Il fine di terrorismo si deve fondare sull’idoneità dell’azione
Sommario: Abstract – 1. Il contesto del d.lgs. 107/2023 – 2. L’interpretazione sul “contenuto a fine di terrorismo” – 3. La valutazione dei “contenuti” nel quadro dell’articolo 21 della Costituzione – 4. I limiti “di fatto” al diritto di difesa – 5. Il “fine di terrorismo” nella sentenza della Cassazione Penale 49792/2023 – 6. I rischi di incostituzionalità del d.lgs. 107/2023
La sentenza Cass. Pen. n. 49792/2023: “il fine di terrorismo si deve fondare sull’idoneità dell’azione”.
Una lettura parallela del D.Lgs. 24 luglio 2023 sul contrasto alla diffusione on line di “contenuti che possano avere una correlazione con le attività di proselitismo e di propaganda terroristica”.
di Michele Di Salvo
Abstract
Il D.Lgs. 24 luglio 2023, n. 107 pubblicato nella G.U. n. 187 dell’8 agosto 2023 introduce nuove disposizioni per il contrasto alla diffusione on line di “contenuti che possano avere una correlazione con le attività di proselitismo e di propaganda terroristica”. Se è vero che lo strumento richiesto per il contrasto ai fenomeni di terrorismo internazionale – specie nella forma della diffusione di materiali di propaganda, ovvero contenuti che possano avere una correlazione con le attività di proselitismo e di propaganda terroristica – è di tipo certamente amministrativo, poco si presta la dinamica amministrativa a sostituire la materia penale, con l’intero impianto di garanzie, pesi e contrappesi e controlli che lo stesso implica. Considerazioni anche più evidenti alla luce della sentenza Cass. Pen. n. 49792/2023 che ha chiarito come “il fine di terrorismo si deve fondare sull’idoneità dell’azione” e che “la finalità non può limitarsi a un fenomeno esclusivamente psicologico, ma deve materializzarsi in un’azione idonea a realizzare i fini tipici previsti dalla norma”.
1. Il contesto del d.lgs. 107/2023
Il D.Lgs. 24 luglio 2023, n. 107 pubblicato nella G.U. n. 187 dell’8 agosto 2023 introduce nuove disposizioni per il contrasto alla diffusione on line di “contenuti che possano avere una correlazione con le attività di proselitismo e di propaganda terroristica”.
Tale intervento normativo introduce un adeguamento dell’ordinamento interno alle disposizioni contenute nel Regolamento (UE) 2021/784 sul contrasto della diffusione di contenuti terroristici on-line.
L’attività di prevenzione e repressione del terrorismo, soprattutto, internazionale sconta difficoltà ed articolazioni simili a quelle già affrontate in materia di contrasto alla criminalità organizzata: la dematerializzazione delle condotte illecite, le amplissime opportunità offerte dalla rete che favoriscono fenomeni di penetrazione e diffusione.
Attraverso la rete, nelle sue molteplici articolazioni (dalle più diffuse e semplici alle più sofisticate come le reti chiuse e crittate) si realizzano scambi di utilità e di informazioni rispetto alle quali le autorità non dispongono sempre di adeguati mezzi tecnologici.
E questo grazie al fatto che le organizzazioni criminali sempre più allargano il raggio delle competenze di cui si servono, oltre i classici colletti bianchi, anche e soprattutto a tecnici informatici e delle telecomunicazioni.
Il decreto in commento trae origine dalla delega di cui all’art. 15 della L. 4 agosto 2022, n. 127 («Legge di delegazione europea 2021») con cui erano stati definiti i principi e i criteri direttivi per l’esercizio dell’attività legislativa di Governo.
Il primo strumento di contrasto è rappresentato dall’emissione degli ordini di rimozione (o.d.r.) in conformità di quanto imposto agli Stati membri dall’articolo 12, paragrafo 1, lettere a) e b), del Regolamento (UE) 2021/784.
La disciplina della materia si può così sintetizzare:
a) l’autorità competente di ogni Stato membro ha facoltà di emettere un ordine di rimozione imponendo ai prestatori di servizi di rimuovere contenuti terroristici o di disabilitare l’accesso a contenuti terroristici in tutti gli Stati membri; per dare modo al prestatore di servizi di hosting di attivarsi tempestivamente prima dell’adozione dell’o.d.r. è previsto che tale autorità dia informazioni sulle procedure e sui termini applicabili almeno 12 ore prima;
b) i prestatori di servizi di hosting rimuovono i contenuti terroristici o disabilitano l’accesso ai contenuti terroristici in tutti gli Stati membri il prima possibile e in ogni caso entro un’ora dal ricevimento dell’ordine di rimozione.
