posizione che il terzo aveva nel contratto concluso.

Quanto alla forma di tale dichiarazione, si ritiene che la stessa possa essere espressa sia con atto stragiudiziale che mediante atto di citazione a giudizio.

Un’altra questione dibattuta in ambito di prelazione riguarda la possibilità apporre la relativa clausola a trasferimenti aventi carattere gratuito.

Parte della dottrina fornisce risposta affermativa, ritenendo che in presenza dello spirito di liberalità in capo al promittente sussisterebbe una donazione obbligatoria ex art. 769 c.c.; altra dottrina, invece, mancando l’arricchimento del prelazionario, il quale acquisisce un mero vantaggio, inquadra la fattispecie nell’ambito dei contratti gratuiti atipici.

Tanto premesso, tra le ipotesi di prelazione legale vi rientra certamente quella c.d. urbana, la quale si identifica in quella particolare tipologia di prelazione collegata ad un rapporto di locazione concernente un immobile adibito ad uso abitativo o commerciale.

Si suole distinguere, in particolare, tra prelazione commerciale ex art. 38 l. n. 392/1978, prelazione abitativa ex art. 3 l. n. 431/99 e prelazione del patrimonio pubblico ex art. 3 d.l. n. 351/01, convertito in l. n. 410/01.

Quanto alla prelazione urbana commerciale, l’art. 38 l. n. 392/78 dispone che la comunicazione del locatore al conduttore debba essere effettuata con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, nel quale devono essere indicati il corrispettivo e le condizioni concernenti la compravendita, nonché l’invito ad esercitare la prelazione.

La S.C., tuttavia, ritiene che possano essere utilizzate modalità equipollenti rispetto alla notifica a mezzo di ufficiale giudiziario, quali per esempio l’invio per lettera raccomandata o la consegna nella mani del conduttore di un atto contenente tutte le informazioni necessarie.

Il conduttore deve esercitare il diritto di prelazione entro il termine di 60 giorni dalla ricezione della comunicazione, con atto notificato al proprietario a mezzo di ufficiale giudiziario, offrendo condizioni analoghe a quelle comunicategli.

La prelazione, in ogni caso, opera esclusivamente con riferimento a quegli immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che comportano contatto diretto con il pubblico, esclusi quelli destinati all’esercizio di un’attività professionale.

La ragione di tale esclusione è da ricercarsi nella natura dell’attività professionale, la quale si caratterizza per la prevalenza dell’intuitus personae e per la conseguente irrilevanza, in ordine all’avviamento creato dal conduttore, del luogo di ubicazione dell’attività.

Qualora l’immobile sia solo in parte adibito alle attività indicate, per l’operatività della prelazione, osserva la giurisprudenza, è necessario accertare che detto uso del bene sia effettivamente prevalente rispetto agli altri.

Una delle questioni maggiormente problematiche in tema di prelazione urbana commerciale concerne la c.d. vendita in blocco, ovvero l’ipotesi in cui il locale adibito a locazione commerciale venga alienato insieme ad altri estranei al rapporto locativo; ci si chiede, infatti, se anche in tale ipotesi possa operare la prelazione.

Secondo la giurisprudenza occorre a tale fine operare una distinzione tra vendita in blocco e vendita cumulativa, escludendo nel primo caso la prelazione in considerazione della mancata coincidenza tra il bene venduto e quello assoggettato a prelazione.

Mentre nella vendita in blocco, infatti, l’oggetto del contratto è inteso come unico ed inscindibile, anche se composto da più beni dotati di una propria individualità, e dunque costituisce un quid diverso dalla mera somma delle singole unità immobiliari, la vendita cumulativa ha invece ad oggetto un insieme di beni non costituenti un complesso unitario ed inscindibile, ciascuno dei quali conserva pertanto carattere autonomo rispetto agli altri.

