Il fenomeno della partecipazione sinergica di più persone nel reato
Il concorso di persone nel reato è disciplinato nel libro I, capo III del codice penale. Tale forma di attuazione di condotte criminose sussiste ogni qual volta due o più persone concorrono nel medesimo reato, come statuisce l’art. 110 cp.
I requisiti necessari affinché detta modalità di concorso venga posta in essere si identificano nella pluralità di soggetti, nella realizzazione di un fatto di reato, nel contributo di ogni concorrente e nel dolo o colpa di partecipazione. I primi tre integrano l’elemento oggettivo, l’ultimo quello soggettivo. In relazione a tale ultimo elemento, occorre precisare che, a differenza di fattispecie criminose nelle quali tutti i soggetti sono animati dal medesimo requisito psicologico, ve ne sono altre in cui invece la realizzazione pluripersonale del fatto illecito è accompagnata da titoli soggettivi diversi per i partecipanti. Può capitare, infatti, che ciascuno dei compartecipi fornisca il proprio contributo all’azione comune osservando un comportamento disomogeneo rispetto agli altri concorrenti.
A tal riguardo, è necessario menzionare i casi della cooperazione dolosa nel delitto colposo e della partecipazione colposa nel delitto colposo. La giurisprudenza, giova precisare, si è espressa a favore dell’ammissibilità del concorso doloso nel delitto colposo. Tale fattispecie si configura quando chi sostiene l’altrui condotta colposa si rappresenta e accetta il possibile verificarsi dell’evento tipico di reato come conseguenza di essa, non previsto, invece, dall’autore della condotta.
Occorre precisare che in relazione all’ammissibilità di tale mutazione del titolo di reato, vi sono due argomentazioni. La prima afferma che l’art. 110 cp sembrerebbe legittimare una concezione unitaria della compartecipazione criminosa, nel sancire la riferibilità del fenomeno concorsuale allo stesso modo. Sarebbe quindi da escludere la possibilità di imputare il medesimo fatto a titoli soggettivi diversi. In secondo luogo, si rileva che l’art 116 cp considera la possibilità che più soggetti rispondano a titoli diversi di reato. Tale previsione normativa induce a ritenere, a contrario, che il fenomeno della diversità dei titoli non costituisca la regola ma l’eccezione. Sarebbe, di conseguenza, una forzatura del principio di legalità ogni interpretazione contraria.
Più problematica è la configurabilità del concorso colposo nel delitto doloso. A tal riguardo, si richiama innanzitutto l’art 42 cp, il quale al secondo comma afferma che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come delitto se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo previsti dalla legge. A conferma di ciò, infatti, all’interno del codice penale vi sono precise disposizioni di parte speciale che disciplinano la responsabilità colposa, come gli artt. 254 e 259 cp. Oltre a quanto esposto, si deve richiamare l’art. 113 cp, il quale disciplina solo il concorso colposo nel delitto colposo. Tali considerazioni, dunque, hanno indotto la giurisprudenza a negare la configurabilità del predetto concorso nel delitto doloso, in virtù del fatto che non vi è un’espressa disposizione nel codice penale che disciplini tale fattispecie.
In aggiunta a tali ipotesi di concorso con differenti titoli soggettivi, occorre menzionare l’art 116 cp. La disposizione de qua, infatti, disciplina l’ipotesi in cui il reato realizzato sia diverso da quello effettivamente voluto da taluno dei concorrenti. L’articolo disciplina una particolare ipotesi aberratio delicti, da cui tuttavia se ne discosta. Occorre precisare, a riguardo, che mentre nell’ipotesi ex art 83 cp l’evento diverso è cagionato da un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altra causa, l’art 116 cp prevede che il reato diverso non sia causato da errore alcuno, ma sia voluto da alcuno dei componenti. Tale ultima disposizione, attribuisce responsabilità al soggetto per un evento da questo non voluto, se l’evento è “conseguenza della sua azione od omissione”. L’articolo in analisi, quindi, configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva che prescinde dal dolo o dalla colpa. Tale soluzione, però, è stata criticata in quanto contrastante con il principio della personalità della responsabilità penale ex art 27 Cost.
