Il divieto di patto commissorio

Il divieto di patto commissorio

L’art. 2744 c.c. sancisce il divieto di patto commissorio, pattuizione con cui, in caso di inadempimento del credito garantito, si conviene che la cosa data in pegno o in ipoteca passi in proprietà del creditore. La violazione di tale norma, di carattere imperativo, è sanzionata con la nullità del contratto ex art. 1418, comma 1 c.c.  Il patto commissorio, sotto il profilo causale, si connota come negozio di garanzia.[1] La formula normativa restituisce un’immagine del patto commissorio quale stipulazione accessoria al pegno o all’ipoteca, quasi che esso non sia concepibile se non in connessione con una garanzia reale tipica. A ben vedere, tuttavia, la funzione cui lo destina l’autonomia privata non è tanto quella di alterare il modello legale di siffatte garanzie ma, piuttosto, quella di sostituirsi radicalmente ad esse.[2]

Cenni storici.

Il divieto di patto commissorio, sancito formalmente per la prima volta nel diritto romano, trova riscontro anche in epoca moderna nell’ordinamento tedesco e francese. Nel codice civile italiano del 1865, esso riguardava esclusivamente il pegno e l’anticresi e si riferiva unicamente alla pattuizione commissoria coeva alla costituzione della garanzia (in continenti). Con l’entrata in vigore del codice civile del 1942, la portata del divieto è stata estesa al patto riguardante la garanzia immobiliare, nonché alla pattuizione stipulata successivamente alla costituzione della garanzia (ex intervallo).

La ratio del divieto di patto commissorio.

Alla definizione della ratio del divieto di patto commissorio sono collegati importanti risvolti applicativi: è alla luce della stessa, infatti, che può valutarsi in concreto se l’operazione negoziale posta in essere dalle parti sia violativa del divieto e, pertanto, nulla.

Un primo orientamento ritiene che il divieto sia sancito a tutela del debitore spinto dallo stato di bisogno ad accettare condizioni inique[3] e, latu sensu, in funzione riequilibratrice dell’asimmetria contrattuale tra le parti.

Altra impostazione ricostruisce il fondamento dell’art. 2744 c.c. in termini di tutela della par condicio creditorum: l’attribuzione del bene oggetto di pegno o di ipoteca, sostanziandosi nel soddisfacimento preferenziale di un creditore al di fuori delle cause legittime di prelazione, froderebbe l’interesse degli altri creditori[4].

Le teorie sopra esposte, tuttavia, non sono state in grado di spiegare perché il legislatore avesse previsto la sanzione della nullità, giacché per gli scopi ora esaminati il rimedio della nullità o della rescissione può ritenersi sufficiente.

Altro orientamento ritiene che il divieto si ponga a presidio del principio di tipicità delle garanzie reali, che risulterebbe svuotato di significato ove si consentisse all’autonomia privata la possibilità di dare vita a un sistema parallelo di garanzie convenzionali.[5]

Infine, diversa ricostruzione fa leva sul monopolio statale nell’esercizio della funzione esecutiva che non consente ai privati di farsi giustizia da sé, se non in via eccezionale.

Il fatto che nessuna delle soluzioni prospettate sia in grado di offrire una ricostruzione esaustiva della ratio posta alla base del divieto del patto commissorio ha condotto a ritenere che lo stesso sia spiegabile sulla base della sintesi di tutte le teorie sopra esposte, ma la questione è ancora aperta nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

Prassi applicativa.

Quanto alle ipotesi ricadenti nel divieto, la giurisprudenza si è occupata delle alienazioni a scopo di garanzia, ossia quelle figure negoziali in cui il perseguimento dello scopo di garanzia è attuato mediante il ricorso allo schema della vendita sospensivamente o risolutivamente condizionata al verificarsi dell’inadempimento dell’obbligazione.

