Il Dittatore romano: potere emergenziale, limiti e degenerazione di un’istituzione repubblicana
Abstract. L’istituzione del dittatore romano si configura come un laboratorio storico privilegiato per l’analisi del potere emergenziale e delle sue implicazioni costituzionali. Il presente articolo si propone di esaminare la figura del dictatornella Repubblica Romana, tracciandone l’evoluzione diacronica, il ruolo cruciale nelle fasi di crisi, l’architettura dei limiti giuridici e religiosi che ne circoscrivevano l’azione, e infine le cause profonde della sua degenerazione. Attraverso una disamina delle fonti giuridiche, storiografiche ed epigrafiche, si intende dimostrare come la dittatura, nata come strumento straordinario e temporaneo a tutela dell’ordine repubblicano, abbia progressivamente subito una metamorfosi che ne ha alterato la natura originaria, aprendo la strada a forme di potere personale e contribuendo in modo significativo alla crisi del sistema repubblicano. La riflessione si concentra sulla perdurante attualità di questa istituzione, offrendo spunti di analisi e di comparazione utili per comprendere le dinamiche del potere in situazioni eccezionali e la perenne necessità di bilanciare efficacia dell’azione pubblica e garanzie democratiche in ogni contesto storico e politico. Il parallelo con le sfide poste dalle emergenze contemporanee, come la recente pandemia, si rivela particolarmente illuminante per cogliere la portata e la complessità del tema.
1. Introduzione: l’emergenza e la memoria storica del diritto
La storia del diritto è costellata di istituzioni e meccanismi giuridici concepiti per affrontare situazioni di crisi e di emergenza (1). Dalle antiche magistrature straordinarie alle moderne normative sullo stato di eccezione, il diritto ha sempre dovuto confrontarsi con la necessità di conciliare l’esigenza di un’azione pubblica rapida ed efficace con la tutela dei principi fondamentali e delle libertà individuali. La recente pandemia globale, con il suo impatto sanitario, sociale ed economico, ha riproposto in termini drammatici l’attualità di questa sfida, evidenziando la fragilità degli equilibri costituzionali di fronte a eventi straordinari e la persistente tentazione di concentrare il potere in nome della necessità. In questo scenario, lo studio delle istituzioni del passato non rappresenta un mero esercizio di erudizione antiquaria, bensì una necessità metodologica per comprendere le dinamiche profonde che legano potere, crisi e libertà. La memoria storica del diritto, e in particolare l’analisi delle istituzioni emergenziali del mondo antico, offre un laboratorio privilegiato per esaminare le diverse soluzioni giuridiche adottate per affrontare le crisi, i loro limiti intrinseci, i rischi di abuso e le conseguenze a lungo termine sulla tenuta dei sistemi politici. Tra queste istituzioni, la dittatura romana, magistratura straordinaria della Repubblica, emerge come un caso di studio particolarmente significativo e denso di implicazioni per la riflessione contemporanea. La sua parabola storica, dalla nascita come strumento di difesa repubblicana alla degenerazione in potere personale, incarna in modo esemplare le tensioni e i paradossi del potere emergenziale.