A tal proposito, la Corte Costituzionale ha elaborato il principio dello sviluppo logicamente prevedibile. Secondo tale principio, la responsabilità ex art 116 cp si fonda non solo sulla sussistenza del rapporto di causalità materiale, ma anche su di un rapporto di causalità psichica, nel senso che il diverso e più grave reato commesso dal concorrente debba potersi rappresentare alla psiche dell’agente come uno sviluppo prevedibile di quello voluto. Sulla base di quanto statuito dalla Corte, la giurisprudenza propende per la tesi secondo la quale i presupposti della responsabilità ex art 116 cp sono due. Il primo è il rapporto di causalità tra l’azione di ogni partecipante e il reato diverso. Il secondo, invece, è la prevedibilità del reato non voluto.
In relazione a tale ultimo requisito, vi sono due interpretazioni in giurisprudenza. Secondo la prima, è sufficiente la prevedibilità in astratto dell’evento, secondo la quale occorre che lo stesso appartenga al tipo di quelli che si prospettano come sviluppo del reato voluto. Per il secondo orientamento, invece, è necessaria la prevedibilità in concreto.
Al fine di stabilire se il reato non voluto è un prevedibile sviluppo di quello programmato, bisogna considerare tutte le circostanze della vicenda, valutate secondo l’esperienza dell’uomo medio. L’esclusione della responsabilità ai sensi dell’art 116 cp, quindi, presuppone che il reato diverso realizzato si connoti come fatto atipico. Sia, cioè, conseguenza di circostanze eccezionali e imprevedibili. Al contrario, la previsione dell’evento diverso e la conseguente accettazione del rischio del suo verificarsi comportano in capo al soggetto che non voleva l’evento consumatosi una responsabilità ex art 110 cp a titolo di dolo eventuale. La disposizione, quindi, individua una responsabilità anomala in quanto imputa al concorrente un reato doloso sulla base di un atteggiamento colposo. La responsabilità per concorso anomalo si ravvisa solo quando l’evento diverso e più grave di quello voluto dal compartecipe costituisca uno sviluppo prevedibile della condotta concordata. A tal proposito, come precisato, è necessario che l’evento diverso non sia voluto neanche a titolo di dolo eventuale, configurandosi altrimenti responsabilità ex art 110 cp, e che l’evento più grave non sia conseguenza di fattori eccezionali.
Secondo consolidata giurisprudenza, per esempio, la fattispecie in analisi non è compatibile con il delitto di omicidio preterintenzionale ex art 584 cp, atteso che in esso l’evento morte non è voluto da nessuno dei concorrenti. Un altro esempio di partecipazione sinergica di più persone nel reato, sorretto da atteggiamenti psicologici diversi è rappresentato dall’art 117 cp. Tale norma disciplina il caso in cui ad un reato proprio partecipi anche un soggetto che non abbia la qualifica necessaria per porre in essere il reato.
In primo luogo, è necessario evidenziare che i reati propri, a differenza di quelli comuni, possono essere perfezionati solo da soggetti con particolari qualifiche. Di questi ultimi, ancora, si può fare un’ulteriore distinzione. I reati propri esclusivi sono quelli che in mancanza della qualifica soggettiva sarebbero inoffensivi di qualunque interesse. Vi sono, poi, i reati semieslcusivi, che senza la qualifica costituirebbero un reato diverso. In ultimo luogo, i reati propri non esclusivi che, senza la qualifica costituirebbero illeciti extralegali, poiché la qualifica dell’intraneus si limita a circoscrivere la punibilità a determinati soggetti, non comportando l’offensività del fatto tipico.
Occorre chiedersi quale sia, in concreto, l’atteggiamento psicologico dell’extraneus rispetto alla qualifica dell’intraneus nel caso in cui il primo partecipi alla realizzazione di un reato proprio. Nei reati propri esclusivi, è necessario che l’estraneo non solo abbia coscienza e volontà di concorrere, ma anche che conosca la qualifica dell’intraneo, versando altrimenti in ipotesi di carenza di dolo. Nell’ipotesi di reati propri non esclusivi, invece, l’estraneo che non conosce la qualifica dell’intraneo dovrebbe rispondere del reato comune.
