Il finanziamento dei soci
Sommario: 1. Premessa – 2. Disciplina fiscale – 3. Operazioni esenti IVA – 4. I finanziamenti fruttiferi – 4.1. Alcune differenze pratiche – 5. I finanziamenti dei soci nella S.r.l. – 6. Finanziamento dei soci nelle società per azioni (S.p.A.) – 7. Conclusioni
1. Premessa
Il finanziamento dei soci è un mezzo per incrementare le risorse finanziarie di una società senza ricorrere all’aumento del capitale sociale. Questi versamenti, detti “fuori capitale”, si distinguono per l’obbligo di restituzione che la società ha nei confronti dei soci.
È comune tra i soci di società di capitali, specialmente quelle con pochi membri, apportare contributi di denaro al patrimonio della società. Questi contributi spesso avvengono senza particolari formalità o motivazioni specifiche, con l’obiettivo di fornire alla società i mezzi necessari per svolgere la propria attività imprenditoriale.
In generale, i versamenti extra-capitale possono essere motivati da due scopi principali: un intento di finanziamento, ovverosia un prestito da parte di uno o più soci nell’interesse della società a cui partecipano; un intento di rafforzare in modo permanente la struttura patrimoniale e finanziaria della società, senza aumentare il capitale sociale.
Nel primo caso, gli importi sono versati dai soci come prestito, con l’obbligo per la società di restituirli, con o senza interessi.
Nel secondo caso, si tratta di conferimenti “atipici” che aumentano il patrimonio netto della società senza modificare il capitale sociale nominale. Questi conferimenti generano crediti esigibili solo al momento dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo di liquidazione; il diritto del socio alla restituzione è subordinato rispetto ai diritti dei creditori sociali.
I soci possono finanziare la società con: versamenti a titolo di mutuo: iscritti tra i debiti dello stato patrimoniale e prevedono un obbligo di restituzione. Il contratto deve essere redatto per iscritto e contenere l’importo e il termine di rimborso; versamenti in conto capitale: contabilizzati tra le voci di patrimonio netto e non prevedono un obbligo di restituzione.
I finanziamenti dei soci sono considerati debiti della società e vanno indicati nel passivo dello stato patrimoniale (art. 2424 c.c., lettera D, n. 3). Possono essere concordati liberamente, senza necessità di delibera assembleare, e indipendentemente dalla quota di partecipazione sociale. Tuttavia, è preferibile un accordo scritto, poiché l’art. 1815 c.c. presume l’onerosità delle somme oggetto di mutuo. In mancanza di accordo scritto, gli interessi si stimano percepiti nella misura prevista dall’art. 1284 c.c. Se i finanziamenti sono infruttiferi, questa condizione deve essere espressa nella nota integrativa al bilancio. L’accordo di finanziamento può avvenire anche in sede di assemblea ordinaria, che determina modi e tempi di versamento e restituzione delle somme con delibera vincolante solo per i soci consenzienti.
2. Disciplina fiscale
Dal punto di vista fiscale, i finanziamenti dei soci rientrano nella categoria dei redditi di capitale. È importante distinguere tra finanziamenti fruttiferi e infruttiferi di interessi. È fondamentale specificare chiaramente la causale del bonifico come “prestito infruttifero” per evitare che l’Agenzia delle Entrate possa qualificare diversamente la transazione. La causale inserita nel bonifico è fondamentale, essendo frequenti le circostanze in cui l’Amministrazione Finanziaria, in assenza di una chiara e completa causale, imputa al contribuente la violazione di ricavi non contabilizzati. In sostanza, è purtroppo agevole per l’Agenzia delle Entrate, in assenza di una chiara documentazione, sostenere che grava sul contribuente l’onere della casuale la cui mancanza farebbe presumere ricavi non contabilizzati. Questa operazione è portata avanti, anche, quando l’importo è oneroso per una società di piccole o medie dimensioni.