2. Genesi e funzione del dictator repubblicano: un potere nato per la crisi
La dittatura romana non nasce come istituzione ordinaria della Repubblica, ma come risposta ad hoc a specifiche situazioni di emergenza che minacciavano l’esistenza stessa della res publica (2). Le fonti storiche e giuridiche concordano nel descrivere la dittatura come una magistratura straordinaria, creata per fronteggiare tumultus, pericula, o res adversae (13). Queste emergenze potevano essere di natura militare, come guerre esterne particolarmente gravi o rivolte interne, ma anche di natura interna, come sedizioni, congiure o necessità di ristabilire l’ordine costituzionale in situazioni di grave instabilità. In contrasto con le magistrature ordinarie della Repubblica, caratterizzate dai principi di collegialità (più magistrati con pari potere), annualità (durata in carica limitata a un anno) e provocatio ad populum (diritto di appello al popolo contro le decisioni dei magistrati), il dictator si configurava come un magistrato unico, dotato di imperium maius (potere di comando supremo) e sine provocatione (senza possibilità di appello), nominato per un periodo determinato, non superiore a sei mesi, al fine precipuo di superare la situazione critica in atto (14). Questa concentrazione di potere nelle mani di un singolo individuo, seppur temporanea, rappresentava una deroga ai principi fondamentali dell’ordinamento repubblicano, giustificata unicamente dalla gravità dell’emergenza e dalla necessità di un’azione rapida e unitaria. La procedura di nomina del dictator, come evidenziato dalle fonti, era spesso connotata da elementi rituali e da una certa solennità, che sottolineavano la gravità del momento e la natura eccezionale della magistratura (15). La scelta del dictatoravveniva di norma di notte, da parte di uno dei consoli in carica, su indicazione del Senato, e doveva essere ratificata dalla lex curiata de imperio, un atto formale del comizio curiato che conferiva l’imperium al magistrato straordinario (16). L’elemento religioso, in particolare il ruolo degli auspici nella procedura di nomina, e la ricerca di una condivisione, almeno tra le élite patrizie, nella scelta del dictator, evidenziavano la volontà di ancorare anche il potere straordinario a un quadro di legittimità e consenso, in un contesto giuridico-religioso profondamente permeato dalla sacralità del potere pubblico.
La funzione del dictator era dunque strettamente e univocamente legata alla gestione dell’emergenza: non competeva a lui dichiarare lo stato di crisi, né modificarne le cause strutturali o promuovere riforme costituzionali di ampio respiro. Il dictator agiva in un contesto di emergenza già riconosciuto e definito dalle istituzioni ordinarie, con poteri straordinari ma rigorosamente finalizzati al superamento della crisi contingente e al ripristino della normalitas costituzionale. Questa specificità teleologica, ovvero la chiara finalizzazione del potere dittatoriale alla gestione di una crisi specifica, e la limitatezza temporale della carica costituiscono tratti distintivi essenziali della dittatura repubblicana, che la differenziano in modo netto dalle forme dittatoriali successive, caratterizzate da ambizioni di trasformazione politica e vocazione alla permanenza nel tempo.
3. I limiti del potere dittatoriale: fas, mores, leggi e controlli interni al sistema
Nonostante la straordinaria concentrazione di potere nelle mani del dictator, che rappresentava la massima autorità dello Stato in momenti di crisi, la dittatura repubblicana non configurava in alcun modo un potere assoluto e illimitato, svincolato da ogni forma di controllo e di vincolo giuridico. Al contrario, il sistema costituzionale romano, pur nella sua natura prevalentemente consuetudinaria e non codificata, prevedeva una serie di limiti e di meccanismi di controllo, seppur peculiari e diversi da quelli operanti per le magistrature ordinarie, che circoscrivevano in modo significativo l’azione del dictator e ne impedivano la trasformazione in un potere tirannico. Il limite temporale di sei mesi, unanimemente attestato dalle fonti giuridiche e storiografiche, e sancito dal fas e dai mores ancestrali, rappresenta il vincolo più evidente e caratterizzante della dittatura repubblicana (17). Tale limitazione, di natura eminentemente consuetudinaria e religiosa, rimarcava con forza il carattere eccezionale e non permanente del potere dittatoriale, concepito come strumento una tantum per affrontare una crisi specifica e non come forma ordinaria di governo. L’origine di questo limite temporale non va ricercata in considerazioni meramente pratiche o contingenti, come i cicli agricoli o le stagioni militari, bensì in una concezione profondamente radicata del diritto e del potere che riconosceva limiti invalicabili, derivanti dalla sfera religiosa, dalla tradizione giuridica arcaica e dalla stessa natura intrinsecamente temporanea dell’emergenza (18). Il superamento di questo limite, come si verificherà in età sillana e cesariana, rappresenterà la negazione stessa della dittatura repubblicana e l’inizio della sua degenerazione.
