Il divieto di trasferimento del lavoratore che assiste il parente disabile prescinde dalla gravità dell’handicap
Cass. Sez. lavoro del 12 dicembre 2016, n. 25379.
Il divieto di trasferimento del lavoratore che assiste il parente disabile prescinde dalla gravità dell’handicap.
La sentenza in oggetto rappresenta sicuramente la definizione di un chiaro confine entro il quale il lavoratore, ai sensi della legge n. 104/92 non può essere trasferito ad altro luogo di lavoro.
Occorre però avere una chiara cognizione del provvedimento di cui all’art. 2103 c.c. Il trasferimento di un lavoratore ad altra unità , ovvero luogo, è rigidamente regolato dalla legge. Pur rientrando nei poteri discrezionali del datore di lavoro , è realizzabile ove sussistano comprovate ragione tecniche, produttive ed organizzative ( Cass. 87/5432) salvo che per norma derivante da contratto collettivo, ovvero individuale, non venga stabilito che la prestazione stessa debba essere svolta in un determinato luogo ( Cass. 83/4334). La nozione di trasferimento comporta di fatto inevitabilmente il mutamento definitivo del luogo geografico di esecuzione della prestazione ai sensi dell’art. 2103, 1° comma, ultima parte c.c. e non può ritenersi configurato quando avvenga nell’ambito della medesima unità produttiva, salvo i casi in cui la stessa comprenda uffici, ovvero altri luoghi notevolmente distanti tra di loro ( cfr. Cass. 10/12097).
Per costante giurisprudenza, dunque, è legittimo il trasferimento del lavoratore allorquando il datore possa dimostrare :
l’inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza;
la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di destinazione;
la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni.
Le ragioni qui descritte devono essere portate a conoscenza per iscritto, prima dell’adozione del provvedimento, al lavoratore, il quale, in assenza delle stesse, è legittimato a richiederle espressamente.
In mancanza dei suindicati requisiti, il trasferimento potrà ritenersi illegittimo e dunque, il lavoratore potrà chiedere al Giudice del Lavoro di dichiarare nullo, ovvero inefficace tale provvedimento.
Esistono poi casi in cui il trasferimento è vietato dalle stesse norme di legge. Tra queste, la normativa in materia di assistenza ai familiari disabili, ( art. 33, co.5 L. 104/92 e art. 20 L. 53/2000) la quale prevede il diritto del lavoratore a non essere trasferito senza il suo consenso ad altro luogo di lavoro. Presupposti necessari al fine di poter esercitare concretamente tale diritto sono :
L’esclusività nell’assistenza;
La continuità dell’assistenza;
la compatibilità dell’esercizio del diritto del lavoratore con le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro.
Premesso ciò, in tema di L. 104/92 e con riferimento alla sentenza in oggetto, è opportuno esporre quanto segue. La Suprema Corte, relativamente al caso di lavoratore portatore di handicap, ha stabilito che “il diritto del lavoratore portatore di handicap a non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, previsto dall’art. 33, 6° comma, L 104/92, mentre non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa a ordinarie esigenze tecnico produttive dell’azienda, non è invece attuabile ove sia accertata l’incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro ( Cass. 13/24775).
Diversamente, in caso di lavoratore che assista un parente disabile, la stessa Corte di Cassazione, dando seguito ad indirizzo giurisprudenziale già tracciato ( Cass. n.9201/12) ha definito il principio secondo cui”l’art. 33, co.5 della legge 104/92 laddove vieta di trasferire , senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretato in termini costituzionalmente orientati alla luce dell’art. 3, co.2, Cost, dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, ratificata dalla legge n. 18 del 2009, in funzione della tutela della persona disabile. Ne consegue che il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare , che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore , a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali urgenti ed effettive insuscettibili di essere altrimenti insoddisfatte”.
Orbene, nel nostro caso ( licenziamento del dipendente e dichiarazione di legittimità del trasferimento a seguito della mancata presentazione di documentazione medica comprovante la disabilità del familiare assistito) ben può condividersi quanto statuito dalla Suprema Corte, la quale aderendo al principio precedentemente illustrato ,ha imputato alla Corte Territoriale una insufficiente analisi circa l’invalidità grave della madre della ricorrente , poiché non avrebbe dovuto soffermarsi ai fini del giudizio solamente sulla indisponibilità della relativa documentazione medica , ma avrebbe dovuto procedere ad una attenta valutazione dell’entità dell’handicap da questa sofferto , delle reali esigenze di assistenza e di quelle relative alla produzione, atteso ormai il superamento del tenore letterale della norma dalla giurisprudenza di legittimità.
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Andrea Pagnotta
Praticante e collaboratore presso studio legale in Roma