Il diritto penale minorile e l’irrilevanza del fatto (art. 27 del d.P.R. 488/1988)

Il diritto penale minorile e l’irrilevanza del fatto (art. 27 del d.P.R. 488/1988)

A costruire le fondamenta della giustizia minorile fu il Regio Decreto n.1404 del 1934, prevedendo l’istituzione di centri di coordinamento regionali (c.d. Centri di Giustizia Minorile), servizi sociali a livello nazionale e locale, Tribunali minorili con competenze distrettuali in seno alle esistenti Corti d’Appello, nonché una scarna disciplina processuale ad integrazione di quella ordinaria, per garantire una maggiore tutela della figura del minore deviante.

Proprio su questa trama si inserì la Costituzione Repubblicana del ’48, la quale rafforzò sempre più l’idea di una giustizia a misura di minore, rendendolo destinatario di interessi nazionali primari quali : l’educazione, la cura e la crescita in un contesto familiare che possa dirsi sicuro e solido (ex art.31 Cost.).

Sulla scorta di questo rinnovato quadro disciplinare, la normativa penale, sostanziale e processuale, iniziò a subire una revisione complessiva da parte di una dottrina e una giurisprudenza – soprattutto costituzionale – sempre più attente a preservare il minore dal processo e nel processo.

La strada che ha portato alla emanazione del D.P.R. n. 448\1988, (c.d. Codice di Procedura Penale Minorile) è stata dunque caratterizzata, da una politica del crimine progressivamente incentrata sulla tutela ed il recupero, volto alla risocializzazione, del minore, piuttosto che sulla repressione del comportamento deviante.

I quarantuno articoli, di cui si compone il D.P.R. n.488/1988,  mostrano tutti i segni di una giustizia indissolubilmente legata alle esigenze di una personalità in formazione.

La scelta del legislatore non fu, invero, il risultato di un percorso esclusivamente nazionale, avendo tratto ispirazione da diverse  normative internazionali in materia – quali le c.d. Regole di Pechino, stabile dalle Nazioni Unite nel 1985 in tema di amministrazione della giustizia minorile, nonché le Raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 1987, sulle reazioni sociali alla delinquenza minorile– ispirate, complessivamente, ad un’unica finalità, ovvero la tutela del minore finalizzata al suo riadattamento sociale.

Ed infatti, l’art. 1 del D.P.R. n.448\1988 richiamando, per quanto non espressamente previsto, la disciplina del codice di procedura penale, nonché le norme relative al procedimento innanzi al Giudice di Pace (D.lgs. n.274/2000), stabilisce che : “le disposizioni sono applicate in modo adeguato alla personalità ed alle esigenze educative del minorenne”,

Si punta, pertanto, ad evitare i pregiudizi del processo penale, riducendone le sollecitazioni psicologicamente negative, in capo al minore.

Sul punto, anche la famosa pronuncia della Corte Costituzionale n. 125\1992 ha sancito che : “la giustizia minorile deve essere improntata all’essenziale finalità di recupero del minore deviante, tramite la sua rieducazione e reinserimento sociale”.

Sarà dunque, imprescindibile, esaminare, le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali ed ambientali in cui il minore è quotidianamente inserito, al fine di valutare l’imputabilità, il grado di responsabilità e la rilevanza sociale del fatto, adottando i provvedimenti più adeguati ad una evoluzione positiva dello stesso.

In tale prospettiva è di fondamentale importanza assicurarsi di non interrompere i processi educativi in atto quali: studio, lavoro ed altre attività utili alla maturazione del minore.

Il processo penale minorile è, dunque, modulato sui principi generali del processo penale, seppur mediato dalle integrazioni e modifiche imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, della sua maturità e delle sue esigenze di crescita

I reati commessi dai minori di anni 18, pertantom sono sempre attribuibili alla competenza del Tribunale per i Minorenni, il criterio dell’età determina anche conseguenze in tema di riconoscimento di diritti e svolgimento di attività processuali.

Gli organi del procedimento penale minorile, individuati dall’art.2 del D.P.R. n.448\1988,sono: il Tribunale dei Minori, il Giudice per le Indagini Preliminari, il Giudice dell’Udienza Preliminare, la Corte d’Appello Minorile, il Magistrato di Sorveglianza per i minorenni e la Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori.

Il Tribunale dei Minori, istituito proprio con il Regio Decreto n.1404\1934 e  convertito nella legge n. 835 \ 1935, la quale collocò gli uffici minorili all’interno delle Corti di appello e delle loro singole sezioni distaccate, con la conseguenza di estendere la competenza territoriale dell’organo a tutto il distretto delle corti di secondo grado .