Ulteriori e significativi forme di controllo e di limitazione del potere dittatoriale si rintracciano nell’ambito del sistema giuridico-religioso romano, che costituiva un elemento fondante dell’ordinamento repubblicano. Il ruolo preminente degli auguri nella procedura di nomina del dictator, e in particolare la possibilità di invalidare la nomina stessa per la presenza di un vitium auspicale, ovvero di un’irregolarità nella consultazione della volontà divina, testimoniano in modo eloquente la soggezione del potere dittatoriale al ius e al fas, ovvero al diritto umano e al diritto divino (19). La dimensione religiosa, lungi dall’essere un elemento puramente formale o cerimoniale, permeava profondamente la sfera del potere pubblico nella Roma repubblicana, e attraverso l’interpretazione della volontà divina, affidata al collegio degli auguri, poteva fungere da freno e da limite all’azione umana, anche in contesti di emergenza e di concentrazione del potere.
Infine, pur in assenza di un formale potere di veto esercitato dai tribuni della plebe nei confronti del dictator nelle fasi più antiche della Repubblica, il rapporto con questa magistratura, espressione degli interessi della plebe e custode della sacrosantitas tribunizia, rappresenta un ulteriore elemento di limitazione de facto del potere dittatoriale (20). Sebbene i tribuni non potessero formalmente paralizzare l’azione del dictator attraverso l’intercessio, la loro capacità di mobilitazione della plebe, la loro influenza politica e la loro funzione di controllo sull’operato dei magistrati patrizi si affermano progressivamente come un vincolo politico e sociale significativo, che contribuì a delineare i confini del potere emergenziale e a moderarne l’esercizio. L’evoluzione del rapporto tra dittatura e tribunato della plebe riflette le dinamiche interne alla Repubblica, caratterizzate dalla dialettica costante tra ordines e dalla progressiva affermazione dei diritti della plebe, e testimonia la complessità e la pluralità dei meccanismi di controllo che, pur in assenza di una rigida separazione dei poteri, contribuivano a limitare il potere pubblico nella Roma repubblicana.
4. Degenerazione e caduta: la crisi profonda della dittatura repubblicana nel I Secolo a.C.
La crisi della Repubblica Romana nel I secolo a.C. segna una svolta epocale nella storia della dittatura, determinandone una profonda trasformazione che ne snatura progressivamente la funzione originaria e ne prelude la definitiva scomparsa come istituzione repubblicana. Le persistenti emergenze delle guerre civili, che lacerano il tessuto sociale e politico di Roma per decenni, e l’emergere sulla scena politica di figure carismatiche e ambiziose come Lucio Cornelio Silla e Gaio Giulio Cesare, intenzionate a utilizzare la dittatura per scopi di riorganizzazione politica e di affermazione del potere personale, conducono alla progressiva degenerazione dell’istituzione dittatoriale e alla sua trasformazione in uno strumento di sovversione dell’ordine repubblicano (21).
La dittatura sillana, inaugurata nell’82 a.C. e caratterizzata dalla lex Valeria de dictatore creando, rappresenta una rottura irreversibile e traumatica con la tradizione repubblicana e con la natura originaria della dittatura (22). Silla, nominato dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae (23), non incarna più il magistrato d’emergenza, temporaneo e vincolato ai limiti tradizionali, ma si configura come un capo politico dotato di poteri illimitati e svincolati da vincoli temporali, con il compito esplicito di “riordinare lo Stato” attraverso la promulgazione di nuove leggi e la ridefinizione dell’assetto costituzionale. Questa trasformazione radicale svuota di significato la dittatura repubblicana, convertendola in uno strumento di potere personale, di repressione politica e di sovversione dell’ordine costituzionale, aprendo la strada a una lunga stagione di violenze e di instabilità istituzionale.
