Il giornalista e la legittimazione all’accesso

Il giornalista e la legittimazione all’accesso

Con sentenza n. 3631 del 12  agosto 2016, il Consiglio di Stato torna a pronunciarsi sul tema dei requisiti necessari a legittimare l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi della legge n. 241 del 1990.

Come noto, l’accesso è definito dall’articolo 22 della legge 241 del 1990 quale il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi e si configura, alla luce della riforma di cui alla legge n. 69 del 2009, quale principio generale dell’attività amministrativa, preordinato a garantire finalità di pubblico interesse.

Tale posizione è, infatti, strumentale a favorire la partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo, ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’attività amministrativa e a garantire l’attuazione del diritto alla difesa, presidiato costituzionalmente dall’articolo 24.

Al fine di contemperare l’esigenza di trasparenza dell’azione amministrativa con il principio di buon andamento, di cui all’articolo 97 della Costituzione, e trovare un punto di equilibrio tra la legittimazione del privato ad accedere agli atti amministrativi e quella della amministrazione a non appesantire inutilmente i propri apparati e le proprie procedure, il legislatore ha sancito, all’articolo 24, comma 3, della legge 241/1990, il divieto di accesso esplorativo, ossia dell’accesso finalizzato a un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni, riconoscendo la legittimazione ad accedere solo a soggetti che presentino un interesse attuale, diretto, concreto e serio e corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata.

Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato è chiamato a esprimersi in ordine alla possibilità di considerare l’esercizio della professione giornalistica (e il possibile interesse di potenziali lettori a una informazione in ordine a un determinato tema) elementi idonei a fondare una posizione di legittimazione qualificata all’accesso ai documenti.

L’ordito motivazionale del Supremo Consesso si snoda attraverso una ricostruzione della libertà di informazione e della delicata tematica dei rapporti tra il diritto di accesso e l’esercizio della professione giornalistica e ridefinendo il nesso di strumentalità tra questi.

Esso “si sostanza non già reputando il diritto di accesso quale presupposto necessario per la libertà di informare, ma nel suo esatto opposto”: in altri termini,  solo ove il diritto di accesso viene esercitato nei limiti previsti dalla norma si può concretamente realizzare il diritto a essere informati.

Il Supremo Consesso, pur richiamando l’orientamento giurisprudenziale[1] che configura il diritto di accesso quale posizione strumentale rispetto alla libertà di informazione, costituzionalmente riconosciuta agli organi di stampa e le testate giornalistiche quali soggetti titolari di una posizione qualificata e differenziata alla conoscenza degli atti non riservata alla P.A. che possono interessare i propri lettori, rileva che tale assunto non costituisce un principio generale, dovendosi considerare l’ambito soggettivo e quello oggettivo prescritti dalla legge disciplinante la tutela dell’accesso.

In altri termini, va condotta, di volta in volta, un’indagine circa la consistenza della situazione legittimante all’accesso e la relativa valutazione va articolata nel rispetto della disciplina normativa di riferimento, ossia gli articoli 22 e ss. della legge 241/90.

Attraverso tale iter logico, il Collegio addiviene a ribadire il principio, già espresso in precedenti pronunce[2], a mente del quale la titolarità di una situazione giuridicamente tutelata non è di per sé sufficiente affinché l’interesse possa considerarsi diretto, concreto e attuale, come richiesto dalla normativa relativa all’accesso, dovendo dimostrarsi in concreto che gli atti oggetto dell’istanza siano in qualche modo collegati alla situazione giuridica tutelabile.

Diversamente opinando, ovvero considerando l’esercizio dell’attività giornalistica e il fine di svolgere un’inchiesta di per sé sufficienti a legittimare l’accesso, si finirebbe per dilatarne oltre modo la portata applicativa, introducendo una sorta di inammissibile azione popolare sulla trasparenza dell’azione amministrativa, che la normativa sull’accesso non conosce.

Sulla base delle predette considerazioni, il Supremo Collegio addiviene a ribadire il principio in virtù del quale il diritto di cronaca costituisce presupposto fattuale del diritto a essere informati ma non è di per sé solo idoneo a legittimare il soggetto all’accesso, sulla base dei requisiti definiti dalla legge 241/90.


[1] Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 1996, n. 570.

[2] Cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 22 settembre 2014, n. 4478.


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