Se non sono giustificati adeguatamente i finanziamenti infruttiferi, possono essere considerati ricavi in nero, benché la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24746 del 5/10/2020 abbia stabilito che l’effettività di un finanziamento infruttifero non può essere desunta solo dalla capacità di spesa del socio, ma deve essere supportata da adeguata documentazione. Nella controversia de quo «l’Avvocatura dello Stato ha fondato il proprio ricorso in cassazione sui seguenti punti: il riconoscimento dell’avvenuto finanziamento soci in maniera rituale, nonostante fosse avvenuto in assenza di entrambe le ipotesi previste dall’articolo 2467 del codice civile; “il vizio di motivazione rispetto alla qualificazione finanziaria del socio di maggioranza”.
La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendolo fondato ed argomenta la propria decisione. Ha rilevato l’errore della CTR nel ritenere legittimo un finanziamento avvenuto al di fuori delle ipotesi previste dalla legge che comunque non si sarebbero riscontrate nello stato in cui versava l’S.r.l. A tal proposito il giudice di legittimità, sottolineando la conduzione antieconomica della società, afferma nella sentenza che “Tali condizioni non sono state riscontrate dalla CTR che ha ritenuto ugualmente legittimo il prestito, teso invece a mantenere operativa un’attività in perdita, la cui conduzione antieconomica è indice di ricavi occulti, fatti rientrare in società attraverso il finanziamento soci appunto”».[1]
Nel prosieguo della propria argomentazione, inoltre, la Corte si è soffermata sui presupposti necessari alla qualificazione dell’entrata di denaro come finanziamento del socio fatta a favore della società.
Di fondamentale importanza è il seguente passaggio della sentenza: “in tema di società a responsabilità limitata, ai fini della qualificazione in termini di finanziamento della erogazione di denaro fatta dal socio alla società, è determinante la circostanza che l’operazione sia stata contabilizzata nel bilancio di esercizio che costituisce il documento contabile fondamentale nel quale la società dà conto dell’attività svolta e che rende detta operazione opponibile ai terzi, compreso l’Erario, essendo invece irrilevante la modalità di conferimento prescelta all’interno dell’ente (cfr. Cass. V, n. 6104/2019), sicché non poteva essere degradata a mera irregolarità formale l’assenza di verbali assembleari sul punto, che non potrebbe spostare la natura delle operazioni avvenute, quando invece ne costituisce elemento contabile fondamentale al fine della qualificazione quale prestito soci, secondo i principi sopra enunciati, nonché per i profili contabili riflessi, tra cui quelli fiscali”.
L’Agenzia delle Entrate spesso controlla i finanziamenti dei soci durante gli accertamenti fiscali. In passato, la Cassazione ha riqualificato questi finanziamenti come diverse voci di bilancio. Tuttavia, nell’ordinanza n. 6104 del 2019, la Cassazione ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, che contestava a una S.r.l. la mancanza del verbale di assemblea sul finanziamento dei soci, ritenendolo necessario a fini probatori.
Nella sentenza, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, affermando che il bilancio, essendo pubblicato nel registro delle imprese, è il documento principale per qualificare la natura di un’entrata patrimoniale per la società. La mancanza dei verbali assembleari di finanziamento non è considerata decisiva. Tuttavia, la Corte ha cambiato orientamento, ritenendo insufficiente la sola presenza del finanziamento soci nel bilancio d’esercizio per l’opponibilità ai terzi. È necessaria una delibera dell’assemblea dei soci. Se i finanziamenti non risultano dal verbale di assemblea, l’Erario può qualificare diversamente tali entrate. Nel caso specifico, l’Agenzia delle Entrate ha considerato i finanziamenti come ricavi occulti, poiché la società non aveva deliberato il finanziamento tramite verbale di assemblea. La contabilizzazione in bilancio rende l’operazione opponibile ai terzi, inclusi l’Erario, mentre la modalità di conferimento all’interno della società è irrilevante per i terzi.