Gaio Giulio Cesare prosegue sulla via tracciata da Silla, assumendo anch’egli la dittatura in diverse occasioni e forme, fino a ottenere la dittatura perpetua (dictator perpetuo) nel 44 a.C. (24). La dittatura cesariana, pur presentando elementi formali diversi da quella sillana, come l’assenza di una formale lex de dictatore e una maggiore enfasi sulla dimensione plebiscitaria del potere, ne condivide la natura di potere illimitato, svincolato dai limiti temporali e dalle garanzie repubblicane, e finalizzato non più alla gestione di una specifica emergenza, ma alla riorganizzazione complessiva dello Stato e all’affermazione del dominio personale di Cesare. Con la dittatura perpetua di Cesare, l’istituzione repubblicana del dictator cessa di esistere nella sua forma originaria, divenendo una forma di potere personale di tipo monarchico, incompatibile con i principi fondanti della res publica e preludio alla sua definitiva trasformazione in Principato.
La fine della dittatura repubblicana non rappresenta dunque solo la scomparsa di una magistratura straordinaria, ma costituisce il sintomo di una crisi sistemica della costituzione romana e dei suoi equilibri interni. La persistente emergenza delle guerre civili, da condizione eccezionale e temporanea, si trasforma in una sorta di normalità permanente, e il potere emergenziale, da strumento straordinario e limitato, diviene potere ordinario e illimitato, erodendo progressivamente le garanzie repubblicane, i principi di limitazione del potere e la stessa idea di una res publica fondata sulla condivisione del potere e sul rispetto delle leggi. La degenerazione della dittatura romana nel I secolo a.C. rappresenta dunque un monito storico di grande rilevanza, evidenziando i rischi insiti nella normalizzazione dell’emergenza e nella trasformazione di istituzioni straordinarie, concepite per la crisi, in strumenti di potere personale e di sovversione dell’ordine costituzionale.
5. Prospettive attuali: la lezione della dittatura romana per il presente
Lo studio della dittatura romana, al di là del pur rilevante interesse storico-antiquario, offre spunti di riflessione di straordinaria attualità e di perdurante valore euristico per il dibattito contemporaneo sulle dinamiche del potere in contesti di crisi e sulla tenuta dei sistemi democratici. In un’epoca caratterizzata da sfide globali di portata inedita, da conflitti internazionali, terrorismo transnazionale, pandemie ricorrenti, crisi economiche sistemiche e cambiamenti climatici epocali, la tentazione di ricorrere a misure straordinarie, alla concentrazione del potere esecutivo e alla compressione delle garanzie costituzionali si ripropone con forza in diversi contesti geopolitici e culturali.
L’esperienza storica della dittatura romana, con la sua parabola dalla funzione originaria di magistratura emergenziale alla degenerazione in potere personale, ci ricorda con forza l’importanza di alcuni principi irrinunciabili per preservare l’equilibrio tra efficacia dell’azione pubblica e tutela delle libertà fondamentali anche in tempi di crisi:
Definizione rigorosa e tassativa dell’emergenza: La determinazione chiara e non ambigua dei presupposti, dei criteri e delle procedure per la dichiarazione formale di uno stato di emergenza costituisce un elemento imprescindibile per evitare abusi e derive autoritarie. La vaghezza, l’indeterminatezza o l’eccessiva estensione temporale della nozione di emergenza rappresentano un rischio concreto per la tenuta delle libertà fondamentali e per la stessa natura democratica del sistema politico. È necessario definire con precisione quali eventi o situazioni possano legittimare il ricorso a misure straordinarie, circoscrivendone l’ambito di applicazione e prevedendo meccanismi di controllo sulla loro effettiva sussistenza.
