Il lago d’Averno: miti, leggende, storia e archeologia

Il lago d’Averno: miti, leggende, storia e archeologia

Sommario: 1. La porta dell’oltretomba – 2. I miti – 2.1. I giganti – 2.2. I Cimmeri – 2.3. Cerbero – 2.4. L’oracolo e il regno dei morti – 2.5. Il mito di Orfeo – 3. Leggende – 3.1. La strada eraclea – 3.2. La leggenda del delfino Simone – 3.3. La leggenda della fata Morgana – 3.4. Il lago Lucrino, una ricchezza senza fine – 4. Storia – 5. Archeologia – 5.1. Il tempio di Apollo – 5.2. La grotta di Cocceio – 5.3. Il navale di Agrippa – 5.4. Grotta della Sibilla cumana – 6. Un’amara conclusione

1. La porta dell’oltretomba

Situato a settentrione dell’euboica Cuma, nato da un cratere di origine vulcanica, il lago Averno era in un tempo assai remoto ricoperto da una fitta boscaglia, impenetrabile anche ai raggi del sole.

Il senso di mistero e di morte, dovuto alla oscurità dei luoghi e alle venefiche esalazioni di gas, diedero vita ad un singolare intreccio di miti, leggende e culti, che trovarono la loro ninfa vitale nelle immortali pagine degli autori del mondo greco e romano.

Inaccessibile anche agli uccelli e posto dalla natura poco distante dall’antica Puteoli, il lago Averno occupa un posto di primissimo piano nei miti dell’antichità ed apparve agli occhi dei primi coloni greci come una delle principali porte dell’oltretomba.

Il genio virgiliano, in particolar modo, rese immortale il linguaggio dei luoghi, che attendevano soltanto il loro divino cantore.

2. I miti

2.1. I giganti

Presso Omero i Giganti erano una schiatta di uomini smisurati e feroci che abitavano in vicinanza della Trinacria, consaguinei dei Ciclopi e dei Feaci.

In Esiodo essi erano i figli di Gea ed erano sorti dal sangue del mutilato Urano.

Nei poeti posteriori, in particolar modo presso Apollodoro, Diodoro Siculo ed Ovidio, la loro presenza è attestata presso la vasta area flegrea.

Nelle vicinanze del lago Averno, essi ingaggiarono una cruenta battaglia contro Zeus e gli dei dell’Olimpo.

Tutto, nel pantheon greco, sarebbe drasticamente cambiato, se non fosse intervenuto Eracle a capovolgere la situazione a favore di Zeus.

Il mito nasconde lo scontro tra la religione solare rappresentata da Zeus e quella legata agli Inferi e alla Terra.

In seguito a questo scontro, i Giganti sarebbero stati uccisi uno per uno: molti di essi, dopo la sconfitta, sarebbero stati sepolti sotto i vulcani.

2.2. I Cimmeri

Nella “Odissea” si legge che i Cimmeri erano un popolo dell’estremo Occidente, che viveva in un luogo perennemente <<di nebbia e di nubi avvolto>>, dove <<non su di loro il sole guarda con i suoi raggi>>.

L’immortale poeta greco non dà sui Cimmeri una più esatta collocazione geografica e ciò ha dato luogo a suggestive ed oziose ipotesi.

Chi, invece, non ha dubbi e lega la presenza dei Cimmeri ai campi flegrei è il geografo greco Strabone, che addebita ai Calcidesi la loro scomparsa, dovuta anche ad una profezia della Sibilla Cimmeria, che viveva in un antro di quelle rupi scoscese che scendevano presso il lago d’Averno. Anche Plinio il Vecchio parla di un luogo, Cimmeria, situato tra il lago Lucrino e il lago d’Averno. Strabone, poi, riprendendo Eforo, dice che i Cimmeri vivevano in grotte sotterranee collegate fra loro da gallerie, dove accoglievano gli stranieri che si recavano presso l’Averno per consultare l’oracolo dei morti.