La composizione dell’organo è data, in via generale, da un magistrato di Corte di appello in qualità di presidente, affiancato nelle funzioni giudicanti da un giudice togato e due giudici laici, quest’ultimi, un uomo ed una donna, : “benemeriti dell’assistenza sociale, scelti tra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia” (art. 2, R.D. n. 1404/1934).

Si evidenzia come la presenza di privati cittadini non sia casuale, ma risponde alla necessità di assicurare al giudizio, l’esperienza di personale qualificato nelle scienze attinenti la condizione biopsichica dei minori.

Detta partecipazione appare, inoltre, perfettamente in linea con i suggerimenti di giustizia minorile sovranazionali, uno per tutti l’indicazione di specializzazione del personale giudicante nel processo dei minori, come evidenziato dall’art. 22 delle Regole di Pechino.

Con la riforma dell’ordinamento giudiziario minorile apportata con la legge n. 1441/1956, è stato poi istituito un Giudice per le Indagini Preliminari in composizione monocratica ed un Giudice dell’Udienza Preliminare in composizione collegiale (un magistrato e due membri laici) ( ex art. 50bis, l. n. 1441 del 1956).

Lo sdoppiamento tra G.i.p. e G.u.p. trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di assicurare la presenza di esperti laici anche in seno all’udienza preliminare, soprattutto per la funzione fortemente deflattiva di tale momento processuale nel giudizio minorile, ove sarebbe stato altrimenti escluso il loro contributo.

La struttura degli organi della giurisdizione minorile si compone, inoltre, con la previsione di una sezione di Corte di appello minorile, in seno alla Corte di appello ordinaria: qui la composizione mista è data, a norma dell’art. 58, 2°comma della legge in parola, da due esperti laici, un uomo e una donna, che si aggiungono ai tre magistrati togati della sezione.

È prevista, anche un’apposita sezione della Procura della Repubblica, istituita presso il Tribunale dei Minori, con specifiche competenze per reati minorili.

Occorre ricordare, in ultimo, la figura peculiare del Magistrato di Sorveglianza per i minorenni, competente, tra l’altro, per l’applicazione delle sanzioni sostitutive e delle misure di sicurezza, ai sensi degli artt. 30 e 40 del D.P.R. n. 448/1988.

Ai sensi dell’art. 102 co.2 Cost, pertanto, sono stati istituiti organi giudiziari specializzati che prevedono la partecipazione, e l’intervento attivo, di esperti in materia di psicologia e pedagogia.

Emerge con evidenza come il rapporto tra rito penale ordinario e processo minorile, sia ispirato ai criteri di sussidiarietà e specialità, ed infatti nel rito minorile non si applica l’art. 12 c.p.p. (connessione); non trova spazio l’azione civile per restituzione e risarcimento danno, viceversa, vene valorizzato il ruolo della vittima, con azioni ed iniziative finalizzate a promuovere la conciliazione del minore con la persona offesa; ai fini civilistici la sentenza penale, non ha efficacia di giudicato; vige il divieto di pubblicazione e divulgazione di notizie ed immagini, che consentano di individuare il minore coinvolto nel procedimento.

In tutta la fase del procedimento, al minore dovrà essere sempre assicurata una forma di assistenza tecnico-psicologia ed affettiva, principalmente svolta dai genitore e dai servizi sociali.

Anche in relazione ai provvedimenti cautelari, si tiene conto delle fragilità caratteriale del minore, con la previsione di particolari garanzie a sua tutela..

L’Arresto è facoltativo, con una valutazione della gravità del fatto, dell’età dell’autore e della sua personalità, disponendosi solo per reati dolosi, puniti con pena non inferiore ad anni 9, ovvero, per reati con pena inferiore ad anni 5, è prevista la consegna del minore all’esercente la potestà genitoriale, chiamato a vigilare sullo stesso.

Anche il Fermo è facoltativo, essendo disposto solo in caso di pericolo di fuga, per reati punti con reclusione non inferiore ad anni 2;

Vi è l’obbligo, per chi esegue il provvedimento, di informare subito il PM e l’esercente la potestà genitoriale, nonché i servizi minorili.

Il PM potrà liberare subito il minore, se non intende applicare misura cautelare, ovvero qualora le misure sono state disposte in casi non consentiti dalla legge, inoltre può disporre la conduzione del minore in un centro di accoglienza, comunità o abitazione familiare, seguono gli adempimenti relativi all’udienza di convalida.

Le esigenze cautelari pertanto, saranno sempre bilanciate con le esigenze educative del minore, ne deriva una doppia valenza cautelare ed educativa.

In tal senso la misura meno afflittiva per il minore è costituita dalle prescrizioni (art.20), che prevedono obblighi e divieti legati alle attività di studio, lavoro o tempo libero, utili per l’educazione del minore.

La misura perde efficacia decorsi due mesi dalla sua applicazione, ma può rinnovarsi, non più di una volta, se sorretta da esigenze probatorie.

