Il giudicato del Consiglio di Stato contrastante con una pronuncia della Corte EDU e della Corte di giustizia

Il giudicato del Consiglio di Stato contrastante con una pronuncia della Corte EDU e della Corte di giustizia

Un acceso dibattito ha animato la Suprema Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale in relazione al giudicato del Consiglio di Stato che si ponga in contrasto con una sentenza della Corte di Giustizia o con quella sopravvenuta della Corte Edu, violando così i principi europei e quelli della Convenzione Edu.

In particolare, tanto la Cassazione quanto la Consulta hanno evidenziato posizioni differenti in relazione alla tipologia di rimedi esperibili avverso la sentenza del Supremo organo della giustizia amministrativa pronunciata in difformità al diritto dei Trattati ed a quello convenzionale. In relazione a quest’ultimo aspetto, va precisato che l’ordinamento europeo e quello convenzionale si differenziano notevolmente per il grado di preferenza e di effettività che è riconosciuto alle rispettive fonti. Sebbene queste ultime siano entrambe richiamate dall’articolo 117 della Costituzione, soltanto le norme ed i principi comunitari godono di un’efficacia diretta nell’ordinamento italiano, sicché in mancanza di conformità del diritto interno con quello dei trattati europei, le prime potranno essere disapplicate; pertanto, in caso di mancata conformità delle norme del diritto interno con quelle dei trattati europei, le prime potranno essere disapplicate. Ciò si pone in conformità con il principio del primato del diritto comunitario su quello nazionale, salvo il rispetto dei principi costituzionali che si atteggiano a controlimiti.

Il primato del diritto dell’unione europea giustifica a livello processuale la sussistenza dello strumento del rinvio pregiudiziale ex articolo 267 TFUE. Quest’ultimo consente al giudice nazionale di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, la quale potrà operare la corretta interpretazione del diritto comunitario, in modo che la sentenza del giudice interno non sia in contrasto con l’interpretazione espressa della Corte di Giustizia.

In relazione a ciò si pone la problematica del giudicato del Consiglio di Stato contrastante con l’interpretazione della norma comunitaria fornita dalla Corte di Giustizia, per mancanza del rinvio pregiudiziale, di modo che il giudicato del giudice amministrativo di ultimo grado la disattende.

La giurisprudenza di legittimità è intervenuta sugli articoli 106 c.p.a e 395 e 396 c.p. nella parte in cui non prevedono lo strumento della revocazione avverso una sentenza del Cds contrastante con quella emessa dalla Corte di Giustizia ovvero con quella della Corte EDU.

Sul punto è altresì intervenuta la giurisprudenza di legittimità che è pervenuta ad ammettere la possibilità di ricorrere avverso la sentenza del CDS contrastante, attraverso un’interpretazione estensiva dell’articolo 111 comma 8 della Costituzione, e cioè consentendo l’impugnazione del giudicato per i motivi inerenti la giurisdizione.

La Corte di Cassazione in un recente arresto giurisprudenziale ha invece ammesso la ricorribilità di tale giudicato del CDS invocando il principio di effettività della tutela ex articolo 24 della Costituzione.

La Corte Costituzionale in un ultimo arresto, al contrario, bocciando la tesi espressa dalla Suprema Corte di Cassazione, interpretando in maniera restrittiva il concetto di giurisdizione, il quale va inteso come eccesso di potere giurisdizionale, configurabile nelle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione ovvero di difetto relativo di essa.

Invero, la Corte Costituzionale ritiene che il totale stravolgimento del diritto dei trattati dell’Unione Europea operato da una sentenza del Consiglio di Stato non possa rientrare nei motivi inerenti la giurisdizione tali da fondare il ricorso per Cassazione ex art. 111, ultimo comma della Costituzione, neppure laddove la sentenza pronunciata fosse abnorme.

Al contrario la sentenza emessa dall’ultimo grado della Giustizia amministrativa viene considerata dalla Consulta come un caso di violazione di legge per error in procedendo, e cioè per non aver rimesso la questione alla Corte di Giustizia, oppure come error in iudicando per non aver correttamente applicato il diritto dell’Unione europea. Sicché permane l’impossibilità di esperire il rimedio impugnatorio ex articolo 111, comma 8, della Costituzione, non sussistendo in tal caso un vizio di giurisdizione.

Alle medesime problematiche ed alle stesse conclusioni giungono la Consulta e la giurisprudenza di legittimità allorché vi sia un giudicato del CDS contrastante con una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Anche in tal caso la Suprema Corte aveva ritenuto esperibile il ricorso per Cassazione ex articolo 111, comma 8, Cost.. Tuttavia, in tal caso, la Consulta ha ritenuto che la minor cogenza delle norme convenzionali rispetto alle norme comunitarie, poiché pattizie, non giustificherebbe l’utilizzo del rimedio del ricorso per Cassazione.

Ciò in quanto, le pronunce della Corte Edu non sono frutto di un rimedio impugnatorio ma costituisco delle pronunce di mero accertamento della violazione della Convenzione che obbliga gli Stati a porvi rimedio. Proprio per questo si giustifica la possibilità di non prevedere necessariamente dei mezzi impugnatori che producano un effetto ripristinatorio della situazione antecedente alla sentenza.

Invero, nel nostro ordinamento, il rimedio offerto in tali casi sarebbe rappresentato dalla riparazione per equo indennizzo.

Da ciò discende che la Corte Costituzionale avvalora un’interpretazione restrittiva dell’articolo 111, ultimo comma della Costituzione e respinge anche la questione di presunta incostituzionalità degli articoli 106 c.p.a e 395 e 396 c.p.c in relazione agli articoli 117 comma 1, 111  e 24 della Costituzione nella parte in cui non prevedono un’ipotesi di revocazione per le sentenze del CDS quando ciò sia necessario ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.


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