Il giudicato amministrativo ed il principio dell’effettività della tutela

Il giudicato amministrativo ed il principio dell’effettività della tutela

Sommario: 1. Definizione di cosa giudicata – 2. Tipologie di sentenze – 3. Efficacia delle sentenze – 4. Tipologie di giudicato – 5. Limiti soggetti del giudicato amministrativo – 6. Il giudizio di ottemperanza

 

1. Definizione di cosa giudicata

La forza di cosa giudicata di una sentenza costituisce un principio dell’ordinamento interno e sovranazionale.

Preliminarmente va chiarito che col termine “cosa giudicata” si fa riferimento ad una pronuncia giurisprudenziale non più soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione in quanto o sono decorsi i termini per il loro esperimento ovvero sono stati proposti senza successo tutti i rimedi previsti dall’ordinamento per contestare quanto stabilito in sentenza. La sentenza costituisce l’esito di un giudizio, ossia lo strumento attraverso il quale il giudice, in virtù del suo potere decisorio, stabilisce, con effetto vincolante fra le  parti, la regola disciplinante la situazione controversa. Dal tenore normativo è agevole dedurre che nella circostanza in cui quanto statuito dalla sentenza diviene incontrovertibile si è dinnanzi all’istituto del giudicato.

2. Tipologie di sentenze

Il lessico tradizionale distingue  tre tipologie di sentenze: interlocutorie, definitive e non definitive. Le sentenze si definiscono interlocutorie quando esplicano i loro effetti solo in sede processuale (si pensi all’ordinanza con cui il giudice provvede all’acquisizione dei mezzi istruttori). Le sentenze non definitive sono quelle che statuiscono su una questione comportando il prosieguo del processo per la definizione delle questioni non decise attraverso la sua pronuncia. Le sentenze definitive sono quelle con le quali il giudice decide in ordine a tutti i punti controversi della causa ponendo fine alla controversia dinanzi a lui radicata.

3. Efficacia delle sentenze

Con riferimento all’efficacia delle sentenze è possibile operare una bipartizione delle stesse distinguendo l’efficacia endoprocessuale da quella extraprocessuale. Gli effetti  correlati alla sentenza saranno endoprocessuali, e come tale idonei a produrre ed esaurire  i propri effetti solo all’interno del processo, qualora il giudice abbia emesso una sentenza interlocutoria. Diversamente, nel caso di sentenze definitive ovvero non definitive decidenti sul merito, gli effetti  si esplicheranno, oltre che nella sede processuale di riferimento, anche nella realtà materiale, sicché la sentenza avrà un’efficacia extraprocessuale. Parte della dottrina ha individuato, accanto alle suddette tipologie, l’efficacia panprocessuale in seno alle pronunce della Cassazione in quanto le stesse sono ontologicamente orientate a costituire un precedente con riferimento alle medesime domande nei successivi processi.  Per completezza occorre precisare che l’efficacia di dette sentenze è più limitata rispetto a quella extraprocessuale in quanto inidonea a produrre effetti al di fuori del processo. Alla luce di quanto sopra è chiaro che, secondo lo schema tradizionale, l’efficacia correlato alla sentenza dipende dal tipo di accertamento (di rito o di merito) trasfuso in sentenza. A riguardo l’articolo 36 comma 1 cpa ha superato la tradizionale tripartizione sostituendo alle sentenze interlocutorie le ordinanze che, a norma della citata disposizione, saranno emesse dal giudice “in tutti i casi in cui non definisce nemmeno in parte il giudizio”. Da ciò ne deriva che le sentenze amministrative sono produttive di effetti extraprocessuali e non anche endoprocessuali.

L’efficacia extraprocessuale, in sede amministrativa, viene tripartita in base agli effetti prodotti. La sentenza del g.a. ha effetto costitutivo se la conseguenza ad essa collegata è l’eliminazione dell’atto gravato, diversamente, l’effetto è di tipo preclusivo nel caso in cui da essa discenda l’obbligo in capo alla p.a. soccombente di ripristinare, a favore della parte privata vittoriosa, la situazione vigente precedentemente all’emanazione dell’atto illegittimo. Peculiare è, infine, l’effetto conformativo collegato al riconoscimento in capo alla p.a. soccombente di un margine di discrezionalità circa la possibilità di tornare sull’atto oggetto dell’annullamento.