In un primo momento la giurisprudenza aveva sostenuto la nullità delle sole vendite sospensivamente condizionate, nelle quali il trasferimento della proprietà per effetto dell’inadempimento violerebbe il dettato dell’art. 2744 c.c. Viceversa, nella vendita con patto di riscatto, risolutivamente condizionata e in cui il trasferimento della proprietà avviene immediatamente al momento del consenso, non era stata ravvisata alcuna violazione. Tale orientamento è stato superato dalla pronuncia della Cassazione n. 3800/1983 con cui si è sostenuto che occorra avere riguardo non al momento traslativo, ma allo scopo pratico perseguito dai contraenti: anche la vendita con patto di riscatto, pertanto, deve ritenersi nulla laddove la causa sottesa sia non di scambio ma di garanzia.

Il problema delle vicende negoziali volte alla indiretta elusione del dettato di cui all’art. 2744 c.c. si è posto altresì in riferimento al sale and lease back, variante bilaterale del leasing con la quale il proprietario, avendo necessità di procurarsi liquidità ma non volendo tuttavia privarsi di beni strumentali all’esercizio della sua impresa, trasferisce tali beni in proprietà, dietro un corrispettivo in denaro all’acquirente, il quale contestualmente glieli concede in godimento, ovvero dietro corresponsione di un canone periodico con facoltà per l’utilizzatore di riacquistare la proprietà dei beni medesimi dal condecente alla scadenza del periodo di godimento. La dottrina guarda con favore a tale figura negoziale: mediante il suo utilizzo, infatti, le parti possono perseguire interessi meritevoli di tutela, tra i quali spiccano per importanza le esigenze imprenditoriali.[6] La giurisprudenza, viceversa, in un primo momento si è mostrata propensa a ritenere che tale operazione, in quanto finalizzata alla violazione del divieto di patto commissorio, fosse in frode alla legge. Successivamente, tuttavia, si è allineata all’impostazione dottrinale, ritenendo il sale and lease back astrattamente lecito in quanto funzionale al perseguimento di interessi meritevoli di tutela ma non escludendo che mediante lo schema descritto possano essere realizzati risultati in concreto confliggenti con il divieto sancito dall’art. 2744 c.c. Per tale motivo, al fine di valutare concretamente l’operazione, la Cassazione ha elaborato una serie di indici sintomatici della frode, volti a far emergere il carattere in concreto illecito dell’operazione, quali: a) l’esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice; b) le difficoltà economiche dell’impresa venditrice al momento dell’alienazione; c) la sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente; d) l’avere il trasferimento ad oggetto beni che non sono strumentali all’esercizio dell’impresa dell’acquirente utilizzatore.

Affievolimento del divieto del patto commissorio.

Nel nostro ordinamento, un numero sempre maggiore di deroghe al divieto del patto commissorio induce a ritenere che si stia realizzando un tendenziale affievolimento dello stesso.

A questo proposito, occorre premettere che la giurisprudenza da tempo considera ammissibile, sebbene non espressamente regolato nel nostro ordinamento, il patto marciano. Tale figura negoziale, sostanzialmente, ricalca il patto commissorio, differenziandosene in virtù della c.d. cautela marciana: al momento dell’inadempimento la proprietà del bene passa al creditore previa stima del valore dello stesso da parte di un terzo e con la consegna della differenza tra l’importo del debito e il valore del bene. Si ritiene che tale caratteristica sia decisiva nel determinare la liceità del patto marciano, essendo idonea ad eliminare, da un lato, il rischio per il debitore di essere esposto ad una pattuizione iniqua e, per altro verso, l’arricchimento ingiustificato del creditore.

Analoghe considerazioni possono valere a proposito della disciplina del pegno irregolare dato a garanzia di anticipazione bancaria: per l’art. 1851 c.c., se il debitore ha vincolato a garanzia del credito una somma di denaro, merci o titoli, questi passano in proprietà alla banca creditrice, che in caso di adempimento ne restituisce il tantundem, mentre in caso di inadempimento deve restituire l’eccedenza. Anche il pegno irregolare, a differenza del patto commissorio, è valido: ciò che distingue le due fattispecie è che nella prima si elimina in radice ogni possibilità di lesione degli interessi del debitore.[7]

Altri esempi si rinvengono nella direttiva 2002/47/CE, recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 21 maggio 2004 n. 170 in materia di contratti di garanzia finanziaria, che esclude espressamente l’applicabilità del divieto di patto commissorio ai contratti che prevedano il trasferimento della proprietà di attività finanziarie con funzione di garanzia dell’adempimento di obbligazioni finanziarie e nell’istituto di cui al nuovo art. 48-bis del TUB (introdotto dall’art. 2 del d.l. 3 maggio 2016 n. 59, convertito con legge 30 giugno 2016 n. 119), che prevede che il contratto di finanziamento possa essere garantito da una alienazione sospensivamente condizionata all’inadempimento del debitore.