Altra misura cautelare è la permanenza in casa (art.21), non equiparabile agli arresti domiciliari, che impone al minore di rimanere in casa, o altro luogo di privata dimora, con l’attività di controllo  affidata ai genitori, con facoltà del minore di allontanarsi per esigenze di studio, lavoro o altre attività utili alla sua educazione (ne deriva come non potrà configurarsi il reato di  evasione)

È, inoltre, previsto l’istituto dell’affidamento del minore ad una comunità pubblica organizzata (art.22).

Solo qualora si rilevino ripetute condotte di violazione del collocamento in comunità, potrà essere disposta la custodia cautelare, per un periodo non superiore ad un mese (delitti con reclusione non inferiore a 5 anni), i termini di custodia cautelare sono ridotti della metà, per i minori di anni 18, e di 2\3 per i minori di anni 16[1].

La tutela del minore si realizza, inoltre, tramite strumenti che consentono la rapida fuoriuscita del minore dal circuito penale, prima dell’imputazione o dell’emanazione della sentenza, consentendo epiloghi non giudiziari o comunque estranei alla logica del giudizio di merito.

L’art. 26 prevede, ad esempio, la declaratoria di non impunibilità, in ogni stato e grado del processo, per il minore infra-quattordicenne, ma vi sono altri possibili esiti definitori molto rilevanti, la cui idea è, comunque, quella della minima offensività del processo e della rapida definizione dello stesso.

Nel rito minorile, infatti, il dibattimento- centro del rito ordinario- ha un ruolo residuale e marginale, con l’udienza che si celebra, peraltro, a porte chiuse.

Si segnala, inoltre, come il rito minorile non ammetta gli istituti del patteggiamento e del procedimento per decreto; nel primo caso manca, infatti, la capacità di una valutazione matura e consapevole da parte del reo, della condotta illecita e della pena, nel secondo caso l’esclusione si giustifica dalla mancata autonomia patrimoniale del minore.

Una importante previsione, avente funzione deflattiva, è rappresentato dall’art.27, del DPR 488\1988, rubricato :“sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto”.

Soffermandoci sull’art.27, si osserva, come la condotta, in realtà, conservi la sua “rilevanza” in merito agli effetti diversi da quelli prettamente penali (quali il risarcimento del danno in sede civile) dunque sarebbe corretto parlare di “esiguità” ovvero “irrilevanza penale” della condotta, che potrà pronunciarsi in ogni stato e grado del procedimento [2].

Tale previsione normativa, consente di escludere dal processo penale minorile, tutte quelle condotte che non destano un particolare allarme sociale, a fronte della tenuità ed occasionalità delle stesse, consentendo di decongestionare il carico di lavoro e concentrare le risorse per situazioni maggiormente meritevoli, così da escludere il minore dal processo e dai suoi effetti devianti e desocializzanti.

La sentenza pronuncia può essere emessa in presenza di alcune condizioni, quali: la tenuità del fatto oggetto d’indagine, l’occasionalità comportamento, l’assenza di pregiudizio alle esigenze rieducative del minore.

Queste tre condizioni dovranno essere congiunte e globalmente valutate.

L’offensività della condotta non deve mancare del tutto, poiché, in caso di comportamenti non previsti come reato dalla legge, è imposta l’archiviazione della notitia criminis.

Per quanto concerne la tenuità del fatto, essa andrà valutata non in astratto, cioè in relazione al titolo di reato, ma in concreto, facendo riferimento alla natura del fatto stesso, ai suoi effetti, al contesto in cui è stato commesso ed alle modalità che ne hanno caratterizzato l’azione.

Perché il fatto possa essere considerato irrilevante la condotta non dovrà essere caratterizzata da un particolare disvalore sociale, vagliando l’atteggiamento del minore rispetto all’azione posta in essere.

In particolare: «detta tenuità può essere ritenuta tale, se il fatto sia oggettivamente modesto e sia posto in essere con modalità che lo rendano ascrivibile alla naturale leggerezza delle persone di giovane età le quali spesso non riflettono adeguatamente sulle conseguenze della loro condotta»[3].

Per quanto riguarda il requisito dell’occasionalità, non potranno definirsi occasionali comportamenti rientranti in fattispecie di reato, qualificate da una pluralità di azioni od omissioni (reato continuato e reato abituale) o da condotte perduranti nel tempo (reato permanente).

Dovranno essere considerati occasionali, quei comportamenti non fondati su precise e consapevoli scelte devianti, bensì determinati da pulsioni momentanee, tipiche dell’estrema variabilità emotiva della condizione adolescenziale, trattandosi, quindi, di reati a consumazione istantanea, che non richiedono una particolare attività preparatoria.

