Il genitore non corrisponde il mantenimento al figlio? No alla duplicazione delle sanzioni

Il genitore non corrisponde il mantenimento al figlio? No alla duplicazione delle sanzioni

In contesti di separazione o di divorzio, specie di natura contenziosa e con spiccati livelli di litigiosità, è sovente che il genitore onerato dell’obbligo di corrispondere il mantenimento per i propri figli, ometta di adempiere spontaneamente.

Tale situazione, seppur moralmente riprovevole, non è così rara, specie in contesti ove il genitore non collocatario utilizzi questi metodi per porsi in maniera ancora più conflittuale o ostruzionistica nei confronti dell’altro coniuge, nella convinzione di privare anch’esso degli strumenti necessari al proprio sostentamento.

Ebbene, i rimedi previsti dall’ordinamento per sanzionare la condotta del genitore inadempiente non sono tuttavia tra loro cumulabili e, in particolare, si finirebbe col ricadere nella violazione del principio del ne bis in idem se il genitore inadempiente fosse condannato per il reato di cui all’art. 570-bis c.p. e contestualmente dovesse pagare alla Cassa delle ammende la sanzione pecuniaria di cui all’art. 709-ter c.p.c.

Ma andiamo per ordine.

L’art. 570-bis c.p., introdotto dall’art. 2 del D. Lgs. 01/03/2018, n. 21, incrimina la condotta del coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli, disponendo l’applicazione delle pene di cui all’art. 570 c.p.

Le pene previste dall’art. 570 c.p. sono la reclusione fino a un anno o la multa da € 103 ad € 1.032, pene fra loro alternative.

La ratio della norma è quella di infliggere una sanzione al genitore inadempiente, dando rilevanza penale alla condotta di mancato versamento del mantenimento al figlio, condotta che quindi viene stigmatizzata, munita di una sanzione a carattere pubblicistico e qualificata come condotta socialmente riprovevole.

Detto altrimenti, chi non corrisponde il mantenimento a propri figli commette reato.

L’efficacia deterrente della sanzione penale colpisce il genitore inadempiente, il cui comportamento deve essere segnalato all’Autorità giudiziaria affinché provvedeva al perseguimento del reato di cui all’art. 570 bis c.p.

Diverso ed ulteriore rimedio sanzionatorio è quello previsto dall’art. 709-ter c.p.c., disposizione più risalente e introdotta con la legge nr. 54/2006 sull’affidamento condiviso dei figli.

Tale norma individua la competenza del giudice del procedimento di separazione o divorzio in corso che, mediante ricorso, può essere chiamato a giudicare delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento della prole.

Trattasi di quei disaccordi e contrasti che insorgono di frequente tra i genitori quando si tratta di individuare le modalità attuative dell’affidamento, ossia le forme di esercizio della responsabilità genitoriale, ogni qual volta sia stato pronunciato un provvedimento di affidamento.

Ebbene, quando si verificano gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, il Giudice può modificare i provvedimenti già in essere tra le parti e: 1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro; 4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di € 75,00 a un massimo di € 5.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

Ebbene, proprio con riferimento a quest’ultima ipotesi, una recente pronuncia della Corte Costituzionale (sent. nr. 145/2020) ha affrontato la legittimità costituzionale dell’art. 709-ter c.p.c. sotto diversi profili, fornendone una interpretazione costituzionalmente orientata che ha ridefinito i termini di applicazione della sanzione di cui al comma II nr. 4 della predetta norma.

La Consulta, pur salvaguardando la legittimità della tutela multilivello dei diritti ove si prevede un doppio binario sanzionatorio e confermando la portata sostanziale e non già solo processuale del divieto di bis in idem, quale principio anche accolto dalla CEDU, ha escluso il concorso tra la sanzione amministrativa di cui all’art. 709-ter c.p.c. comma II nr. 4 con il reato di cui all’art. 570-bis c.p.

Infatti, proprio al fine di garantire il rispetto del ne bis in idem, la Consulta ha affermato la natura “sostanzialmente penale” della sanzione civilistica, nonostante sia essa definita espressamente come sanzione amministrativa, al fine di scongiurare che il soggetto inadempiente possa ad essere giudicato (e sanzionato) due volte per l’idem factum.