L’art 117 cp, si precisa, statuisce che se per le condizioni o le qualità personali del colpevole muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato. Il legislatore ha dunque stabilito che anche l’extraneus debba rispondere del reato proprio. Si è pero sottolineato che la norma introdurrebbe una deroga ai principi regolatori dell’elemento soggettivo del reato concorsuale, dal momento che viene imputato in modo indifferenziato il reato proprio anche al soggetto che non ha contezza della qualifica dell’intraneus. A tal proposito, parte della dottrina ha suggerito di esigere la consapevolezza della stessa qualifica di tale ultimo soggetto ai fini della sussistenza del concorso dell’extraneus. Tale opzione, però, non può trovare accoglimento perché in tal caso si applicherebbe l’art 110 cp. La tesi più accreditata, invece, afferma che occorre fare una distinzione al fine di individuare l’articolo applicabile all’ipotesi di concorso dell’extraneus nel reato proprio. Da un lato, il caso in cui il fatto commesso dall’estraneo costituisce di per sé reato anche senza il concorso dell’intraneo. Dall’altro, il caso in cui il fatto dell’estraneo non costituisce di per sé reato. Nel primo, bisogna considerare l’ipotesi in cui l’extraneus conosce la qualifica dell’intraneo, rispondendo ex art 110 cp. Sussiste, infatti, il dolo di concorso che postula la conoscenza del fatto di reato. Se invece l’estraneo non conosce la qualifica, risponde ex art 117 cp. Tale articolo prevede un’imputazione oggettiva del reato proprio a carico dell’extraneus, come desumibile, per esempio, dal fatto che non richiede la conoscenza della qualifica stessa. Nel secondo caso, relativo al fatto dell’estraneo che non costituisce reato di per sé, non viene in rilievo l’art 117 cp. Esso, infatti, richiede che l’estraneo commetta un reato che possa mutare in altro reato, situazione che nel caso di specie non ricorre.
Anche in tal caso bisogna distinguere tra l’ipotesi della conoscenza della qualifica dell’intraneo, fattispecie in cui l’estraneo risponderà ex art 110 cp essendovi il dolo di concorso, da quella in cui l’estraneo non ne è a conoscenza e il cui comportamento non integra un reato comune ma neppure il reato proprio dell’intraneo mancando il dolo di concorso per difetto della conoscenza.
Ancora, vi sono due ulteriori questioni controverse. Da un lato, ci si chiede se sia necessario che la condotta tipica sia realizzata dall’intraneus oppure se sia sufficiente che questi si limiti a fornire un qualsiasi contributo atipico. Dall’altro, se il concorso nel reato proprio sia configurabile anche nell’ipotesi in cui l’intraneo non sia punibile per mancanza di dolo o colpevolezza. Secondo il primo orientamento, partendo dal presupposto che la condotta del concorrente debba accedere alla condotta principale per assumere rilevanza penale, il soggetto qualificato deve necessariamente realizzare la condotta tipica. Aderendo al secondo, invece, secondo cui l’incontro tra art 110 cp e le fattispecie criminose di parte speciale da vita a una nuova fattispecie plurisoggettiva eventuale, si può sostenere che per l’integrazione concorsuale del reato proprio sia sufficiente che l’intraneus realizzi un qualsiasi contributo atipico, ammettendosi un’esecuzione frazionata del reato. Non è però possibile applicare l’esecuzione frazionata. La condizione dell’intraneus, infatti, implica che questi debba realizzare un contributo che, per quanto atipico, sia espressione di una particolare posizione dalla quale dipende il disvalore del fatto incriminato come reato proprio. Solo attraverso la preventiva individuazione del contenuto di illiceità penale delle singole fattispecie di reato proprio si può stabilire se l’intraneo debba realizzare la condotta tipica e individuare la condotta atipica che integri la particolare modalità di lesione.
L’altra questione, come accennato, riguarda la possibilità di configurare il concorso nel reato proprio anche qualora l’extraneus si avvalga di un soggetto qualificato privo di dolo o colpevolezza. L’opinione prevalente richiama gli artt 111 e 112 cp secondo i quali, per l’integrazione della fattispecie concorsuale, è irrilevante la non punibilità di taluno dei concorrenti per mancanza di colpevolezza.
Alla luce delle considerazioni svolte, si può affermare che la realizzazione pluripersonale del fatto illecito accompagnata da titoli soggettivi differenti è disciplinata da varie disposizioni. In conclusione, il concorso di soggetti animati da differenti atteggiamenti psicologici può assumere forme diversificate che devono essere valutate nel singolo caso al fine di comprendere quale sia la migliore disciplina applicabile.
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Fabio Piedigrotta
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