Nell’ambito della vendita cumulativa, d’altra parte, la quale si sostanzia in una vendita con un unico atto di più unità immobiliari dotate di una propria autonomia, occorre altresì stabilire se l’oggetto del contratto sia da identificarsi in un complesso immobiliare dotato di una propria individualità giuridico/strutturale, o se invece sia il risultato di tanti atti di disposizione quanti sono gli immobili, andando quindi a costituire un atto traslativo ad oggetto plurimo. Nella prima ipotesi, osserva la S.C., la prelazione ed il riscatto devono essere esclusi per le medesime ragioni per le quali lo sono nella vendita in blocco, in quanto oggetto del trasferimento è un bene diverso dall’immobile locato; al contrario, devono invece essere riconosciuti nella seconda delle fattispecie considerate, operando sia con riferimento all’intera vendita che con riguardo al solo immobile oggetto di locazione.

Nonostante la legge non contenga alcuna specificazione in merito, si ritiene che la tipologia negoziale in relazione alla quale opera il meccanismo della prelazione debba individuarsi nel contratto di compravendita, così come si desume chiaramente dalle espressioni utilizzate sia dall’art. 38 che dall’art. 39 della l. n. 392/78, i quali parlano di “trasferimento a titolo oneroso” e di “versamento del prezzo di acquisto”.

La giurisprudenza ha invece escluso che la prelazione possa operare con riferimento all’atto di conferimento in società, ovvero nel caso di vendita forzata dell’immobile locato.

Del pari, escludono l’operatività della prelazione anche la cessione di quote della società locatrice o la vendita di una quota di proprietà dell’immobile locato.

Quanto ai soggetti, invece, si ritiene che la prelazione spetti al cessionario in caso di cessione del contratto di locazione, nonché al subconduttore in caso di sublocazione.

Nella prelazione urbana commerciale, il termine per l’esercizio della prelazione è di 60 giorni dalla comunicazione della denuntiatio, mentre il retratto deve essere esercitato nel termine legale di decadenza di 6 mesi, decorrente dalla data di trascrizione dell’atto di vendita.

Tale termine, osserva la giurisprudenza, deve considerarsi assoluto e prescinde da ogni considerazione in merito ai motivi per i quali il conduttore non sia venuto a conoscenza della trascrizione, potendo ciò essere dovuto anche al comportamento fraudolento del proprietario o dell’acquirente del bene.

Nell’ambito della prelazione urbana vi rientra altresì quella avente ad oggetto edifici adibiti ad uso abitativo, prevista e disciplinata dalla l. n. 431/98.

La finalità di tale tipologia di prelazione è duplice: da un lato, infatti, essa consente al proprietario locatore di cedere il bene come libero, in modo da ottenere un prezzo di vendita più favorevole; dall’altro, essa permette al conduttore di continuare ad abitare l’appartamento goduto in locazione, acquisendone la proprietà.

Come previsto dall’art. 3 della legge citata, in particolare, il diritto di prelazione è in questo riconosciuto al conduttore dell’immobile locato quando il proprietario locatore intenda vendere il bene a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo, oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione.

In tale ipotesi, il locatore può avvalersi della facoltà di diniego del rinnovo del contratto, dandone comunicazione al conduttore con preavviso di almeno 6 mesi.

La prelazione, dunque, opera nell’eventualità in cui il proprietario dell’immobile abbia comunicato al conduttore la disdetta del contratto di locazione, al fine di procedere alla vendita del bene come libero. 

Diversamente, ovvero nel caso in cui il locatore non voglia dare disdetta, e dunque desideri la prosecuzione del rapporto locativo, non sorge alcun diritto di prelazione ed il proprietario può quindi alienare il bene a chiunque senza alcun obbligo di denuntiatio.

Affinché il proprietario locatore possa procedere alla vendita del bene come libero, e dunque disdettare il contratto di locazione, è tuttavia necessario che il medesimo non abbia la proprietà di altri immobili adibito ad uso abitativo.

Secondo parte della dottrina, tale disposizione mostra con evidenza la necessità che, ai fini dell’operatività della prelazione, il locatore sia anche proprietario del bene che intende mettere in vendita e non semplice usufruttuario.