Caratteristica comune a tali istituti è la stima del bene da parte di un soggetto terzo e l’obbligo di restituire l’eccedenza di valore: l’ordinamento manifesta, evidentemente, una tendenza ad ammettere la validità dei patti commissori in presenza della cautela marciana, a conferma della ratio di tutela del debitore da pattuizioni inique.

Patto commissorio e nullità.

Ampio, infine, è il dibattito circa l’incidenza della declaratoria di nullità del patto commissorio e, segnatamente, se essa si circoscrive a questo o se invece si estende a determinare la nullità della più ampia stipulazione di cui esso è parte.

Occorre prendere in considerazione, in primo luogo, la fattispecie in cui il patto commissorio accede ad una convenzione costitutiva di pegno o di ipoteca. Un primo orientamento riteneva di poter applicare l’art. 1419 co. 1 c.c.: alla nullità del patto commissorio si accompagnava, così, la nullità del contratto di garanzia, previo accertamento dell’intenzione delle parti di non stipulare il contrato senza l’inclusione della clausola giuridica nulla. Altro orientamento, deponendo per l’operatività dell’art. 1419 co. 2 c.c., considerava il patto come non apposto, salvando il contratto di garanzia. Oggi, la dottrina prevalente afferma che il ricorso all’art. 1419 c.c. è superfluo: l’art. 2744 c.c. statuisce la nullità del patto commissorio, e non quella del contratto al quale accede.[8]

Nel caso in cui il patto commissorio, invece, sia materia di un negozio autonomo dalla costituzione di una garanzia reale tipica, si ritiene si applichi l’art. 1419 co. 1 c.c. se in una clausola contrattuale viene stabilito che in caso di inadempimento un bene della controparte – non costituito in garanzia reale – passi in proprietà al creditore insoddisfatto. In siffatta ipotesi, infatti, la stipulazione commissoria ha una sua identità, contrapponibile al resto del negozio e invalidabile separatamente da esso. Viceversa, in tutte le ipotesi in cui la stipulazione commissoria è mascherata sotto le apparenze di un negozio lecito, che risulta complessivamente conformato ad essa, appare inevitabile l’applicazione della nullità totale.[9]


[1] BARBIERA, Responsabilità patrimoniale, in Comm. Shlesinger, 287.

[2] Una conferma di questo assunto si ritrova nella prassi: del tutto minoritarie sono le fattispecie in cui un patto commissorio risulta stipulato in connessione con un pegno o un’ipoteca; prevalgono di gran lunga le ipotesi in cui esso si presenta come una convenzione autonoma, diretta ad attribuire al creditore la proprietà di beni non previamente costituiti in oggetto di alcuna garanzia reale tipica. Così, RESCIGNO, Trattato di diritto privato, 19, 558 ss.

[3] RUBINO, La compravendita, 1025 ss.; MESSINEO, Dottrina generale del contratto, 276.

[4] CARNELUTTI, R. d. proc. Civ., 46, 160 ss.; BARBIERA, op. cit., 315 ss.

[5] Così, F. CARINGELLA, L. BUFFONI, ibidem.

[6] BUSSANI, Contratto e impresa 86, 558 ss.; DE NOVA, Leasing, voce del Digesto 4ˆ ed., X 485 ss.

[7] RESCIGNO, op. cit., p. 562.

[8] Comm. al Codice Civile, a cura di G. ALPA e V. MARICONDA, VI, 262 ss.

[9] RESCIGNO, op. cit., 573 ss.


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