Il fallimento della società occulta, spunti e riflessioni sullo stato dell’arte
Per comprendere appieno l’intento del presente lavoro, è quantomeno opportuno richiamare il concetto di “società”.
I principi posti dal Costituente agli artt. 2-41 Cost. rappresentano uno snodo fondamentale per il fine che qui ci occupa: se l’ordinamento, infatti, tutela e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e, al contempo, assicura il libero estrinsecarsi dell’iniziativa economica privata, non può che desumersi come la società rappresenti il giusto punto di equilibrio tra due mondi diametralmente opposti (seppur in apparenza).
Lo stesso codice civile, facendo propri i dettami dei costituenti, sancisce all’art. 2247 come la società abbia fonte, appunto, in un contratto mediante il quale due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Dunque, il concetto di società contempla la presenza di: un’ organizzazione (di beni e servizi) che consenta a più soggetti, definiti soci, lo svolgimento, di un’attività economica in comune al fine di ottenere profitti e guadagni.
Questa organizzazione può non essere palese nei confronti dei terzi. L’esteriorizzazione della qualità di socio/imprenditore non è condizione necessaria per l’espletamento di un’attività economica in comune. Ciò che rileva è la sussistenza di una macchina che consenta di produrre profitti; pertanto l’espletamento di una o più attività di impresa viene in concreto realizzata da un soggetto (cosiddetto prestanome o imprenditore palese) ma sostanzialmente imputata agli interessi economici di un altro (cosiddetto dominus o imprenditore occulto) che finanzia quell’attività e ne consegue, poi in concreto, gli utili.
Pertanto, come può incidere la dichiarazione di fallimento su un’organizzazione simile? come può incidere una procedura concorsuale su un soggetto giuridico che all’esterno parrebbe, addirittura, quale impresa individuale quando, nei rapporti interni, in realtà, è espressione di una vera società?
La dottrina e la giurisprudenza, che appaiono concordi, hanno offerto soluzioni al problema.
La dottrina, ex multis Ferri, superando il principio della spendita del nome, che trova particolare applicazione in materia di mandato, ha affermato come, non essendo essenziale al concetto di società l’esteriorizzazione ai terzi dello stesso vincolo sociale, e non potendo quest’ultimi esimersi, attraverso un prestanome, dalla responsabilità che su di loro incombe per legge, la società occulta e i soci rispondono delle obbligazioni contratte dal prestanome.
La giurisprudenza, viceversa, pur evidenziano l’importanza della spendita del nome quale condizione necessaria e indefettibile per la riferibilità delle obbligazioni alla società occulta, precisa tuttavia che l’imprenditore palese(il prestanome) è l’unico soggetto al quale sono riferibili gli effetti giuridici della propria attività salvo che la società occulta, non divenga palese, o quantomeno, da indici sintomatici, possa dedursi la presenza di una struttura simile.
Sul punto, infatti, Corte di Cassazione, Sez. I civ., 13 settembre 2021, n. 24633: al fine dell’applicazione dell’art 147 L. fall. occorre il riscontro, oltre che della situazione normale di una società che esista nella realtà e come tale operi nei rapporti con i terzi, anche delle situazioni anomale costituite dalla società meramente apparente nei confronti dei terzi, pure se inesistente nei rapporti interni, e dalla società occulta, cioè realmente esistente, ma non esteriorizzata. Queste due ultime situazioni, peraltro, in relazione alla diversità di presupposti, si pongono su un piano alternativo, dal che consegue che l’estensione del fallimento di un imprenditore individuale ad altro soggetto, previo riscontro di una società di fatto, non può essere contraddittoriamente giustificata in base al contemporaneo accertamento, in detto soggetto, della qualità di socio apparente e di socio occulto.
La problematica è comunque stata risolta dallo stesso legislatore in quanto, ai sensi e per gli effetti degli artt. 147 co.4-5 L.F, si è previsto che qualora, dopo la dichiarazione di fallimento, risulti l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento anche di quest’ultimi (principio dell’estensione del fallimento). Si constata pertanto, dalla lettere della legge, che il tribunale, appurata l’esistenza di una società occulta, desunta sulla base di indici esteriori, pronuncia sentenza dichiarativa di fallimento che da un lato estende gli effetti della procedura agli imprenditori occulti ma, dall’altro, realizza una vera e propria correzione della precedente statuizione.
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Antonio Iazzetta
Avvocato praticante abilitato presso il Foro di Napoli ; praticante notaio presso il consiglio notarile di Santa Maria Capua Vetere; tirocinante ex art.73 presso il Tribunale di Napoli Nord;