Una volta emesso l’o.d.r. il prestatore di servizi di hosting è tenuto a informare immediatamente l’autorità competente circa la rimozione dei contenuti terroristici o della disabilitazione dell’accesso ai contenuti terroristici in tutti gli Stati membri, indicando, in particolare, la data e l’ora della rimozione o disabilitazione; parimenti procede allorquando «per cause di forza maggiore o di impossibilità di fatto a lui non imputabile, compreso per motivi tecnici o operativi obiettivamente giustificabili» non possa dare esecuzione all’ordine.
2. L’interpretazione sul “contenuto a fine di terrorismo”
Il primo punto critico è l’articolo 3 che specifica che l’o.d.r. possa essere adottato «quando i contenuti terroristici di cui all’articolo 2, punto 7) del regolamento sono riconducibili a un delitto con finalità di terrorismo» con una clausola di doppio rinvio alla normativa regolamentare e alla legge penale nazionale che non è di così agevole applicazione.
Innanzitutto, il citato articolo 2 punto 7) del Regolamento detta una descrizione dei «contenuti terroristici» particolarmente ampia, prevedendo che vi rientrino quei «materiali» che:
a) istigano alla commissione di uno dei reati di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a i), della direttiva (UE) 2017/541, se tali materiali, direttamente o indirettamente, ad esempio mediante l’apologia di atti terroristici, incitano a compiere reati di terrorismo, generando in tal modo il pericolo che uno o più di tali reati siano commessi;
b) sollecitano una persona o un gruppo di persone a commettere o a contribuire a commettere uno dei reati di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a i), della direttiva (UE) 2017/541;
c) sollecitano una persona o un gruppo di persone a partecipare alle attività di un gruppo terroristico, ai sensi dell’articolo 4, lettera b), della direttiva (UE) 2017/541;
d) impartiscano istruzioni per la fabbricazione o l’uso di esplosivi, armi da fuoco o altre armi o sostanze nocive o pericolose, ovvero altri metodi o tecniche specifici allo scopo di commettere o contribuire alla commissione di uno dei reati di terrorismo di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a i), della direttiva (UE) 2017/541;
e) costituiscano una minaccia di commissione di uno dei reati di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a i), della direttiva (UE) 2017/541
Mentre per alcune fattispecie (v. lettera a ovvero d) la legislazione nazionale prevede espressamente una ipotesi di reato, la nozione di «minaccia di commissione» (lettera e) rinvia a qualcosa di molto meno degli atti preparatori ex art. 56 c.p. e si colloca in un perimetro di estrema imprecisione e ampiezza.
Se per altri Paesi la questione può assumere un rilievo neutro, la circostanza che in Italia sia coinvolta l’autorità giudiziaria nell’applicazione di categoria di tale ampiezza, ai limiti dei poteri di sicurezza pubblica pone problemi non secondari né trascurabili.
La riserva di giurisdizione opera, infatti, anche quale limite esterno all’attribuzione al potere giudiziario di poteri “eccentrici o estranei” al suo controllo che rischiano di coinvolgerlo in compiti di sicurezza che non le competono.
L’elasticità e l’indeterminatezza delle condotte indicate dall’articolo 3 del Regolamento impone adeguate forme di tutela per il rischio che si finiscano con il colpire aree di dissenso sociale e politico. Ciò anche quando queste aree, talvolta, presentino elementi di contiguità con fatti violenti e nondimeno se ne distinguono in maniera identificabile.
Il comma 9 prevede che «i prestatori di servizi di hosting che hanno ricevuto l’ordine di rimozione e i fornitori dei contenuti che, in conseguenza dell’ordine, sono stati rimossi o resi inaccessibili, nei dieci giorni successivi alla conoscenza del provvedimento, possono presentare opposizione innanzi al giudice per le indagini preliminari, che provvede con ordinanza in camera di consiglio a norma dell’articolo 127 c.p.p.
3. La valutazione dei “contenuti” nel quadro dell’articolo 21 della Costituzione
La determinazione della valutazione dei “contenuti” – in un sistema di garanzie costituzionali forti come quella dell’articolo 21 della Costituzione – mal si presta ad una valutazione meramente tecnica di un organo ministeriale (quindi politico) nel combinato con il Pubblico Ministero, che nell’impartire un ordine di rimozione (appellabile ex post al gip) che agisce ex ante rispetto ad un giudizio penale corredato da tutte le garanzie di cui alla relativa procedura.
La gravità del terrorismo non può determinare la perdita delle garanzie costituzionali alla libertà di espressione, e ciò va determinato ex ante con tutte le disamine dei rischi potenziali.
