Il furto di energia elettrica

Il furto di energia elettrica

L’articolo 624 c.p., rubricato “Furto”, punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa  da 154 a 516 euro chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri.

Il commi successivi dispongono che “Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61, n. 7, e 625”.

Sul reato di furto. Si tratta di un reato comune, perché suscettibile di essere realizzato da chiunque. Condivisa è anche la sua definizione come reato di danno, in quanto, affinchè possa dirsi realizzata la fattispecie, è richiesta l’offesa in senso naturalistico del bene protetto, che, stando alla Cass., SS. UU., n. 40354/2013, non è solo la proprietà- come da impostazione tradizionale-  ma anche la mera relazione di fatto con il bene. Dunque, il soggetto passivo non è il solo titolare del diritto ma anche il semplice detentore della cosa (l’art. 624 c.p., in effetti recita: “Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene…”).

La cosa sottratta deve avere dunque il requisito dell’altruità, nel senso che deve essere di proprietà o in possesso o in detenzione di altri, per cui su di essa l’agente non aveva alcun diritto di esercitare il potere che ha esercitato impossessandosene.

Se ne desume, che, nel caso in cui l’agente si sia impossessato della res derelicta  non possa parlarsi di furto, laddove viene meno l’interesse tutelato e quindi la relazione di fatto intercorrente tra il possessore/proprietario ed il bene. Tuttavia, è bene precisare che se la cosa “trovata” presenta visibili segni di appartenenza altrui trattasi comunque di furto! “Va, infatti, ribadito il principio secondo cui, nell’ipotesi di smarrimento di cose che, come gli assegni o le  carte di credito, conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest’ultimo sul bene smarrito, con la conseguenza che colui che se appropria senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e non quello di appropriazione di cose smarrite” (Cass., Pen., Sez. V, sent. n. 51895/17).

Per cosa mobile, com’è noto, si intende quella cosa che può essere liberamente trasportata da un luogo ad un altro senza che perda la sua funzione sociale. In particolare, la Cass. ha precisato, con sentenze n. 20647/2012 e 19054/2013 che per cosa mobile deve intendersi “qualsiasi entità di cui sia possibile la fisica detenzione, sottrazione, impossessamento o appropriazione”.

L’elemento soggettivo richiesto, affinchè si configuri la fattispecie di reato in esame, è il dolo specifico, dato che la norma richiede espressamente che l’impossessamento della cosa mobile altrui deve avere il fine di trarne profitto per sé o per gli altri.

Dunque, l’agente deve aver agito con coscienza e volontà di sottrarre e impossessarsi della cosa mobile altrui con il fine preciso di trarne un profitto, che può consistere in una qualsiasi utilità o vantaggio, anche di natura non patrimoniale. Tant’è che “la sottrazione di un oggetto, fatta con intento puramente scherzoso non può integrare l’ipotesi di furto, in quanto l’intento ioci causa essendo incompatibile con il fine di trarre profitto, esclude il dolo specifico di detto reato” (Cass., Pen., Sez. II, sent. n. 11027/2004).

La finalità di trarre profitto è uno degli elementi che consente di distinguere il reato di furto da quello di danneggiamento ex art. 635 c.p.: in quest’ultima fattispecie si richiede una condotta che si sostanzi nel distruggere, disperdere, deteriorare o rendere in tutto o in parte inservibili cose mobili (o immobili) altrui.

Tuttavia, con riguardo all’elemento soggettivo, è bene precisare che sembra condivisibile anche l’ipotesi del furto con dolo eventuale (nel caso in cui l’agente abbia commesso il reato accettando l’eventualità che la cosa appartenesse alla signoria di altri).

Ancora, il requisito soggettivo del dolo fa sì che non possa realizzarsi la fattispecie di furto ex art.624 nel caso di errore sull’appartenenza altrui della cosa (sottrarre l’ombrello di Tizio scambiandolo per il proprio fa venire meno il dolo), laddove trova applicazione la regola sancita dall’art. 47 c.p., atteso che  l’errore sul fatto e il dolo si escludono a vicenda:  l’agente si è rappresentato erroneamente un fatto della realtà che corrisponde a un elemento essenziale della fattispecie oggettiva di reato- in questo caso l’altuità della cosa[1]. Mancherebbe, in tal caso, l’animus furandi.

In altre parole, se Tizio ha agito con la convinzione erronea che l’orologio fosse di sua appartenenza, non può aver voluto commettere il furto, in quanto l’errore sul fatto “altruità” della cosa inibisce il momento volitivo del dolo.

Non rileva, invece, ovviamente, l’errore sulla persona del soggetto passivo (sottrarre l’orologio di Tizio credendolo di Sempronio).

Altro aspetto interessante riguarda l’ammissibilità del tentativo ai sensi dell’art. 56 c.p.: per la Giurisprudenza si configura il reato di tentato furto quando la cosa non viene sottratta, rectus è rimasta sotto la sfera di controllo del soggetto passivo (Così Cass., UU., n. 52117/2014), perché il momento consumativo del reato coinciderebbe con il momento in cui la cosa esce dalla sfera della signoria dell’avente diritto o possessore, con la precisazione che risponde del reato di furto consumato e non tentato colui che, pur non essendosi allontanato dal luogo di commissione, abbia occultato la refurtiva sottraendola al controllo della persona offesa (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 2726/2017).