Considerati i custodi dell’oltretomba e i detentori di antichissime ed arcane conoscenze divine, i Cimmeri, infatti, traevano gli oracoli dalla Sibilla Cimmeria. Presso il lago d’Averno, stando al racconto liviano, si recò anche Annibale nel 214 a.C., all’indomani della battaglia di Canne.

Da diverse testimonianze si apprende sarebbero usciti dalle loro case ipogee soltanto di notte: tale notizia, secondo alcuni, celerebbe la dedizione di questo popolo all’attività estrattiva delle miniere.

Abbiamo volutamente usato il condizionale, perché una siffatta interpretazione sembra dimenticare che i Cimmeri del lago d’Averno erano Osci campani e sembra ignorare soprattutto che gli Osci tutti abitavano in costruzioni sotterranee, che consentivano ad essi attacchi inaspettati e difese ardue da superare.

2.3. Cerbero

Strettamente legato al lago d’Averno è il gigantesco e sanguinario Cerbero, le cui tre teste rappresentano il tempo nella sua triplice dimensione di presente, passato e futuro.

Figlio di Titone e di Echidna, aveva il compito di sorvegliare l’Averno e di impedire ai morti di uscire da esso.

Soltanto Eracle ed Orfeo riuscirono a domarlo: il primo con la forza, il secondo con l’incanto della lira.

Il messaggio appare evidente: l’ineludibile voracità del tempo, cieca ai dolci richiami della vita, può essere domata, per così dire, soltanto dalla poesia, dono immortale concesso agli uomini, o dalla forza sovrannaturale, che può, talvolta, fermare il corso oscuro che tutti ci travolge.

2.4. L’oracolo e il regno dei morti

La sede oracolare che esisteva presso il lago d’Averno si perde nella notte dei tempi e lo stesso lago era noto come il “dio Averno”.

Presso di esso soggiornava anche Calipso, bellissima ed immortale figlia di Atlante, punita dagli dei per essersi schierata con i Giganti contro Zeus.

Tutti sanno che, secondo Omero, la maga abitava in una profonda grotta dell’isola di Ogigia; ci piace ricordare, però, che in un affresco del terzo secolo d.C., ritrovato a Roma nel 1668, l’isola di Calipso è posta tra l’Averno e il Lucrino.

Mettiamo da parte quella che potrebbe sconfinare in una complessa quanto oziosa questione pseudo-archeologica, ed atteniamoci, invece, ad un dato di fatto: l’ampia zona lacustre di Pozzuoli ebbe almeno fino al secondo secolo a.C. una valenza magica, rituale e religiosa di vastissima portata.

Due inarrivabili poeti, Omero e Virgilio, resero immortale alla memoria dell’uomo la Sibilla cumana e la sua sede oracolare.

Non è lecito, tuttavia, dimenticare che la bellissima fanciulla amata da Apollo subentrò all’arcana sacralità della Sibilla cimmeria, alla quale, per qualche tempo, si era sovrapposto il culto di Iuno Averna

2.5. Il mito di Orfeo

Quella di Orfeo ed Euridice è una storia di amore e di morte straziante e commovente, celebrata e cantata dai più grandi artisti di ogni tempo.

Il binomio bios e tanatos trova nella storia di Orfeo ed Euridice il suo punto più alto ed emblematico. Anteriore ad Omero, mitico personaggio la cui grandezza valica i confini stessi della più accesa fantasia, Orfeo si configura come il più significativo simbolo dell’immortalità della poesia.

Numerose sono le varianti del suo mito, della sua storia d’amore e della sua morte, in parte simile a quella di Osiride.

Anche se struggente e ricca di particolari dal forte rilievo simbolico, la sua storia non ha per noi, in questo contesto, una particolare valenza narrativa.

Interessa, però, evidenziare che diversi ed importanti autori classici collocano la sua discesa agli inferi proprio sul lago d’Averno, che da tempo immemore aveva una sede oracolare legata al culto dei morti.