Limitazione temporale e funzionale dei poteri straordinari: Le misure emergenziali devono essere concepite e attuate come strumenti intrinsecamente temporanei, rigorosamente proporzionati alla natura e alla gravità della minaccia, e strettamente finalizzati al ristabilimento della normalitas costituzionale e al superamento della crisi contingente. La durata limitata e predefinita, come il semestre previsto per la dittatura repubblicana, e la specificità della funzione del potere emergenziale costituiscono un modello storico di riferimento, pur con gli adattamenti necessari ai contesti contemporanei, per evitare la normalizzazione dell’eccezione e la trasformazione di misure straordinarie in strumenti ordinari di governo.
Garanzia di controlli efficaci e di contrappesi istituzionali: Anche e soprattutto in situazioni di emergenza, in cui la tentazione di concentrare il potere e di comprimere le garanzie è più forte, è imprescindibile preservare e rafforzare meccanismi di controllo efficaci e contrappesi istituzionali in grado di vigilare sull’esercizio del potere emergenziale, di garantirne la legittimità e la proporzionalità, e di prevenirne abusi e derive autoritarie. Il ruolo delle istituzioni di garanzia costituzionale, della magistratura indipendente, del Parlamento come sede della rappresentanza popolare e della società civile organizzata, con la sua funzione di controllo democratico dal basso, si rivela cruciale per tutelare i diritti fondamentali e preservare l’equilibrio costituzionale anche in tempi di crisi.
Vigilanza costante contro il pericolo della normalizzazione dell’eccezione: La storia romana, con la parabola degenerativa della dittatura nel I secolo a.C., insegna in modo inequivocabile che la persistente reiterazione di stati di emergenza, la loro trasformazione in una sorta di paradigma permanente di governo, e la progressiva normalizzazione di misure straordinarie concepite per la crisi possono condurre a una lenta ma inesorabile erosione degli equilibri democratici e delle garanzie costituzionali. È pertanto essenziale esercitare una vigilanza costante e critica nei confronti della tendenza, sempre latente, a trasformare l’eccezione in regola, e a giustificare compressioni delle libertà e concentrazioni di potere in nome di una presunta e permanente emergenza, spesso invocata per mascherare ambizioni autoritarie e progetti di trasformazione politica radicale.
6. Conclusioni: equilibrio precario tra emergenza e libertà, la sfida perenne della democrazia discorsiva e “riflessioni habermasiane”
La figura del dittatore romano, nella sua intrinseca complessità storica, si rivela un exemplum di straordinaria pregnanza per la riflessione filosofico-politica contemporanea. Essa non solo testimonia la capacità, pur contingente e storicamente determinata, di una forma di governo repubblicana di dotarsi di strumenti istituzionali straordinari per fronteggiare momenti di crisi estrema, ma soprattutto incarna, nella sua parabola degenerativa, le aporie e i paradossi del potere emergenziale in rapporto ai principi fondanti di un ordine politico libero e democratico.
La storia della dittatura romana, letta in filigrana, ci pone di fronte a una questione cruciale e sempre attuale: come conciliare l’esigenza, talvolta ineludibile, di un’azione pubblica rapida, efficace e concentrata in situazioni di minaccia esistenziale con la salvaguardia irrinunciabile dei diritti fondamentali, delle garanzie costituzionali e dei meccanismi di controllo democratico che costituiscono l’essenza stessa di un ordinamento politico legittimo e giusto?
La lezione che emerge dalla vicenda del dictator repubblicano è quella di un equilibrio costituzionale intrinsecamente precario, sempre esposto al rischio di rottura e di degenerazione. L’istituzione dittatoriale, nata come risposta a specifiche emergenze e pensata per operare entro limiti temporali e giuridico-religiosi ben definiti, si rivela, nella prospettiva storica, un esperimento istituzionale fragile, vulnerabile alle dinamiche del potere personale e alle trasformazioni profonde del contesto politico e sociale. La degenerazione della dittatura nel I secolo a.C., con la sua metamorfosi in strumento di dominio personale prima di Silla e poi di Cesare, non rappresenta un mero incidente di percorso nella storia costituzionale romana, bensì il sintomo di una crisi più profonda, di una progressiva erosione degli anticorpi repubblicani e di una crescente incapacità del sistema politico di autoregolarsi e di resistere alla tentazione della concentrazione del potere.
