Il diritto di recesso: disciplina generale e normativa consumeristica
Il contratto vincola le parti al rispetto delle regole consacrate nel regolamento negoziale: il principio è espresso enfaticamente dall’art. 1372 c.c. secondo il quale il contratto ha forza di legge tra le parti che lo hanno concluso[1]. Il vincolo contrattuale può essere sciolto per mutuo dissenso (o, secondo la terminologia del codice, il mutuo consenso allo scioglimento) o per le cause ammesse dalla legge (art. 1372, co. 1, c.c.). Tra queste ultime sono comprese il termine essenziale, la condizione risolutiva, le invalidità, la risoluzione e la rescissione del contratto e, infine, le ipotesi di recesso[2], che saranno oggetto di questa disamina.
La previsione dell’espressione “cause ammesse dalla legge” rappresenta una ulteriore conferma circa la regola generale dell’intangibilità del vincolo per volontà unilaterale: il potere di scioglimento dell’accordo contrattuale, attribuito ad una sola delle parti, può essere riconosciuto con espressa previsione di legge[3]. La legge consente, infatti, che una parte, nel rispetto di un termine preciso o quantomeno determinabile, si liberi unilateralmente dal vincolo assunto esercitando il diritto di recesso, il quale può essere legale (ad es. art. 1671 c.c.) o convenzionale (art. 1373 c.c.)[4].
Il recesso legale consente alla parte di svincolarsi dalla legge ex contractu, a fronte di variazioni delle condizioni originariamente pattuite stabilite dalla controparte in corso di rapporto, nei contratti che prevedono, mediante una clausola approvata specificatamente dall’altro contraente, tale ius variandi[5].
La regola generale di cui all’art. 1372 c.c. è corroborata altresì dal tenore dell’art. 1373, co. 1, c.c., il quale ammette il recesso unilaterale convenzionale: “se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione”. Nel caso di contratti ad esecuzione periodica o continuata il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione (art. 1373, co. 2, c.c.).
Il recesso è, dunque, il negozio unilaterale con cui la parte di un contratto ne dispone lo scioglimento[6]; trattandosi di atto unilaterale, produce i propri effetti a norma dell’art. 1334 c.c. nel momento in cui perviene a conoscenza del destinatario, operando la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., e, una volta esercitato, è irrevocabile, al fine di salvaguardare la certezza dei rapporti giuridici[7]. Nel recesso ex lege la parte che intenda esercitarlo deve comunicare tale volontà nei tempi stabiliti e nelle altre ipotesi secondo quanto pattuito o, in difetto, con un congruo anticipo, nel rispetto del principio di buona fede ex art. 1375 c.c.[8].
La collocazione sistematica dell’art. 1373 c.c., posto immediatamente dopo la disposizione che afferma in maniera solenne il principio della imperatività del contratto tra le parti[9], induce ad attribuire all’istituto del recesso una operatività limitata a casi eccezionali, poiché derogatorio del principio pacta sunt servanda. A seguito dell’avvento della legislazione comunitaria, il potere di liberarsi unilateralmente dal vincolo negoziale, ha subito una intensa “innovazione funzionale”, svincolando l’istituto di cui si discorre dalla posizione residuale occupata in precedenza[10].
Nel diritto europeo dei contratti il recesso è stato ascritto al novero degli strumenti principali diretti a ripristinare l’asimmetria di potere contrattuale esistente tra le parti, ritenute in re ipsa frequenti nelle fattispecie negoziali che coinvolgono un professionista ed un consumatore[11], ma rintracciabili anche in rapporti contrattuali diversi da quelli consumeristici (si pensi ai rapporti bancari, assicurativi, finanziari), nonché a taluni contratti endoprofessionali squilibrati[12].
In dottrina[13] si è fatto riferimento a due tipi di recesso: quello c.d. “di pentimento”, noto anche come ius poenitendi, ed il recesso di “autotutela” o “impugnatorio”.
Il recesso di pentimento è lo strumento di autotutela previsto dal diritto privato comunitario per ovviare alla velocità degli scambi, che induce il consumatore ad effettuare scelte contrattuali che si rivelano di frequente non ponderate abbastanza, in un contesto in cui, al consumatore è assegnato il ruolo di semplice parte contrattuale aderente ad un regolamento negoziale predisposto dal solo professionista[14]. Esso si discosta dal recesso convenzionale ex art. 1373 c.c. in quanto: trova la sua fonte nella legge e non già nell’autonomia delle parti[15]; trattasi di recesso ad nutum, ossia esercitabile dal consumatore senza che questi fornisca una motivazione alla controparte[16]; è inoltre esperibile senza oneri o penalità entro un termine prestabilito dalla conclusione del contratto[17], salvo il rimborso delle spese sostenute dalla controparte[18]. Si suole, pertanto, parlare di “recesso di protezione” che, secondo parte della dottrina, qualifica il contratto del consumatore come una fattispecie a formazione progressiva, in ragione del fatto che il suo perfezionamento giungerebbe solo nel momento in cui venga meno il termine entro cui il contraente-debole può recedere dal vincolo[19].
Il recesso “impugnatorio”, invece, attribuisce al consumatore il diritto di recedere dal contratto tutte le volte in cui il professionista abbia modificato unilateralmente le originarie condizioni del regolamento negoziale. In questo caso, tale disciplina è diretta a consentire al contraente-debole di svincolarsi da una nuova legge contrattuale, differente da quella convenuta ab origine[20].