Non sarà, inoltre, inutile ricordare che Orfeo era considerato anche un potentissimo sciamano, in grado di fungere da tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

3. Leggende

3.1. La strada eraclea

Famosa nei campi flegrei era, presso gli antichi, la strada di Ercole: secondo Strabone, essa partiva dall’attuale Punta Epitaffio e giungeva a Punta Caruso presso Pozzuoli.

Ercole, racconta la leggenda, tornando dalla Spagna, dove aveva sottratto i buoi a Gerione, attratto dalla bellezza dei luoghi, aveva voluto sostare sul litorale flegreo ed aveva costruito una strada, che non esiterei a definire la sua tredicesima fatica: aveva, infatti, creato un istmo che divideva il Tirreno dal lago costiero.

Pertanto, la strada litoranea di collegamento tra Baia e Pozzuoli veniva chiamata via Eraclea ed era ritenuta opera quasi sovrannaturale, dotata essa stessa di un particolarissimo potere: infondere coraggio e forza non comune a chi l’avesse percorsa.

3.2. La leggenda del delfino Simone

Un ragazzo di Baia ogni giorno si recava a piedi a Pozzuoli, per frequentare la scuola. Per una inspiegabile empatia, un delfino prese a seguirlo lungo la fascia costiera.

Dopo qualche tempo tra il ragazzo e il delfino nacque una grande amicizia e il giovane studente chiamava il cetaceo Simone.

Simone attraversando il Lucrino con il ragazzo sul dorso, rendeva agevole e spedito il percorso del giovane studente, all’andata e al ritorno e a lui lo studente di Baia confidava le proprie gioie e le proprie preoccupazioni.

L’amicizia tra i due era perfetta; l’uno comprendeva alla perfezione il linguaggio dell’altro ed ambedue attendevano con gioia e trepidazione il nascere di un nuovo giorno, per rivedersi, stare insieme e…parlare.

Un’improvvisa e crudele malattia portò via il ragazzo; invano il delfino attese, per diversi giorni, l’arrivo del suo giovane amico.

Quando l’intuito gli fece comprendere l’accaduto, fu così grande il dolore che si lasciò morire. La leggenda, in verità era diffusa in tutto l’ampio bacino del Mediterraneo, ma Plinio la collocò nel lago Lucrino, durante il principato di Ottaviano Augusto.

3.3. La leggenda della fata Morgana

La fata delle acque, personaggio della mitologia celtica, da quasi due secoli ha legato il suo nome ad una leggenda sorta sul lago d’Averno.

Tutto ebbe origine una sera di marzo del 1833, durante una battuta di caccia del marchese Giuseppe Ruffo.

L’autore del “Ventotto giugno”, un poemetto in endecasillabi sciolti sul colera che devastò Napoli nel 1837, membro di una delle più importanti famiglie della nobiltà napoletana, ebbe a scrivere:<<Perché avvisandomi trattarsi di una illusione ottica, mi corse alla mente e al labbro la fata Morgana (…). Dove adunque erano ite le acque famose dell’Averno? Esse eransi tramutate in prati di fresca verdura, in alberi belli e dritti>>.

All’epoca le parole del marchese suscitarono un grande clamore, a tal punto che l’Accademia Reale delle Scienze ne fece oggetto di studio, considerata l credibilità del marchese.

Non ci furono risultati, ma le parole del marchese, avvalorate di tanto in tanto da nuove testimonianze, non furono mai dimenticate e divennero ben presto leggenda.

Oggi la leggenda della fata Morgana ha trovato una spiegazione scientifica e si configura come illusione ottica determinata dalla sovrapposizione di diversi strati termici.

Per la serie, però, del “non è vero ma ci credo”, non manca, anzi, sono moti, non manca, dicevo, chi ancora oggi giura di vedere la fata Morgana sulle acque dell’Averno, che, sorridente, invita ad attraversare il prato fiorito, pronto a rivelarsi per quello che è, una liquida lastra di morte.