Ciò non esclude che un intervento non sia necessario, anzi era e resta auspicabile, ma la necessità non può determinare l’accettazione di “qualsiasi” intervento normativo, comunque fatto.
La disposizione per cui l’o.d.r. può essere adottato «quando i contenuti terroristici di cui all’articolo […] sono riconducibili a un delitto con finalità di terrorismo» con una clausola di doppio rinvio alla normativa regolamentare e alla legge penale nazionale, lascia una porta interpretativa troppo aperta alla discrezionalità, ed al contempo ancora più aperta alla etero-importazione in forma impropria di fattispecie “di fatto” penali che sono estranee al nostro ordinamento ed ai principi stessi della legge penale, che stabilisce che una fattispecie di reato possa essere introdotta solo con legge.
Peggio quando attraverso la via regolamentare viene introdotta una fattispecie “penale di fatto” ma qualificata nell’ambito – e nei criteri procedurali – meramente e formalmente amministrativi.
4. I limiti “di fatto” al diritto di difesa
Se poi “contiamo” il numero di soggetti – alcuni anche in implicito conflitto – che di fatto si sovrappongono nella gestione della norma (PM, GIP, TAR, Ministero delle imprese, CASA, Procura Antimafia e antiterrorismo – nazionale e distrettuale – Ministero dell’Interno…) più che una estensione delle garanzie, si intravede una restrizione delle stesse, attraverso un meccanismo che anche sotto il profilo delle procedure limita la certezza del diritto e la libertà di difesa.
Il punto non è di lieve portata, perché di fatto attraverso questa enormemente eterogenea ripartizione di “luoghi decisionali”, con le relative procedure, tempi e limiti, di fatto si crea un ginepraio che sia in termini di costi economici, che di dispendio di tempo, limitano di fatto e ipso facto il diritto di difesa, attraverso anche una serie indefinita di possibili rinvii interni anche semplicemente per ragioni dirimenti di concreti conflitti di attribuzione e di competenza, che troverebbero soluzione solo alla fine in Cassazione se non in Corte Costituzionale.
5. Il “fine di terrorismo” nella sentenza della Cassazione Penale 49792/2023
Per comprendere la delicatezza della materia – già prima della entrata in vigore di questo regolamento, e quindi semplicemente nel quadro normativo (penale) preesistente, si consideri la recente vicenda finalmente definita dalla Cassazione Penale con la sentenza n. 49792 (Prima Sezione Penale -14 dicembre 2023) che ha chiarito come “Il fine di terrorismo si deve fondare sull’idoneità dell’azione” e che “la finalità non può limitarsi a un fenomeno esclusivamente psicologico, ma deve materializzarsi in un’azione idonea a realizzare i fini tipici previsti dalla norma”.
Il caso vedeva un uomo essere ritenuto, in primo grado, responsabile penalmente per avere compiuto atti diretti a danneggiare una tensostruttura di un centro vaccinale, applicando fuoco mediante il lancio di alcune bottiglie incendiarie, commessi con finalità di terrorismo in quanto in grado di ostacolare o comunque rallentare la campagna vaccinale relativa alla propagazione del virus Sars Covid.
In appello la sentenza veniva riformata ritenendo insussistente la finalità di terrorismo riconducendo la condotta nel novero del danneggiamento ex art. 635, secondo comma, n. 1, c.p.
A seguito del ricorso presentato dal procuratore generale, la Cassazione ha confermato la sentenza d’Appello.
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità dell’aggravante della finalità terroristica, es art. 270-sexies c.p., non è sufficiente il compimento di una qualsivoglia azione politica violenta, essendo necessario che la condotta sia potenzialmente idonea a creare panico, terrore e diffuso senso di insicurezza nella collettività e sia rivolta ad organi di vertice delle istituzioni o di rilievo costituzionale, in funzione del tentativo di sovvertimento dell’assetto costituzionale o di rovesciamento del sistema democratico (Cass. pen., Sez. I, 27 ottobre 2020, n. 36816).
Per ritenere configurata l’aggravante in oggetto non è sufficiente che il soggetto agente abbia intenzione di recare un grave danno al Paese, ma è necessario che la sua condotta crei la possibilità concreta, per la natura e per il contesto obiettivo dell’azione e degli strumenti di aggressione in concreto utilizzati, che esso si verifichi, nei termini di un reale impatto intimidatorio sulla popolazione, tale da ripercuotersi sulle condizioni di vita e sulla sicurezza dell’intera collettività posto che, solo in presenza di dette condizioni, lo Stato potrebbe sentirsi effettivamente coartato nelle sue decisioni (Cass. pen., Sez. II, 7 aprile 2023, n. 14885).
