Il folle pericoloso
L’art. 85 del vigente codice penale sancisce la regola per cui: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. E’ imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.
E’ bene specificare sin da subito che la capacità di intendere e di volere di cui all’art. 85 c.p. è altro rispetto alla coscienza e volontà di cui all’art. 42, co. 1 c.p. In tal senso Cass. Pen., Sez. I, 17/07/2008, n. 29968 chiarisce che la coscienza e volontà della condotta richiamate dall’art. 42 c.p. consistono nel dominio anche solo potenziale dell’azione o omissione che possa essere impedita con uno sforzo del volere e sia, quindi, attribuibile alla volontà del soggetto. nel caso dell’art. 85 c.p., invece, la capacità di intendere e di volere non implica la consapevolezza di ledere o di esporre a pericolo di lesione il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice.
In particolare, dunque, la volontà richiesta dall’art. 85 c.p. è una volontà che si proietta sul risultato della condotta commissiva o omissiva; l’art. 42, co 1 c.p., invece, richiede una volontà che sorregga “solo” l’azione o omissione.
Tornando all’art. 85 c.p., se la capacità di intendere è la capacità dell’agente di comprendere il mondo esterno e il valore sociale della propria condotta, la capacità di volere è la sua capacità di autodeterminarsi, cioè di attivare meccanismi di autocontrollo e di orientare il proprio comportamento nel modo più adeguato e ragionevole, rectus di autodeterminarsi secondo i valori di cui sono portatrici le norme penali.
L’imputabilità viene meno se manca anche una soltanto di queste due capacità.
Stando all’art. 88 c.p., “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere”.
Molto semplicemente, quindi, l’infermità mentale è una delle cause di esclusione dell’imputabilità.
Fin qui nulla quaestio. A meno che non si voglia approfondire il concetto di imputabilità, espressamente riconosciuto con il codice Zanardelli del 1889 e che pure, secondo la dottrina moderna, andrebbe rivisto.
Serrando le fila del discorso, il reo infermo di mente non è imputabile, a patto, però, che si tratti di vizio totale di mente. Il reo prosciolto per infermità psichica e socialmente pericolo sarà soggetto all’applicazione di una misura di sicurezza, in particolare al ricovero in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza in virtù dell’art. 222 c.p., la cui rubrica resta “Ricovero in manicomio giudiziario” nonostante già la L. 26 Luglio 1975, n. 354 e il D.P.R. 30 Giugno 2000, n. 230 usassero la locuzione “ospedale psichiatrico giudiziario” e nonostante la recente evoluzione normativa usi la dicitura R.E.M.S. per indicare le nuove residenze.
Di notevole interesse è constatare che il nostro codice penale nulla prevede per il reo affetto da infermità di mente non socialmente pericoloso, quasi a dare per certo che l’infermità mentale sia sinonimo di pericolosità. Ma l’idea che “il folle” sia sempre e comunque pericoloso per la collettività non sembra trovare conferma in alcuna legge e/o statistica. Sembra, piuttosto, un’idea che trova fondamento in un bisogno emotivo di protezione dal “diverso”.
Il folle è diverso, quindi pericoloso.
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dott.ssa Marino Domenica
Laureata in Sociologia e Giurisprudenza
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