4. Tipologie di giudicato

Premesse tali doverose considerazioni in luogo alla tipologia, all’efficacia ed agli effetti delle sentenze, si evidenzia che l’istituto del giudicato, ricollegato indiscutibilmente all’esistenza di una sentenza, è frutto dell’ermeneutica di alcune disposizioni codicistiche sostanziali e di rito. In virtù dell’assenza nel codice processuale amministrativo di disposizioni ad hoc e del rinvio operato dall’articolo 39 cpa ci si è interrogati circa l’applicabile anche in sede amministrativa di quanto statuito, con riferimento all’istituto del giudicato, dal codice civile e di procedura civile. Il tenore normativo dell’articolo 324 cpc, come anticipato, attribuisce efficacia di cosa giudicata formale alla “sentenza non più soggetta né a regolamento di competenza né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione” ordinaria. Tale disposizione delinea il cd giudicato formale  consistente dell’incontrovertibilità della pronuncia giudiziale quale conseguenza del mancato esperimento degli strumenti di impugnazione ordinaria o del decorsi infruttuoso dei termini per la loro proposizione.  Dalla disposizione sopracitata si deduce che la sentenza passata in giudicato può essere impugnata solo con gli strumenti della revocazione straordinaria, disciplinata dall’articolo 396 cpc, ovvero con l’opposizione di terzo di cui all’articolo 404 comma 1 cpc. L’articolo 2909 c.c. dispone che la sentenza passata in giudicato“fa stato ad ogni effetto fra le parti, i loro eredi o aventi causa” cristallizzando l’istituto del giudicato di tipo sostanziale. Ai sensi di tale prescrizione il dictum acquista valore sostanziale  sicché si verifica una condizione immutabile della controversia. Si è discusso circa la configurabilità, in sede amministrativa, del giudicato sostanziale stante l’imprescrittibilità dell’esercizio del potere amministrativo. La p.a., non consumandosi il potere ad essa riconosciuto, può tornare sull’atto dichiarato illegittimo emanando lo stesso atto decurtato dai vizi che ne hanno comportato l’illegittimità. La dottrina processualistica, a riguardo, ha affermato che il potere di riesercizio della p.a., in funzione di disciplina del rapporto fra le parti, non è idoneo ad incidere sul giudicato sostanziale in quanto non capace di compromettere la protezione della situazione giuridica discendente dal giudicato materiale. In dottrina si è utilizzata la locuzione di giudicato a formazione progressiva stante la flessibilità del giudicato amministrativo quale conseguenza del principio di continuità amministrativa posto che il giudicato si realizza con l’ultimo atto satisfattista che da piena tutela alla parte. Il giudicato di tipo sostanziale, tuttavia, può essere “rotto” dallo ius superveniens.  

Le peculiarità inside al diritto amministrativo ci potrebbero  condurre all’affermazione che il giudicato nello ius administrativus, a differenza di quanto accade nel diritto civile, non copre il deducibile ma solo il dedotto. Ai  fini di completezza espositiva si adduce che col principio generale secondo il quale “il giudicato copre il dedotto ed il deducibile” si fa riferimento all’idoneità  della sentenza definitiva di “ far stato” non solo per quel che concerne le tematiche affrontate espressamente nel giudizio, ma anche in relazione a tutte le questioni strettamente connesse, nonché preliminari, alle statuizioni oggetto di giudicato così come consacrato dal principio del giudicato implicito. In senso positivo, in ordine al riconoscimento del giudicato implicito, si pone l’articolo 9 cpa il quale dispone che il difetto di giurisdizione “ nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della sentenza che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione”. In riferimento a tale questione sono intervenute le Sezioni Unite operando un espresso riconoscimento dell’istituto de quo. Nello specifico gli Ermellini, con riferimento all’interpretazione dell’articolo 37 cpc, hanno statuito che il difetto di giurisdizione non è valutabile in caso di giudicato implicito formatosi in ordine alla competenza giurisdizionale. Nella pronuncia i giudici di legittimità hanno chiarito che il giudicato implicito non può, però, coprire le questioni attinenti la nullità degli atti giudiziari derivante dal difetto dei presupposti processuali. In sintesi, in ordine ai limiti oggettivi del giudicato amministrativo, gli effetti del giudizio di legittimità sono circoscritti all’atto amministrativo impugnato ed agli atti ad esso consequenziali anche se non abbiamo formato oggetto di ricorso. Diversamente, avendo il giudizio di legittimità quale oggetto non un atto, ma un rapporto controverso fra privato e pa, il relativo giudicato investe tanto il dedotto quanto il deducibile.