Il fenomeno dell’apparizione predilige i tramonti e le sere di luna piena.

3.4. Il lago Lucrino, una ricchezza senza fine

Leggendarie erano anche le leccornie che offriva il lago Lucrino, il cui nome deriverebbe dal latino “lucrum”, che significa: guadagno.

Il riferimento etimologico si deve alla ricchezza degli imprenditori locali, che seppero trarre enormi ricchezze dalla coltivazione dei militi, delle ostriche, delle orate e di altri pesci di allevamento.

Leggendarie erano anche le bisbocce, la vita gaudente che si trascorreva nelle lussuose ville del litorale.

4. Storia

I laghi di Averno e di Lucrino avevano originariamente una fisionomia ben diversa da quella attuale: ben più esteso era quello di Lucrino, soprattutto sul versante orientale.

La grande eruzione del Monte Nuovo, avvenuta nel 1535, comportò il ritiro delle acque, che cedettero il passo al più giovane vulcano d’Europa.

Un tempo il lago di Lucrino, ricco di ostriche e pescagione, era parte integrante del golfo cumano, ma in seguito fu separato da esso per mezzo di un argine, in parte naturale, in parte artificiale.

In seguito, Ottaviano Augusto fece tagliare l’argine, per costruire un bacino per alloggiare la flotta militare e il progetto fu affidato a Marco Vispanio Agrippa.

La realizzazione del progetto portò alla costruzione, nel 3 7a. C., del Portus Iulius a Pozzuoli, ma fu necessario scavare ed ampliare un canale di comunicazione tra l’Averno e il Lucrino e tra il Lucrino e il mare.

La rigogliosa vegetazione fu eliminata e l’Averno perse in parte quel senso di mistero e di sacralità: furono creati depositi, magazzini ed infrastrutture di collegamento all’interno del Monte Grillo e un tunnel metteva in comunicazione il doppio bacino con il litorale di Cuma, come appare evidente dalla grotta di Cocceio.

Sotto il monte di Cuma, poi, fu costruita un’altra galleria, la Cripta romana, mentre la più nota di tutte, la cosiddetta “grotta della Sibilla”, diede la possibilità di un agevole collegamento tra il lago d’Averno e quello di Lucrino.

Gli architetti di Augusto, osannati dalla storia, si rivelarono arditi, ma non fecero i conti con la natura.

Dopo poco tempo, infatti, nel 12 a. C.  tutto fu abbandonato per l’insabbiamento delle strutture e la zona Averno-Lucrino divenne un elegante zona residenziale, dove facoltosi aristocratici, intellettuali di grido e nuovi ricchi costruirono ville da sogno, favoriti dalla presenza di numerose sorgenti termali e dalla bellezza dei luoghi, che, se avevano perso quel profondo senso di mistero, avevano, però, acquisito una più lieve bellezza, frutto di arte e di intelligenti interventi strutturali.

Anche durante il Medioevo, il lago di Lucrino in particolare, continuò ad attrarre principi, regnanti e gente comune. Carlo d’Angiò, sulla costa orientale del Lucrino. fece costruire un ospedale per l’assistenza gratuita dei poveri, che scomparve con l’eruzione del 1538.

5. Archeologia

5.1. Il tempio di Apollo

Questo edificio, identificato come il “tempio di Apollo”, era, in realtà l’aula termale di un imponente complesso del II d.C., che si era sovrapposto ad un precedente impianto di età giulio claudia.

L’aula termale che vediamo oggi è la più grande aula romana con volta a cupola, inferiore solo a quella del Pantheon.

Realizzata in opera laterizia, presenta una pianta ottagonale all’esterno e circolare all’interno.

L’interno era stato sicuramente intonacato e presentava un’ampia vasca centrale, quasi una piscina coperta.