Nello specifico, il reato di furto di energia elettrica. Il co. 2 dell’art. 624 c.p. precisa che si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico.

Il furto di energia elettrica va classificato quale delitto a consumazione prolungata, in quanto è vero che l’evento continua a prodursi nel tempo ma le singole captazioni di energia costituiscono singoli atti di un’unica azione furtiva. “La conseguenza dell’inserimento del furto di energia elettrica in tale categoria di reati, rende le plurime captazioni di energia, successive alla prima, non un post factum penalmente irrilevante, né singole ed autonome azioni costituenti altrettanti furti, bensì singoli atti di un’unica azione furtiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione fino all’ultimo prelievo…” (Cass., Pen., Sez. IV, sent. n. 53456 /2018).[2]

La fattispecie può realizzarsi con varie tipologie di condotte: 1) mediante l’allacciamento abusivo direttamente ai cavi della rete di distribuzione; 2) mediante il collegamento al cavo di alimentazione di un altro utente; 3) mediante manomissione del proprio contatore.

Con riferimento al primo caso, la Giurisprudenza è concorde nel ritenere che debba trovare applicazione la circostanza aggravante di cui all’art. 625 co 2: il cavo allacciato direttamente alla rete di distribuzione impedisce la rilevanza del consumo da parte del fornitore, configurandosi così l’uso del mezzo fraudolento.

Nel secondo caso, quando l’allacciamento è all’altrui contatore, invece, affinchè possa applicarsi l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento, il furto deve essere accompagnato da uno stratagemma idoneo a nascondere l’accadimento al proprietario del bene/fornitore, perché l’allacciamento al contatore altrui sarebbe un elemento costitutivo del reato.

Si segnala, tuttavia, che la Cassazione, con sent. n. 57749/2017, accoglieva il ricorso di una condomina condannata in primo e secondo grado per essersi impossessata di energia elettrica sottraendola al condominio di cui era parte la sua abitazione. Nel caso di specie, alla donna veniva imputato il reato ex art. 624 c.p. con l’aggravante ex art. 625 co. 2 c.p. (con violenza sulle cose), perché l’impossessamento avveniva mediante due fili collegati all’impianto delle luci delle scale. Poiché la ricorrente era nel possesso dell’energia, insieme agli altri condomini, la condotta oggetto di contestazione, affermava la Corte, andava  ricondotta al reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. e non al reato di furto. Dunque accoglieva il ricorso e, riqualificando il fatto come appropriazione indebita, annullava la sentenza impugnata, perché l’azione penale non poteva essere esercitata per mancanza di querela.

Nel caso di specie la signora era, come gli altri condomini, nel possesso dell’energia!

Se l’allacciamento abusivo avviene mediante manomissione del proprio contatore, invece, dovrebbe parlarsi di truffa ai sensi dell’ art. 640 c.p. E’ quanto sostiene la dottrina maggioritaria ma anche quanto asseriva la Corte di Cassazione con sentenze n.1328/1989 e n. 1102/1989, perché nella manomissione del contatore, più che l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento, si concretizzerebbero gli artifizi e raggiri espressamente previsti dalla fattispecie del reato di truffa.

Tuttavia, tale originaria impostazione non sembrerebbe ben coniugarsi con le recenti pronunce: “In tema di reati contro il patrimonio, è configurabile il delitto di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento allorquando lo spossessamento si verifica invito domino, mentre ricorre la truffa nel caso in cui il trasferimento del possesso della res si realizza con il consenso, seppure viziato dagli altrui artifici o raggiri, della vittima. (Cass., Pen., Sez. V, sent. n. 22842/19).

Ciò detto, in caso di furto di energia elettrica mediante manomissione del contatore, non è insolito che l’imputazione avvenga ai sensi degli artt. 624 e 625 n. 2, perché suddetta manomissione è letta come il concretizzarsi dell’aggravante “violenza sulle cose”, da intendersi come quell’energia fisica su una cosa, così che la stessa risulta danneggiata, trasformata o resa inidonea alla sua destinazione.

L’aggravante della violenza, infatti, richiama i comportamenti di danneggiare, trasformare o mutare la destinazione di una cosa previsti all’art. 392 c.p. (Così Cass., Pen., Sez. V, sent. n. 6762/2015 e Cass., Pen., Sez. VI, sent. n. 4373/2008).

Infine, è interessante il chiarimento che la Cassazione offre con una recente pronuncia: in caso di furto di energia elettrica non può essere invocato lo stato di necessità ex art. 53 c.p. quale causa di giustificazione, perché, in caso di gravi difficoltà economiche, è pur sempre possibile vedersi garantiti i bisogni primari da parte degli enti predisposti all’assistenza sociale (Cass.Pen., Sez. V, sent. n. 994/2018).


[1] Per una definizione di “elementi significativi della fattispecie” si veda Corte Cost., sent. n. 1085/88. In quell’occasione la Corte fu chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale dell’art. 626 c.p.- furto d’uso.
[2] Con la medesima pronuncia viene “riaffermato il principio secondo cui il termine di prescrizione del delitto di furto di energia elettrica decorre dall’ultima delle plurime captazioni di energia, che costituiscono i singoli atti di un’unica azione furtiva a consumazione prolungata”.


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