La norma è inoltre criticata per il fatto che attribuisce il vantaggio al solo piccolo proprietario e non anche a quello abbiente, il quale, disponendo di più immobili, si troverebbe nell’impossibilità di procedere alla disdetta del contratto di locazione allo scopo di pervenire alla vendita del bene locato come libero.

D’altra parte, però, si osserva che anche il proprietario di più immobili, quando i medesimi non siano adibiti ad uso abitativo, può effettuare la disdetta senza incorrere in alcuna preclusione.

Ciò che assume rilevanza, in particolare, non sono tanto le indicazioni catastali o amministrative del bene, quanto l’effettiva destinazione ad uso abitativo dell’immobile da parte del proprietario locatore.

Come previsto dall’art. 1 della l. n. 431/98, alcune categorie di beni sono tuttavia escluse dalla prelazione: si pensi, a tal riguardo, alle abitazioni di tipo signorile, agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, nonché a quelli locati esclusivamente per finalità turistica.

Trattasi, infatti, di beni aventi particolari caratteristiche e come tali soggetti ad una disciplina specifica.

Analogamente a quanto previsto con riferimento alla prelazione urbana commerciale, anche con riguardo a questa diversa tipologia di prelazione deve ritenersi che l’unico negozio giuridico idoneo a determinarne l’operatività sia la compravendita.

Nell’ambito della prelazione c.d. urbana, rimane in ultimo da analizzare quella particolare ipotesi  di prelazione avente ad oggetto un bene facente parte del patrimonio pubblico.

La prima fonte normativa a sancire la prelazione nel settore pubblicistico è il d.l. n. 104/96, il quale prevedeva il diritto di prelazione a favore dei conduttori di unità abitative adibite ad uso residenziale, nonché a favore dei conduttori di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo,  ma in tal caso ad un prezzo superiore rispetto al valore catastale del bene.

Con il d.lgs. n. 351/01, convertito in legge n. 401/01, si introduce poi la c.d. cartolarizzazione, ovvero la possibilità per l’ente pubblico proprietario del bene di procedere alla vendita del medesimo ad una società veicolo, la quale è tenuta a corrispondere immediatamente all’ente una somma d’importo provvisorio, qualificabile come prezzo iniziale, e successivamente a cedere i beni ad un prezzo di mercato, per le unità immobiliari libere od occupate ma inoptate, o ad un prezzo di mercato scontato, per quelle occupate ed acquistate dai conduttori in opzione.

Oltre al diritto di prelazione, infatti, ai conduttori di unità immobiliari ad uso residenziale, che siano in regola con il pagamento del canone e delle relative spese, nonché ai familiari e agli eredi con loro conviventi, viene riconosciuto quello di opzione.

Esaurito il meccanismo dell’opzione, tutte le unità immobiliari rimaste invendute vengono messe all’asta e torna ad operare la prelazione.

Con riferimento alle unità immobiliari adibite ad uso residenziale, tuttavia, affinché possa operare la prelazione, per coloro i quali non hanno esercitato l’opzione, è necessario che il prezzo di aggiudicazione sia inferiore a quello offerto in opzione.

Un’altra fattispecie di prelazione legale è quella c.d. agraria, la quale opera a favore dell’affittuario del fondo (art. 8, l. n. 590/65) o del proprietario del fondo confinante (art. 7, l. n. 817/71).

Come previsto dall’art. 7 citato, in particolare, la prelazione a favore del proprietario confinante coltivatore diretto è esercitabile purché sui fondi offerti in vendita non vi siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti o enfiteuti coltivatori diretti.

Per la giurisprudenza, d’altra parte, la prelazione a favore del proprietario confinante deve essere esclusa anche se l’affittuario rinuncia a quella a lui spettante, ovvero sia privo del relativo diritto in quanto coltivante il fondo da meno di due anni; anche in queste ipotesi, dunque, il fondo può essere venduto liberamente, senza che alcuno possa esercitare la prelazione.