In questa prospettiva, la riflessione sulla dittatura romana può proficuamente dialogare con le categorie concettuali elaborate dalla filosofia politica contemporanea, e in particolare con il pensiero di Jürgen Habermas, per illuminare le sfide e le aporie del potere emergenziale nella modernità. La teoria dell’agire comunicativo di Habermas, con la sua enfasi sul ruolo del discorso razionale, della deliberazione pubblica e della formazione discorsiva della volontà politica come fondamenti di una democrazia legittima e partecipativa, offre una chiave di lettura particolarmente feconda per analizzare criticamente le dinamiche del potere emergenziale e i suoi potenziali effetti distorsivi sul processo democratico (25). In situazioni di crisi, in cui l’urgenza dell’azione e la necessità di decisioni rapide tendono a prevalere sulle esigenze della deliberazione pubblica e del confronto argomentativo, si manifesta un rischio intrinseco di deficit democratico, di riduzione dello spazio del discorso pubblico e di compressione delle dinamiche partecipative che costituiscono l’essenza stessa della democrazia discorsiva teorizzata da Habermas.
L’istituzione del dittatore romano, con la sua concentrazione di potere e la sospensione temporanea di alcune garanzie repubblicane, può essere interpretata, in questa prospettiva, come una forma di “razionalizzazione strategica” del potere politico, volta a massimizzare l’efficacia dell’azione pubblica in situazioni di emergenza, ma intrinsecamente esposta al rischio di compromettere la “razionalità comunicativa” che, per Habermas, rappresenta il fondamento normativo di una democrazia deliberativa (26). La legittimità del potere emergenziale, in una prospettiva habermasiana, non può derivare unicamente dalla sua legalità formale o dalla sua efficacia pragmatica, ma deve essere costantemente sottoposta al vaglio critico del discorso pubblico, della deliberazione razionale e del consenso democraticamente formato. La “situazione discorsiva ideale” teorizzata da Habermas, caratterizzata da libertà di espressione, parità di partecipazione e orientamento all’intesa razionale, rappresenta un orizzonte normativo irrinunciabile anche in tempi di crisi, un criterio di orientamento per valutare criticamente le misure emergenziali e per evitare che l’eccezione diventi la regola, compromettendo in modo irreversibile la qualità democratica dell’ordinamento politico.
In conclusione, la riflessione sulla dittatura romana, arricchita dalle categorie concettuali della filosofia habermasiana, ci invita a ripensare criticamente il rapporto tra emergenza e democrazia, evidenziando la necessità di un equilibrio sempre dinamico e vigilato tra l’esigenza di efficacia dell’azione pubblica e la salvaguardia dei principi fondanti di una democrazia discorsiva e partecipativa. La sfida perenne della democrazia contemporanea, di fronte alle inedite e complesse emergenze del nostro tempo, consiste nel trovare forme di gestione del potere emergenziale che, pur garantendo la capacità di risposta rapida ed efficace alle crisi, non sacrifichino sull’altare della necessità le garanzie costituzionali, i diritti fondamentali e lo spazio vitale del discorso pubblico, elementi imprescindibili per preservare la legittimità democratica e la qualità deliberativa dell’ordinamento politico. La memoria storica del diritto romano, con la sua parabola paradigmatica della dittatura, ci ricorda che la vera forza di una democrazia non risiede unicamente nella sua capacità di affrontare le crisi, ma soprattutto nella sua resilienza nel preservare, anche e soprattutto in tempi difficili, i propri principi fondanti, i propri valori costituzionali e la propria vocazione alla libertà e alla giustizia. In definitiva, la lezione della dittatura romana, filtrata attraverso la lente critica della filosofia habermasiana, ci ammonisce che la democrazia è un equilibrio fragile, una conquista sempre revocabile, un work in progress che richiede vigilanza costante, impegno civile e una perenne tensione etica verso l’ideale regolativo di una società libera, giusta e discorsivamente fondata.