3. Operazioni esenti IVA
Come i finanziamenti soggetti ad IVA (ad esempio, un contratto di mutuo o un prestito tra soci), sono comunque soggette a IVA le operazioni esenti, anche se l’imposta non viene addebitata dal cedente o dal prestatore del servizio a causa del regime di esenzione. Pertanto, tali operazioni, in base al principio di alternatività tra IVA e imposta di registro (espresso negli articoli 5 e 40 del DPR 131/1986, il testo unico dell’imposta di registro), richiedono il pagamento di un’imposta di registro fissa.
Questo principio di diritto, enunciato anche dalla sentenza 24268/2015 della Cassazione, è piuttosto ovvio, poiché riguarda i fondamenti dell’imposta di registro. Il giudizio del 2015 trattava di un contratto concluso mediante scambio di documenti contenenti una proposta contrattuale e la relativa accettazione, senza spedizione postale, ma con l’apposizione di francobollo e timbro postale.
Con la decisione impugnata, la CTR Umbria aveva ritenuto che, in questo caso, non si configurasse un contratto formato mediante corrispondenza, il che avrebbe comportato la tassazione ai fini dell’imposta di registro solo “in caso d’uso”, e qualificando il contratto come escluso dal campo di applicazione dell’IVA (in quanto prestito di denaro, operazione esclusa da IVA ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera a), del DPR 633/1972), aveva ritenuto non applicabile il principio di alternatività IVA/registro, decidendo per l’applicazione dell’imposta di registro proporzionale con un’aliquota del 3%.
La Cassazione, invece, ha considerato il contratto di finanziamento infruttifero come un’operazione soggetta a IVA (in base all’articolo 3, comma 2, n. 3, del DPR 633/1972), sebbene esente dall’applicazione dell’IVA, e quindi idonea a innescare il principio di alternatività tra IVA e registro. Tuttavia, la Cassazione ha dimenticato che i prestiti di denaro sono soggetti a IVA solo se effettuati dietro pagamento di un corrispettivo (ad esempio, interessi o commissioni), come richiesto dall’articolo 3, comma 2, del DPR 633/1972 e come riconosciuto nella sentenza 20769/2013.
Invece, se il finanziamento è infruttifero, esce dal campo di applicazione dell’IVA e rientra in quello dell’imposta di registro proporzionale (con un’aliquota del 3% ai sensi dell’articolo 9 della Tariffa, parte Prima, allegata al DPR 131/1986, o dell’imposta fissa se il contratto è formato mediante corrispondenza).
All’opposto, se il finanziamento è fruttifero, rientra nel campo di applicazione dell’IVA e l’imposta di registro degrada alla misura fissa (non importa se l’operazione di finanziamento non è imponibile a IVA ma esente da IVA, come previsto dall’articolo 10, n. 1, del DPR 633/1972).
Nel caso esaminato dalla Cassazione, si trattava di un contratto di finanziamento cui applicare l’imposta proporzionale di registro. Pertanto, era rilevante verificare se il contratto fosse stato formato per corrispondenza, il che avrebbe escluso il contratto dagli atti da registrare in termine fisso, poiché la formazione per corrispondenza comporta l’obbligo di registrazione solo “in caso d’uso”. Sarebbe stato interessante conoscere l’opinione della Cassazione su cosa si intenda per “formazione mediante corrispondenza”: se sia necessaria la spedizione materiale dei documenti con la proposta e l’accettazione o se sia sufficiente lo scambio brevi manu. Tuttavia, su questo tema non sono state fornite valutazioni.
4. I finanziamenti fruttiferi
I finanziamenti fruttiferi, ovverosia quei prestiti concessi con interessi, presentano diverse implicazioni fiscali che è importante conoscere:
– Reddito Imponibile: gli interessi generati dai finanziamenti fruttiferi costituiscono reddito imponibile per il socio prestatore. Questi interessi devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi del socio;
– Ritenuta d’Acconto: gli interessi sono soggetti a ritenuta a titolo d’acconto, che la società deve trattenere e versare all’Erario;
– Presunzione di Fruttuosità: secondo l’articolo 45 comma 2 del TUIR, per i capitali dati a mutuo, gli interessi si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuita per iscritto. «Se le scadenze non sono pattuite per iscritto, gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo di imposta»[2].