5. Limiti soggetti del giudicato amministrativo

Una problematica è rappresentata dalla demarcazione dei limiti soggettivi del giudicato amministrativo. Dalla lettura del codice civile si evince la relatività del giudicato in quanto tendenzialmente gli effetti della sentenza si producono inter partes. Tale ambito soggettivo incontra delle eccezioni nel giudicato amministrativo di annullamento. A riguardo la giurisprudenza ha elaborato la distinzione fra provvedimento amministrativo ad effetto scindibile e provvedimento amministrativo ad effetto inscindibile. Appartengono alla prima categoria, gli atti plurimi divisibili e l’atto formalmente unitario aventi effetti scindibili. Tali provvedimenti esplicano i propri effetti inter partes. L’esempio di scuola, in ordine a tali provvedimenti, è costituito dall’atto emesso in seguito ad un ricorso avverso l’esclusione concorsuale. Tale provvedimento produce gli effetti nei confronti del solo soggetto che ha proposto il ricorso e non anche nei confronti degli altri corsisti non ricorrenti illecitamente esclusi in quanto qualora si operasse un’estensione dell’effetti vi sarebbe un’ingiustificata rimessioni in termini. In tale ottica, la sentenza amministrativa di annullamento espia gli effetti a favore del ricorrente vittorioso, ma la pubblica amministrazione ha facoltà di estendere tali effetti ai soggetti terzi rispetto al giudizio per ragioni di parità di trattamento e compatibilmente con le proprie risorse economiche. Sono definiti inscindibili, invece, i provvedimenti che, riguardando una pluralità di persone, non possono essere scissi in tante autonome e distinte determinazioni quante sono le persone interessate. Tali provvedimenti (si pensi al provvedimento urbanistico) hanno un’efficacia erga omnes così come, tra l’altro, confermato dal tenore normativo di cui all’articolo 14 n. 3 sul divieto del ricorso straordinario. Va sin da subito chiarito che il terzo, estraneo al contenzioso, ha diritto di non essere pregiudicato dagli effetti della sentenza sicché, ai fini della propria tutela, potrà esperire il rimedio giudiziale dell’opposizione del terzo  e della revocazione straordinaria.

6. Il giudizio di ottemperanza

Sul piano pratico, sebbene l’esecuzione del giudicato amministrativo spetti all’amministrazione, il comportamento omissivo della pubblica amministrazione fa si che il soggetto possa ex articolo 112 cpa intraprendere l’azione di ottemperanza. Il giudizio di ottemperanza, introdotto per la prima volta con la Legge 5992/1889, era circoscritto inizialmente alla tutela dei diritti soggettivi sottoposti alla cognizione del ga nell’ambito della giurisdizione esclusiva. Successivamente tale tutela è stata estesa agli interessi legittimi. In ordine alla natura alla natura del giudizio di ottemperanza si sono tre orientamenti.

Un primo orientamento minoritario ritiene  che il giudicato abbia una natura processuale sostenendo che la giurisdizione estesa al merito sia conseguenza dei suoi poteri sostituivi. Per contrapposto filone, invece, il giudizio di ottemperanza avrebbe natura cognitoria. Tale natura discende dal presupporre il giudice

L’orientamento prevalente è quello che riconosce la natura mista del giudizio di ottemperanza. In tale giudizio, infatti, il giudice accerta l’inadempimento della p.a. ed indica il mezzo necessario a rendere effettivo l’ordine di esecuzione in quanto ne conosce l’iter logico (cognizione).

A tale fase segue quella esecutiva, volta a dare in concreto esecuzione alla sentenza, con l’assegnazione di un termine per provvedere e la nomina di un commissario ad acta che si sostituirà alla p.a  nell’ipotesi di persistente inottemperanza.

Il D.Lgs. 104/2010  specifica,  in relazione ai tipi di sentenza  per le quali agisce in  ottemperanza, se occorra il rispettivo passaggio in giudicato, o sia sufficiente l’esecutività. Prescrivendo all’articolo 30 comma 5 che ai fini della proposizione dell’azione di condanna, i soggetti devono agire  entro 180 mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento.

Occorre osservare che in sede di ottemperanza è richiedibile, ex articolo 614 cpc, la penalità di mora attraverso la quale si ottiene la condanna al pagamento di una somma, pari all’interesse legale, per oggi giorno di ritardo.

Ai sensi dell’articolo 21-septies della L. n. 241/1990, il provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato è nullo. Il  legislatore ha disposto che il giudice competente a conoscere di questa specifica ipotesi di nullità sia il giudice dell’ottemperanza, in quanto giudice naturale dell’esecuzione.


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Chiara Coppolino

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