Ulteriori indici sintomatici di una natura sostanzialmente penale vengono individuati: a) nella gravità della sanzione pecuniaria irrogabile sino ad un importo massimo di 5.000 euro – da valutarsi nello specifico contesto di misure irrogate in ambito familiare; b) la natura pubblicistica e deterrente della sanzione che è corrisposta in favore della Cassa delle ammende.

La giurisprudenza costituzionale ha precisato che essa realizza “una forma di indiretto rafforzamento dell’esecuzione delle obbligazioni di carattere infungibile. Si tratta di obbligazioni il cui adempimento dipende in via esclusiva dalla volontà dell’obbligato e l’esecuzione indiretta si realizza, previa necessaria istanza di parte, attraverso un sistema di compulsione all’adempimento spontaneo prevedendo, in mancanza dello stesso, l’obbligo di corrispondere una somma in favore dello Stato.” (Corte Cost. Sent. nr. 145/2020).

Ebbene, per scongiurare la duplicazione di sanzioni che si realizzerebbe ove un soggetto inadempiente fosse chiamato a rispondere sia in sede penale della fattispecie di cui all’art. 570-bis c.p. che in sede civile della sanzione di cui all’art. 709-ter c.p.c. comma II nr. 4, la Consulta ha statuito che: “il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento della prole, nella misura in cui è già sanzionato penalmente, non è compreso nel novero delle condotte inadempienti per le quali può essere irrogata dall’autorità giudiziaria adita la sanzione pecuniaria “amministrativa” in esame. Le condotte suscettibili di tale sanzione sono infatti “altre”, ossia le tante condotte, prevalentemente di fare infungibile, che possono costituire oggetto degli obblighi relativi alla responsabilità genitoriale e all’affidamento di minori.

Sotto un profilo di più ampio respiro, anche la giurisprudenza di merito ha chiarito che lo strumento di cui all’art. 709-ter c.p.c. è preposto alla soluzione di situazioni c.d. di macroconflittualità genitoriale, nelle quali il mancato perfezionamento dell’accordo tra i genitori esercenti la responsabilità genitoriale “sia accertato come insuperabile e che lo stesso integri, attraverso un significativo blocco delle funzioni decisionali inerenti alla vita del soggetto minore, un consistente pregiudizio dei suoi più pregnanti interessi.” (cfr. Trib. Milano Sez. IX Civile Ord. 23/03/2016).

Detto strumento legislativo è strumentale a fornire un rimedio estremo al Giudice, nell’interesse esclusivo della prole di età minore, da intendersi come intervento del tutto residuale, per i casi nei quali qualsiasi tentativo di accordo con i genitori sia definitivamente accertato come infruttuoso, specie ove il disaccordo sia destinato a ripercuotersi sul minore in termini di serio, oggettivo ed altrimenti inemendabile pregiudizio (cfr. Trib. Milano Sez. IX Civ. Decreto 05/12/2012).

Diversamente, un utilizzo ampio dello strumento di cui all’art. 709-ter c.p.c. in contesti conflittualità fra genitori, anche in ipotesi di ampia difformità di vedute e/o di orientamenti educativi, finirebbe per svuotare di contenuto lo stesso esercizio della responsabilità genitoriale da parte dei genitori, concentrandone l’esercizio per le questioni di maggior rilievo, nella figura istituzionale del Giudice, accumulandone la responsabilità in capo all’organo giudiziario.

Orbene, la delicatezza e rilevanza del contesto in cui avvengono tali controversie impone una particolare lungimiranza e apertura di vedute: l’esigenza di porre l’interesse dei minori coinvolti al centro della vicenda processuale di separazione o divorzio, imporrebbe di escludere il ricorso a rimedi in sé e per sé sanzionatori e non riparativi, dovendosi preferire la via più breve ed efficace ad ottenere la corresponsione di quanto dovuto a titolo di mantenimento, scongiurando ulteriori azioni non idonee a coartare l’adempimento del genitore inadempiente.


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Arianna Monelli

Laureata in Giurisprudenza con lode presso l'Università degli studi di Ferrara, con una tesi in Teoria generale del diritto dal titolo "Contrattualizzare la gravidanza: la maternità surrogata tra dibattito biogiuridico ed evoluzione giurisprudenziale". Ho svolto la pratica forense presso uno studio di diritto civile e contestualmente tirocinio ai sensi dell'art. 73 d.l. 69/2013 c/o Ufficio GIP/GUP del Tribunale di Ferrara. Ho conseguito nel settembre 2019 l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Bologna Attualmente esercito la professione di avvocato presso il Foro di Mantova

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