Di seguito, una tabella completa delle aliquote fiscali in Italia per il 2024:
IRES 24%
IVA
Aliquota ordinaria: 22%
Aliquota ridotta: 10%
Aliquota super ridotta: 4%
IRAP
base: 3.9% (ma può variare in base alla regione)
Aliquote Addizionali Regionali e Comunali
Addizionale Regionale IRPEF: varia tra 1.23% e 3.33% a seconda della regione
Addizionale Comunale IRPEF: varia tra 0% e 0.8% a seconda del comune
4.1. Alcune differenze pratiche
La differenza principale tra finanziamento infruttifero e fruttifero riguarda la presenza o meno di interessi:
– Finanziamento Infruttifero
Interessi: non genera interessi.
Documentazione: è importante formalizzare un accordo scritto per evitare la presunzione di fruttuosità.
Implicazioni Fiscali: non ci sono interessi da dichiarare, quindi non incide sul reddito imponibile del socio prestatore.
– Finanziamento Fruttifero
Interessi: genera interessi che devono essere pagati dalla società al socio prestatore.
Documentazione: deve essere chiaramente stabilito un accordo scritto che specifichi le condizioni del finanziamento, inclusi gli interessi e le scadenze.
Implicazioni Fiscali: gli interessi costituiscono reddito imponibile per il socio prestatore e sono soggetti a ritenuta a titolo d’acconto. La società deve trattenere e versare questa ritenuta all’erario.
Accordo Scritto: è fondamentale avere un accordo scritto che stabilisca chiaramente le condizioni del finanziamento, inclusi gli interessi e le scadenze, per evitare contestazioni fiscali.
Documentazione: mantenere una documentazione accurata e trasparente è essenziale per dimostrare la natura del finanziamento e gli interessi percepiti.
5. I finanziamenti dei soci nella S.r.l.
La disciplina delle società a responsabilità limitata (S.r.l.) contenuta nel codice civile prevede una norma specifica per il rimborso dei finanziamenti effettuati dai soci nei confronti della società. Secondo l’articolo 2467 del codice civile, i finanziamenti dei soci sono quelli concessi in un momento in cui, considerando il tipo di attività della società, vi è un eccessivo squilibrio tra l’indebitamento e il patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria in cui sarebbe stato più ragionevole un conferimento di capitale.
La norma individua due criteri principali per qualificare i finanziamenti:
«Eccessivo squilibrio tra i debiti della società e il suo patrimonio netto».[3]
Condizioni finanziarie della società che avrebbero richiesto un conferimento di capitale.
Questi criteri indicano situazioni in cui la società ha una carenza di mezzi propri rispetto a quanto necessario per raggiungere i suoi obiettivi. Il primo criterio preannuncia un deficit finanziario che potrebbe portare la società a una crisi, mentre il secondo suggerisce che la società avrebbe dovuto capitalizzarsi piuttosto che ricorrere al credito. «Quando i finanziamenti sono legati a queste situazioni, il loro rimborso avviene secondo le modalità previste dal primo comma dell’articolo 2467 del codice civile: il rimborso è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito»[4].
Questa norma tutela i creditori sociali rispetto ai debiti contratti dalla società con i propri soci in situazioni critiche, in cui la società avrebbe dovuto agire diversamente.
L’art. 2647 c.c. si riferisce ai finanziamenti “in qualsiasi forma effettuati”. Tuttavia, ci sono opinioni contrastanti su cosa esattamente siano:
Crediti scaduti ed esigibili: potrebbero costituire finanziamenti se si assume un’interpretazione letterale della norma;
Finanziamenti in natura: «esulerebbero dall’ambito di applicazione della norma, poiché questa si riferisce alla restituzione di una quantità monetaria»[5];
Contratti di leasing finanziario: inclusi tra le forme di finanziamento, poiché determinano la resa del canone periodico nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento e la conseguente postergazione del residuo;
Versamenti in conto capitale: esclusi, poiché non costituiscono obbligo di restituzione.