Infine, perché possa emettersi un sentenza, ai sensi art. 27 del D.P.R. n.488\1988, si dovranno valutare, in base alla condotta posta in essere, gli effetti negativi, e quelli eventualmente positivi, della prosecuzione dell’esperienza penale del minore.

Il procedimento per irrilevanza del fatto ha inizio su impulso del Pubblico Ministero che, effettuate le indagini ed esclusa la richiesta di archiviazione, sussistendo i presupposti di cui all’articolo 27, esercita l’azione penale chiedendo al G.I.P. presso il Tribunale per i Minorenni la definizione del procedimento, con sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto.

Il G.I.P., in ottemperanza alle disposizioni sul procedimento camerale, di cui all’articolo 127 c.p.p., dà avviso della fissazione dell’udienza, a pena di nullità, al minore, all’esercente la potestà, ed alla persona offesa.

Il G.I.P. al fine di valutare la rilevanza sociale del fatto, e la personalità del minore, nel corso dell’udienza ha l’obbligo di sentire i presenti.

Ovviamente il Giudice, nel corso dell’udienza camerale, potrà ritenere che il fatto non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso, che il fatto non costituisca reato, o che non è previsto dalla legge come reato, che manca una condizione di procedibilità, pronunciando sentenza di non luogo a procedere per uno di questi motivi, invece che per irrilevanza del fatto, disponendo, così, una assoluzione ampiamente liberatoria.

Se invece il G.I.P. ritiene di non accogliere la richiesta formulata dal P.M., dovrà restituire gli atti a quest’ultimo, invitandolo a formulare, entro il termine di dieci giorni, il capo d’imputazione.

È, inoltre, facoltà del G.I.P. anche restituire gli atti al P.M. se ritiene necessarie nuove indagini, indicandole con ordinanza e fissando il termine per il loro compimento.

Il P.M. dovrà svolgere le nuove indagini sui temi indicati dal G.I.P. nell’ordinanza e, al termine di tali ulteriori accertamenti, potrà nuovamente concludere l’istruttoria con una nuova richiesta di sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ovvero con richiesta di rinvio a giudizio.

Contro la sentenza di non luogo a procedere, emessa in questa fase, è possibile da parte del minore, degli esercenti la potestà, del difensore e del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, proporre impugnazione, dinanzi alla Sezione Minorenni della Corte d’Appello, entro quindici giorni dalla pronuncia.

La Corte d’Appello procede, sempre con il rito camerale, potendo confermare la sentenza di irrilevanza del fatto, pronunciare sentenza di non luogo a procedere, con formula più favorevole per l’imputato, ovvero disporre la restituzione degli atti al P.M. presso il Tribunale per i Minorenni.

Contro le sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza emesse dal G.I.P. è possibile esperire il rimedio della revoca, che può essere chiesta dal P.M. allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza, qualora siano scoperte nuove fonti di prova che possono, da sole o unitamente a quelle già acquisite, determinare un nuovo giudizio.

La sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto può essere pronunciata in udienza preliminare, giudizio immediato e giudizio direttissimo (applicati solo in assenza di pregiudizi educativi sul minore) nonché in ogni stato e grado del procedimento[4]

In questo procedimento non è previsto che il minore debba prestare il consenso, possibilità prevista, invece, nel corso dell’udienza preliminare (vero fulcro del processo minorile) per la definizione anticipata del procedimento( c.d. perdono giudiziale) senza che questo possa precludere una eventuale opposizione innanzi al Tribunale dei Minori, entro cinque giorni dalla pronuncia.

L’istituto del perdono giudiziale (ex art.169 c.p.) è concedibile solo una volta, per pene non superiori ai due anni e pena pecuniaria pari ad Euro 1.549,37, sulla scorta di una prognosi di futura buona condotta.

In conclusione, può dirsi che le finalità del processo minorile sono quelle di contemperare le finalità del processo penale con la specificità della condizione del minore, tramite iniziative individualizzate.

Eppure, le scelte adottate dal legislatore, confacenti a casi di criminalità occasionale, risultano inadeguate alle sempre più diffuse situazioni di criminalità più radicata, in cui per le condizioni familiari e sociali, l’attività rieducativa e di recupero del minore, si troveranno, inevitabilmente, compromesse.


[1] L’ordinanza applicativa delle misure è suscettibile di riesame innanzi al Tribunale delle libertà in composizione mista, avverso la decisione è ammesso ricorso in Cassazione.
[2] Cfr. Corte Costituzionale Sent. n. 250\1990
[3] Cfr. Cass. Sez IV, sent. N.1208\1995
[4] Cfr. Corte Cost. Sent. n. 149\2003

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Avv. Gianluca De Vito

Avvocato del Foro di Catanzaro, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Firenze, nell’anno 2012. Esercita la professione forense con carattere di continuità innanzi ad organi giurisdizionali penali, civili ed amministrativi su tutto il territorio nazionale.

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