La corte di merito ha fatto buon uso dei principi di cui sopra, evidenziando che non basta che l’agente abbia l’intenzione di arrecare un grave danno, ma occorre che la sua condotta crei la possibilità concreta, sul piano oggettivo, che esso si verifichi, secondo lo schema di un evento di pericolo concreto, da valutarsi alla stregua del criterio della prognosi postuma, tenendo conto della natura della condotta e del contesto in cui si colloca; il finalismo terroristico non può limitarsi a un fenomeno esclusivamente psicologico, ma deve materializzarsi in un’azione seriamente capace di realizzare i fini tipici descritti dalla norma.
Era da escludere la potenzialità offensiva della condotta, considerata la pochezza dei mezzi utilizzati, dal fatto che solo una delle bottiglie venne scagliata a terra a contatto con la struttura, dalla marginalità della zona in cui venne lanciata la bottiglia incendiaria tali da non poter attribuire al gesto una portata distruttiva dell’intera struttura o di una sua parte essenziale ai fini della sua funzionalità.
Al tempo stesso, era da escludere che la condotta avesse cagionato un danno grave allo Stato, posto che l’eventuale rallentamento della campagna vaccinale in piena pandemia non si verificò, determinandosi unicamente un intensificarsi della sorveglianza; l’azione non poteva, quindi, avere alcuna portata distruttiva per la struttura colpita e non era in grado di mettere a repentaglio l’incolumità di nessuna.
L’assenza di un danno grave per lo Stato fa sì che risulti superflua la verifica se la condotta fosse idonea a perseguire le finalità alternativamente previste dall’art. 270-sexies c.p., ovvero l’intimidazione della popolazione il costringimento dei pubblici poteri a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto e la destabilizzazione o la distruzione di strutture pubbliche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali del Paese.
6. I rischi di incostituzionalità del d.lgs. 107/2023
Il rischio a monte del provvedimento in parola di “adeguamento dell’ordinamento interno” alle disposizioni contenute nel Regolamento (UE) 2021/784 sul contrasto della diffusione di contenuti terroristici on-line è quello che emerge prima facie dal combinato disposto tra lo strumento per cui “l’autorità competente di ogni Stato membro ha facoltà di emettere un ordine di rimozione imponendo ai prestatori di servizi di rimuovere contenuti terroristici o di disabilitare l’accesso a contenuti terroristici in tutti gli Stati membri” e il giudizio monocratico ex ante del Pubblico Ministero sul “contenuto” da rimuovere.
Un sindacato monocratico di legittimità sul contenuto e se questo – anche espresso nelle forme di maggior durezza – sia “lecito” ex art 21 della Costituzione, o ne travalichi i limiti ed al contempo sia idoneo a “recare pericolo in concreto” allo Stato, laddove come abbiamo visto “il fine di terrorismo si deve fondare sull’idoneità dell’azione” e “la finalità non può limitarsi a un fenomeno esclusivamente psicologico, ma deve materializzarsi in un’azione idonea a realizzare i fini tipici previsti dalla norma”.
Un giudizio di merito e nel merito del contenuto che, nel nostro ordinamento e nel quadro complessivo delle garanzie da questo prescritte, compete al giudice in contraddittorio tra le parti nel libero e pieno e completo esercizio di un diritto di difesa che qui è inesistente, se non esercitabile – semmai – ex post, presso il GIP (ovvero quando il contenuto è stato rimosso).
Questo quadro di potere monocratico è ancora più preoccupante alla luce del fatto che, come abbiamo visto, lo spettro dei contenuti definibili come “terroristici” è talmente ampio e dilatato, e (quasi volutamente) non tassativo e definito a priori, che il sindacato del PM finisce con il propendere e trasbordare nella “opinione personale”, in assenza di un parametro legale definito ed ermeneuticamente chiaro.
A meno che non si ammetta – come nei peggiori action movies – che il fine della lotta al terrorismo renda legittima qualsiasi limitazione delle libertà, è evidente che a rischio, nello stesso momento legislativo, vi siano al contempo il diritto ex articolo 21 della costituzione e quelli di difesa (tra cui l’articolo 13 e 24 della Costituzione).
Viene qui un dubbio che va oltre le questioni di diritto.
Se il fine ultimo del terrorismo è quello di sovvertire l’ordine dello Stato (con i suoi diritti e le sue garanzie), non si finisce con un certo tipo di normativa di raggiungere proprio di fatto lo scopo che si voleva evitare?
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