La costruzione, articolata su due piani, presentava otto nicchioni sul piano inferiore, oggi quasi del tutto interrato; il lato superiore, invece, presenta quattro finestre ad arco.

L’intero complesso, a causa delle sue notevoli dimensioni, fu identificato come un tempio.

5.2. La grotta di Cocceio

La grotta di Cocceio è senza dubbio alcuno una delle opere ingegneristiche romane di maggior rilievo: essa collegava l’Averno con Cuma, dopo aver attraversato il Monte Grillo per circa un chilometro.

Dotata di geniali accorgimenti per l’aerazione e per l’illuminazione, fu realizzata da Lucio Cocceio Aucto, che, secondo Strabone, fu anche l’ingegnere della Cripta neapolitana.

Secondo una leggenda popolare, del tutto priva di fondamento, essa sarebbe stata opera di Pietro di Pace, cavaliere spagnolo del 1500, in cerca di un favoloso tesoro: il povero cavaliere non trovò mai l’agognato tesoro, ma la sua ricerca creò quel tunnel, che ancora oggi viene chiamato dal popolo di Napoli “grotta della Pace”, in ossequio al cognome di don Pedro.

5.3. Il navale di Agrippa

Si ignora chi fu il primo ad identificare l’edificio termale con il tempio di Apollo e si ignora in modo particolare quale fu l’iter concettuale che portò l’ignoto archeologo ad una tale identificazione.

Per quanto mi compete, credo di potere ragionevolmente ipotizzare che la denominazione del tempio trovò la sua genesi nelle cure termali e nel benessere fisico da esse derivato.

Si brancola nel buio più totale quando si tenta di conoscere le ragioni che, nel XVI secolo, indussero ad identificare il navale di Agrippa con il tempio di Mercurio

Precisato che il navale fu voluto da Agrippa nel 37 d.C., bisogna aggiungere che oggi il “navale” trova pochi consensi: sembra, infatti, che stiamo di fronte ad un impianto termale di una vasta villa del primo secolo dopo Cristo.

5.4. Grotta della Sibilla cumana

Ancora oggi l’antro della Sibilla cumana appare agli occhi del visitatore come uno dei luoghi più arcani e misteriosi della nostra bella Italia.

La sacralità del luogo, eternata dagli immortali versi di Virgilio, i dubbi che avvolgono la mente dello studioso di fronte a strutture ancora difficili da interpretare, la storia d’amore tra il dio Apollo e la giovane di rara bellezza qual era la Sibilla: tutto appare avvolto dal mistero, che accresce a dismisura i contrastanti sentimenti dell’animo umano di fronte all’ignoto.

Messi da parte lo stupore e le proustiane intermittenze del cuore, che nascono spontanee ed irrefrenabili, la fredda ragione ci porta ad affermare che il taglio a forma trapezoidale del tufo ci porta a datare la costruzione intorno al sesto secolo a.C., anche se sono evidenti i rimaneggiamenti di età augustea e quelli risalenti alla dominazione bizantina.

Al centro della galleria si trova una sala con dei sedili quasi del tutto insabbiati, dove la tradizione vuole che sedevano coloro che si recavano presso la sacerdotessa di Apollo per i responsi.

Identificare l’intera struttura con l’antro celeberrimo cantato dal sommo mantovano è una sin troppo evidente forzatura e tale dovette sembrare anche ad Amedeo Maiuri, una volta passato l’entusiasmo della presunta scoperta.

Eppure l’antro della Sibilla cumana non era ignoto agli uomini del Medioevo, che lo indicavano con particolari evidenti e chiari.

Nel “De balneis puteolanis et regulae sanitatis” scritto da Pietro da Eboli (1150-1221) si legge:<<Lo bagno lo quale dicese de fierre pro suo nomo, de Sibilla prophetica davante sta la domo; chelle grande dirrupere fanno paura a l’omo>>.