Note e Riferimenti Bibliografici
(1) La riflessione qui proposta trae ispirazione da un ampio dibattito storiografico e giuridico sul potere emergenziale e sulla dittatura romana, che ha visto contributi significativi nel corso del tempo. Per una panoramica generale, si vedano Bobbio (1985) e Meloni (1983).
(2) Sulla genesi e la funzione originaria della dittatura romana, si veda in generale De Robertis (1960) e Momigliano (1931).
(13) Cfr. Liv. 3.4.4; Cic. De leg. 3.3.9; D. 1.2.2.18.
(14) Per una disamina dettagliata delle caratteristiche distintive della dittatura repubblicana rispetto alle magistrature ordinarie, cfr. Cassola – Labruna (1991) e Kunkel–Wittmann (1995).
(15) Sul carattere rituale e solenne della nomina del dictator, si rimanda a Sini (1976) e Valditara (1988).
(16) Sul ruolo della lex curiata de imperio e sulle procedure di nomina, si rimanda a Poma (2007) e Luzzatto (1956).
(17) Sul limite semestrale e la sua interpretazione giuridico-religiosa, cfr. Pomponio, Enchiridion, in Digesto 1.2.2.18 e Von Lübtow (1965).
(18) Per un approfondimento sul rapporto tra fas, mores e limiti intrinseci al potere nella Roma arcaica, si rimanda a Sini (1976) e Vallocchia (2008). (19) Sulla funzione di controllo e di legittimazione degli auguri nella nomina del dictator, si veda Sini (1976) e Cascione (2007).
(20) Sull’evoluzione complessa del rapporto tra dittatore e tribuni della plebe, e sulla progressiva affermazione di un controllo de facto del tribunato sul potere dittatoriale, cfr. Cassola – Labruna (1991) e Golden (2013).
(21) Sulla degenerazione della dittatura nel I secolo a.C. e sul suo ruolo nella crisi della Repubblica, si vedano Sordi (1976), Hurlet (1993), Hinard (1995) e Nicosia (1997). Per una prospettiva filosofico-politica sulla crisi della repubblica romana e la trasformazione del potere emergenziale, si veda Agamben (2003).
(22) Sulla dittatura sillana e la lex Valeria, cfr. Hurlet (1993), Hinard (1995) e Baroni (2007). (23) Lex Valeria de dictatore legibus scribundis et rei publicae constituendae
(23), cfr. App. BC 1.95-98; Plut. Sulla 33.
(24) Sulla dittatura di Cesare e le sue diverse forme, fino alla dictatura perpetuo, si veda Sordi (1976), Nicosia (1997) e Canfora (1999). Per un’analisi delle implicazioni costituzionali della dittatura cesariana, cfr. Meier (1982).
(25) Sulla teoria dell’agire comunicativo e la democrazia discorsiva di Jürgen Habermas, si vedano in particolare Habermas (1981, 1992, 1996). Per una sintesi introduttiva, cfr. Finlayson – Freyenhagen (2011).
(26) Sul concetto di razionalizzazione strategica e razionalità comunicativa in Habermas, cfr. Habermas (1981, vol. 1, capp. 2-3). Per un’applicazione di queste categorie all’analisi del diritto e del potere politico, si veda Ferrara (1993).
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Marco Bencivenga
PhD in Scienze Giuridiche e Politiche , avvocato, docente. Laureato in Giurisprudenza, in Scienze dell'Educazione, Licenciatura en Derecho, ha conseguito diversi master, corsi di perfezionamento e abilitazioni all'insegnamento. Scrive su diverse riviste scientifiche in materia di Diritto Amministrativo e Storia del Diritto Romano
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