Il divieto di testimonianza nel processo tributario

Il divieto di testimonianza nel processo tributario

In virtù del divieto dell’art. 7 del d. lgs. 546/92, nel processo tributario non è ammessa la prova testimoniale, poiché si ritiene che esso abbia una natura documentale. In realtà l’inammissibilità della prova testimoniale sembra essere il residuo storico di una concezione, ormai superata, del processo tributario: dopo la sua istituzione, infatti, si riteneva che la Commissione tributaria non avesse natura giurisdizionale ma amministrativa. Oggi, il riconoscimento unanime della natura giurisdizionale della Commissione tributaria fa apparire anacronistico il  disposto di cui all’art. 7. A ciò si aggiunge che tale divieto lascia pensare che sia stato posto dal legislatore per prevenire eventuali false testimonianze, in giudizio, a sostegno della parte privata.

L’esclusione del prova testimoniale, in realtà, si traduce in una violazione del principio di parità delle parti, ai sensi dell’art. 111 Cost., poiché tra i poteri dell’Amministrazione finanziaria si registra quello di chiedere informazioni a terzi sull’oggetto della controversia e di utilizzarle per fini processuali. Pertanto, visto che di fatto tali dichiarazioni hanno natura testimoniale, il divieto finisce per operare unidirezionalmente nei confronti della parte privata, il contribuente. Del resto, la norma in parola non è l’unica a serbare un trattamento di favore per l’Amministrazione finanziaria all’interno del processo tributario e, non a caso, né l’art. 7, né, in generale, il d. lgs. 546/92 accennano ai mezzi istruttori in facoltà della parte privata (l’art. 7 è, infatti, rubricato “poteri della commissione tributaria”).

Per sopperire al vulnus creatosi, una buona parte della dottrina e della giurisprudenza[1] ammette, dando un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 7, la facoltà anche per la parte privata di produrre in giudizio “dichiarazioni scritte di terzi, cui è da riconoscere lo stesso valore delle dichiarazioni prodotte dalla parte pubblica”[2]. Si precisa, a tal riguardo, che il “valore” della prova testimoniale nel processo tributario è quello di semplice indizio. Pertanto il decisum del giudice non potrà mai fondarsi soltanto su tale elemento indiziario, ma necessita di essere corroborato da altri elementi di prova.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, sarebbe comunque preferibile una soluzione legislativa che assicuri, con certezza, gli stessi poteri istruttori alle parti in giudizio; il che sarebbe anche l’occasione per  espungere dall’ordinamento tutte quelle norme del processo tributario la cui applicazione potrebbe mettere in discussione il principio del giusto processo ex art. 111 Cost.

Il legislatore, infatti, in un’ottica di salvaguardia della finanza dello Stato, ha spesso caratterizzato il processo tributario con norme di favore per l’Amministrazione finanziaria, facendolo apparire come qualcosa di diverso rispetto al processo civile o penale.

Del resto l’entrata in vigore di una norma non fa mai presumere che contenutisticamente essa sia una norma giusta. E tutti gli operatori del diritto, dato che questo è un prodotto “di più mani”, sono chiamati ad interrogarsi sulla giustezza di una norma, a fortiori se si tratta di una disposizione processuale dalla cui applicazione potrebbe derivare un pregiudizio personale e patrimoniale nei confronti del suo destinatario.

Il perseguimento della giustezza delle norme deve farsi ancora più rigoroso quando, come nel caso del processo tributario, una molteplicità di disposizioni processuali potrebbe portare a degli esiti ingiusti.

Il presidio di garanzia di cui all’art. 111 Cost. non dovrebbe mai essere dimenticato né da parte del legislatore, nell’esercizio della funzione legislatore, né da parte dei giudici, nell’esercizio della funzione giudiziaria, poiché esso consacra i connotati costituzionali di un processo giusto: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.


[1] Cass., 14 settembre 2016, n. 18065; Id., 4 novembre 2016, n. 22413

[2] Tesauro, F., Manuale del processo tributario, IV ed., Giappichelli Editore, Torino, 2017.


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Salvatore Casarrubea

Laureato in Giurisprudenza con 110, lode e mensione alla tesi. Attualmente è Iscritto all'ordine dei praticanti avvocati di Palermo e collabora con lo studio Legale Perrino&Associati e con lo studio Legale Casarrubia. Mail: salvocasarrubea@gmail.com

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