Avvalorano quanto scritto da Pietro da Eboli alcuni versi di Francesco Petrarca: <<Ecco il temuto speco già stanza alla fatidica Sibilla. Ecco la rupe che il sulfureo Averno ardua sovrasta, oggi dagli anni infranta>>.

Una breve comparazione tra i due testi porta a questa evidenza: l’antro della Sibilla cumana era da identificarsi in una grotta che scendeva a strapiombo sull’Averno e si trovava presso una sorgente di acqua termale, probabilmente una sorgente sulfurea.

Non è tutto. Qualche secolo più tardi, il Sannazzaro, parlando della grotta della Sibilla cumana, riferì all’incirca le stesse notizie, rivelando, però, che essa era andata ormai quasi completamente distrutta e che sulle sue rovine pascolavano greggi di ovini, tra sterpaglia e totale abbandono.

Nei secoli successivi si avrà un lungo silenzio.

Nel 1800 diventa una moda il viaggio in Italia: artisti e letterati verranno in Italia ad ammirare il glorioso passato della civiltà greca e romana.

Charles Burney (1726-1814), nel suo “Viaggio musicale in Italia”, scriverà <<di là ci recammo al lago Averno ed alle grotte della Sibilla, dove entrammo e camminammo per quasi un miglio, sotto un antico porticato che doveva avere in origine la lunghezza di tre miglia ma che era stato distrutto e interrato a causa dei terremoti>>.

Difficile comprendere il luogo indicato dal Burney, ma una cosa è certa: le indicazioni date secoli addietro da Pietro da Eboli, dal Petrarca e dal Sannazzaro erano ormai state del tutto dimenticate: nuove ipotesi e nuove certezze si facevano strada.

L’ubicazione dell’antro della Sibilla continua a rimanere un mistero, che solo la poesia rende vivo e palpabile.

L’antro della Sibilla, al di là della ricerca archeologicche abbiamo visto variare durante l’arco alterno dei secoli, è forse il più vivificante luogo della memoria e travalica la pura dimensione spazio-temporale.

Esso è nel cuore e nella mente di tutti coloro che amano il bello, il mistero, la sacralità dei luoghi eternati dalla poesia omerica e virgiliana.

Non possiamo sapere semmai giungerà il momento della esatta e certa ubicazione della grotta più famosa della storia antica, ma quando giungerà, se da un lato ricomporrà un tassello della storia, dall’altro nulla potrà aggiungere al suo fascino, destinato ad essere eternato dalla memoria collettiva.

6. Un’amara conclusione

Tutta la zona flegrea è stata da tempo in memore soggetta a trafugamenti e ruberie.

Avevo sedici anni quando ho visto con i miei occhi turisti inglesi asportare parte di un mosaico pavimentato a Pozzuoli: non c’era un custode, una guida, non c’era neppure un cane, è proprio il caso di dirlo, e i buoni inglesi risero a me che li guardavo sbigottito.

L’aria archeologica flegrea è stata per troppo tempo sorvegliata dalla prepotenza e dal malaffare.

Tutti sapevano, nessuno parlava: intelligenti pauca.

Il lago d’Averno è stato sequestrato alla camorra il 10 luglio del 2010: esso era da tempo in mano ai Casalesi.


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Andrea Romano

Laureato in Lettere classiche, fondatore del disciolto gruppo archeologico di Afragola, Andrea Romano è autore di numerose pubblicazioni a carattere storico, artistico e letterario. Le sue competenze in campo archeologico l’hanno portato a scoprire numerose necropoli e ad individuare l’ubicazione dell’acquedotto augusteo in Afragola, suo paese d’origine. Prossimo alla pensione, attualmente è docente di religione presso la Scuola Secondaria di primo grado “Angelo Mozzillo”, pittore del quale ha scritto l’unica biografia esistente, dopo aver raccolto e analizzato quasi tutte le tele dell’artista afragolese, prima quasi del tutto ignorato. Ricercatore instancabile, ha portato alla luce un manoscritto inedito di Johannes Jørgensen, di prossima pubblicazione.

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