Ne deriva, pertanto, che mentre per l’affittuario coltivatore diretto del fondo il diritto di prelazione risulta pieno, per il coltivatore diretto proprietario del fondo confinante l’opportunità di acquistare il fondo è invece subordinata alla mancanza di affittuari precedentemente insediati.

Secondo quanto osservato da attenta dottrina, la funzione della prelazione agraria deve essere ricercata nell’esigenza di favorire la creazione di imprese agricole moderne ed efficienti, attraverso l’accorpamento e l’espansione dei terreni coltivati dalla medesima azienda.

Tale finalità, osserva la dottrina, consente di giustificare la previsione di un diritto di prelazione e la conseguente riduzione della facoltà di scelta del proprietario del fondo, il quale è infatti tenuto a disporre del bene con preferenza dei soggetti che già vi si sono insediati o che abbiano comunque la concreta possibilità di espandere sul medesimo l’impresa già esercitata sui fondi confinanti.

Un’importante questione giuridica che si è posta con specifico riferimento alla prelazione del proprietario confinante, ha riguardato la determinazione delle tipologie di fondi in relazione ai quali è possibile ammettere l’operatività della prelazione.

Secondo la giurisprudenza prevalente, considerato che la prelazione agraria deroga al principio di libera commerciabilità dei beni, deve pervenirsi ad un’interpretazione restrittiva delle norme che la disciplinano, con la conseguenza che il termine “confine” non può che essere inteso come una linea costituta naturalmente od artificialmente per delimitare l’estensione di un terreno e, pertanto, ai fini dell’operatività della prelazione non si può prescindere dal requisito della contiguità materiale tra i fondi.

Di contrario avviso è invece l’opinione minoritaria, la quale ritiene sufficiente la contiguità funzionale tra i fondi, ovvero ammette la prelazione anche nelle ipotesi in cui i terreni non risultino confinanti, ma si trovino comunque in condizione di essere posti l’uno in funzione dell’altro.

Secondo la dottrina, d’altra parte, la definizione di “fondo” accolta dalla S.C., quale estensione che abbia una propria autonomia colturale e produttiva, non si addice al caso della prelazione del confinante, posto che qualsiasi appezzamento di terreno, a prescindere dal fatto che sia coltivato o meno, risulta in realtà suscettibile di soddisfare la pretesa del proprietario confinante, consentendogli di allargare l’impresa agricola di cui è titolare.

In giurisprudenza ci si è altresì interrogati in ordine all’operatività della prelazione nel caso di vendita di un complesso di terreni contigui tra loro, dei quali solo alcuni confinano con un fondo appartenente a coltivatore diretto; ci si è chiesti, infatti, se il diritto di prelazione possa essere esercitato solo con riferimento a quei fondi che confinano con la proprietà del soggetto avente diritto alla prelazione o se, invece, il diritto possa essere esercitato con riguardo a tutti i terreni oggetto della vendita.

A tal fine, osserva la S.C., occorre accertare se tale complesso di beni costituisca un’unita poderale, nell’ambito della quale ciascun terreno sia privo di una propria autonomia coltivatrice, ovvero se, al contrario, sia un insieme di porzioni distinte ed autonome: nel primo caso, infatti, il termine “fondo” non può che riferirsi all’intero complesso, mentre nel secondo si riferisce solo ai terreni contigui a quelli del titolare del diritto di prelazione.

Quanto alla vendita frazionata, invece, osserva la giurisprudenza, essa deve ritenersi vietata quando il fondo diviso costituisca un’unica unità colturale; in questo caso, dunque, il prelazionario ha diritto di esercitare la prelazione sull’intero fondo confinante; diversamente, il proprietario coltivatore diretto del fondo confinante può esercitare il diritto di prelazione solo su quella porzione di fondo che dopo il frazionamento conservi ancora il carattere della contiguità materiale.

 

 

 

 

 


Sitografia
La prelazione nell’ambito dell’impresa familiare | Salvis Juribus
Prelazione volontaria e legale, natura ed effetti – Renato D’Isa (renatodisa.com)

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo. L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile. Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale. Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori. Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.

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