Un ruolo di primo piano in materia di recesso, quale strumento di tutela della libertà contrattuale[21] è giocato dall’informazione precontrattuale (cui si collocano i criteri di operatività dell’istituto ut supra dei quali il professionista deve rendere edotto il consumatore) in ragione della quale emerge l’intenso legame intercorrente tra trasparenza, recesso e libertà contrattuale[22]. La realizzazione del riequilibrio delle posizioni dei contraenti rappresenta una precisa scelta di politica del diritto[23]: tra gli obblighi informativi si prevede espressamente lo ius poenitendi con precisazioni sulla decorrenza, sulla durata e sulle modalità operative[24]. In questa prospettiva “al fine di raggiungere la parità sostanziale tra i contraenti, in particolare, le fasi e le sequenze procedimentali sono state sviluppate e scandite in un arco temporale significativo incentrato sulla interazione dialettica tra le parti [..]. La positiva definizione della vicenda contrattuale, quindi, presuppone l’attuazione dello speciale procedimento e il raggiungimento dell’equilibrio contrattuale”[25].
Di recente il Codice del Consumo (introdotto con il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206) è stato oggetto di dettagliato restyling ad opera, in particolare, del decreto legislativo n. 21 del 2014 che recepisce la direttiva 2011/83/UE[26]. Il recesso, così previsto dagli artt. 48 ss. Cod. Cons., risulta essere collegato ad una serie di obblighi informativi, ai quali è assegnato lo scopo di assicurare che il consumatore comprenda appieno il contenuto del contratto e sia a conoscenza dello ius poenitendi[27]. Al fine di uniformare la disciplina del recesso in tutti gli Stati membri, la direttiva 2011/83 sui diritti dei consumatori ha fissato un termine di quattordici giorni dettando una norma (l’art. 10) che si pone lo scopo di scoraggiare la violazione dell’obbligo di disclosure: se “il professionista non fornisce al consumatore le informazioni sul diritto di recesso, il periodo per esercitarlo scade dodici mesi dopo la fine del periodo di recesso iniziale, come determinato a norma dell’art. 9, par. 2” (ora recepito dall’art. 53 cod. cons.)[28].
In altri termini, la ratio della normativa sul diritto di recesso è quella di tutelare la libertà e l’autonomia negoziale, conferendo al beneficiario la possibilità di una “repetita praelectio” dei termini contrattuali e di uno scioglimento ad nutum del vincolo[29].
[1] P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Edizioni Scientifiche Italiane, Quinta Ed., 2005, cit., p. 437.
[2] Ibidem.
[3] R. ALESSI, La disciplina generale del contratto, Giappichelli, Torino 2015, cit., p. 419.
[4] P. PERLINGIERI, Op. cit., p. 438.
[5] R. ALESSI, Op. cit., p. 420.
[6] V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, cit., p. 541; F. CARRESI, Il contratto, Milano, 1987,cit., p. 844 secondo cui “ carattere costante e indefettibile del recesso, sia esso legale o convenzionale, è di causare l’estinzione del vincolo della parte che recede con conseguente estinzione del contratto quando sia con due sole parti o quando, pur essendo con più di due parti, la partecipazione della parte che recede debba considerarsi essenziale, mentre quando non debba considerarsi essenziale il recesso causerà una doppia vicenda: una vicenda estintiva nei confronti della parte che recede e una oggettivamente modificativa nei confronti delle parti superstiti”.
[7] R. C. RIANO, La disciplina del recesso tra codice del consumo e nuove prospettive di riforma, Roma 2012, cit., p. 57.
[8] P. PERLINGIERI, Op. cit., p. 438.
[9] R. C. RIANO, Op. cit., p. 58.
[10] V. FERRARI-P. LAGHI, Diritto europeo dei contratti, Giuffrè, 2012, cit., p. 84.
[11] V. FERRARI-P. LAGHI, Op. cit., p. 85.
[12] C. PILIA, Accordo debole e diritto di recesso, cit., pp. 23, 261 ss.
[13] G. DE NOVA, Voce “Recesso”, in Dig. It.-sez. priv., Torino, 1997, cit., p. 314 ss.
[14] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, Vol. II, Giuffrè, 2007, cit., p. 294.
[15] Ibidem.
[16] V. FERRARI-P. LAGHI, Op. cit., p. 85.
[17] Ibidem.
[18] C. CASTRONOVO-S. MAZZAMUTO, Op. cit., p. 295.
[19] V. FERRARI-P. LAGHI, Op. cit., p. 86.
[20] Ibidem.
[21] M.C. CHERUBINI, Tutela del «contraente debole» nella formazione del consenso, cit., pp. 129 ss.
[22] M.L. CHIARELLA, Contrattazione asimmetrica, Giuffrè, Milano 2016, cit., pp. 96-97.
[23] Ibidem; N. ZORZI GALGANO, Lo jus se poenitendi del consumatore, in Vita notarile, 2007, cit., p. 2, 558 ss.
[24] Ibidem.
[25] Ibidem; C. PILIA, Accordo debole e diritto di recesso, cit., p. 369.
[26] M.L. CHIARELLA, Op. cit., p. 98.
[27] F. P. PATTI, Il recesso del consumatore: l’evoluzione della normativa, cit., p. 1007 ss.
[28] R. ALESSI, Op. cit., p. 422.
[29] M.L. CHIARELLA, Op. cit., p. 103.
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