6. Finanziamento dei soci nelle società per azioni (S.p.A.)
L’unica disciplina specifica per i finanziamenti dei soci nelle S.p.A. si trova nell’articolo 2497-quinquies, che riguarda i finanziamenti tra società dello stesso gruppo. Quando una società del gruppo che ha la direzione e il controllo presta denaro, si applica l’articolo 2467 del codice civile. Questo limita la pratica di distribuire in modo diseguale il rischio d’impresa tra le società del gruppo.
I finanziamenti dei soci, a differenza dei versamenti fuori capitale, non vengono acquisiti dal patrimonio della società e non sono a sua completa disposizione. Ecco come possono essere utilizzati nelle operazioni sul capitale:
Aumento del capitale a pagamento: «è dibattuta la possibilità di utilizzare la compensazione, dove il socio può compensare le somme destinate all’aumento con quelle dovute dalla società a titolo di finanziamento»[6].
Aumento gratuito del capitale: non può essere effettuato mediante finanziamenti dei soci, poiché questi costituiscono un debito della società.
Riduzione del capitale: i finanziamenti non possono essere utilizzati per queste operazioni.
7. Conclusioni
L’esame dei bilanci delle relative società (di persone, in accomandita per azioni, per azioni, a responsabilità limitata), a nostro avviso, ha la capacità di mettere in luce l’insufficienza assoluta del sistema del finanziamento dei soci, per valutare l’adeguatezza delle operazioni finanziarie societarie. In sostanza, abbiamo avuto modo di constatare che i principi giuridici sembra che siano perfettamente allineati con le esigenze dei riscontri di bilancio, ma invero, un approfondimento, benché superficiale, del finanziamento effettuato dai soci (o che si presume da questi effettuato), mette in luce che in molte circostanze gli strumenti giuridici per evitare i falsi in bilancio o per evitare la sottrazione di somme sono assolutamente inadeguati. Si consideri che l’Agenzia delle Entrate per individuare il quantum delle somme realmente finanziate riesce, di norma, soltanto ad appurare che il bilancio è stato alterato facendo emergere somme finanziate o sottratte in assenza di riscontri oggettivi.
Sono fatti salvi i pochi casi di contribuenti ingenui, che nonostante siano nullatenenti, effettuano transazioni con le società, in evidente contrasto con le capacità reddituali dichiarate. Non è superfluo far presente che sono numerose le società di capitali in cui due soci paritetici versano nelle casse della società un apporto di un milione di euro, pur non avendo dichiarato redditi o avendone dichiarato che possono coprire a malapena l’ISEE. A fronte delle contestazioni dell’Amministrazione finanziaria il socio finanziatore tendenzialmente dimostra una insuperabile fantasia per giustificare se stesso. Queste disarmonie si verificano soprattutto nelle imprese di piccole e medie dimensioni, dove non esiste l’obbligo di redigere il bilancio dei flussi di cassa, rendendo impossibile il riscontro dei finanziamenti effettivamente compiuti dai soci.
Al problema si è cercata una relativa soluzione con una pronuncia della Cassazione, che ha reintrodotto nel nostro ordinamento l’obbligo della delibera assembleare del finanziamento soci.
[1] Delibera del finanziamento dei soci: se manca sono ricavi occulti, da consulenzalegaleitalia.it
[2] S. Carollo, Il trattamento fiscale degli interessi per finanziamenti dei soci alla società, da Fisco e tasse
[3]I finanziamenti dei soci: una guida completa, da consulenzalegaleitalia.it
[4] I finanziamenti dei soci: una guida completa, cit.
[5] I finanziamenti dei soci: una guida completa, cit.
[6] I finanziamenti dei soci: una guida completa, cit.
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