Il licenziamento collettivo. Gli obblighi del datore di lavoro nella scelta del lavoratore da licenziare
Si parla di licenziamento collettivo allorquando un’impresa, per motivi di crisi, di ristrutturazione aziendale o di chiusura dell’attività economico-produttiva, effettua una importante riduzione del personale.
Ai fini della validità del licenziamento collettivo il datore di lavoro è tenuto a rispettare una serie di obblighi sanciti dalla legge a tutela del lavoratore.
In questa sede sono analizzati alcuni aspetti della procedura di licenziamento collettivo.
I criteri di scelta dei lavoratori da licenziare ex L. n. 223 del 1991.
La legge n. 223/91 stabilisce che, ai fini del legittimo licenziamento collettivo, debbano essere seguiti i seguenti criteri, da applicare in concorso tra loro: a) carichi di famiglia del lavoratore; b) anzianità di servizio e anagrafica del lavoratore; c) esigenze tecnico-produttive e organizzative dell’impresa.
In primo luogo è da evidenziare che, come chiarito dalla migliore giurisprudenza di legittimità, il rispetto dei criteri di scelta imposti dalla L. n. 223 del 1991 costituisce uno dei presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
La legge n. 223/91 all’art. 5 ed all’art. 24 stabilisce, infatti, che l’individuazione dei soggetti nei cui confronti può essere intimato il licenziamento collettivo debba avvenire sulla base di criteri stabiliti e ben precisi, qualora non vi sia accordo tra organizzazioni sindacali e compagine datoriale.
Gli indicati presupposti sono stati stabiliti dal legislatore al fine di evitare qualsiasi discriminazione nella scelta dei soggetti da licenziare.
Ai fini della valutazione del licenziamento collettivo occorre, inoltre, interpretare i principi sanciti dalla legge n. 223/91 alla luce dei principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. affinché la decisione di dare prevalenza al criterio di produttività od al criterio di economicità non sia sotteso a intenti elusivi o ragioni di discriminazioni dei lavoratori licenziati (Cass., n. 10590/2005).
Il rispetto delle formalità sancite dalla Legge n. 223/91 e l’onere probatorio del datore di lavoro.
In ordine alla disciplina processuale, la legge stabilisce che sono a carico del datore di lavoro gli oneri probatori nella fase giudiziale di impugnazione del licenziamento, in applicazione della L.223/91, come novellata dalla legge n. 92/2012.
Il datore di lavoro, infatti, oltre a provare il rispetto dei presupposti del licenziamento collettivo suindicati, ovvero i carichi di famiglia del lavoratore, l’anzianità di servizio e anagrafica dello stesso e (solo infine) le esigenze tecnico-produttive e organizzative dell’impresa, deve anche dimostrare l’avvenuta comunicazione alle rappresentanze sindacali della volontà di porre in essere il licenziamento collettivo, dell’impossibilità di ricollocazione dei lavoratori licenziati, nonché del tentativo di stipulare accordi con l’assistenza sindacale al fine di scongiurare il licenziamento stesso.
Mediante la prova delle motivazioni relative alla impossibilità di ricollocamento degli stessi all’interno dell’azienda ed i motivi per cui non è si è giunti ad un accordo tra le parti prima del licenziamento, è garantito ai lavoratori il diritto, sancito dalle disposizioni in materia di licenziamento collettivo, a non vedersi licenziati senza un giustificato motivo o, ancor peggio, in modo discriminatorio.
In mancanza di elementi probatori difetterebbero, infatti, i requisiti formali, stabiliti dalla legge n 223 del 1991 volti alla gestione della procedura che ha condotto al licenziamento, con rilevanti risvolti sostanziali integranti la lesione dei diritti del lavoratore licenziato.
Come precisato dalla Suprema Corte la comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, L. n. 223/91, è finalizzata a consentire anche ai lavoratori interessati, come alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi, di controllare la correttezza della procedura di licenziamento (Cass. n. 2298/2014).
In applicazione dei dettami confermati dalla indicata sentenza della Corte di legittimità, è obbligo della parte resistente depositare in giudizio la documentazione del corretto espletamento della procedura sindacale e amministrativa prodromica al licenziamento affinché l’organo giudicante possa valutarne la correttezza formale.
L’obbligo di repechage
Su altro versante della medesima questione è da rilevare che il mancato rispetto dell’obbligo di repechage da parte del datore di lavoro, rappresenta un motivo di impugnazione del licenziamento collettivo.
Il datore di lavoro, infatti, è tenuto a provare l’impossibilità di impiegare i propri dipendenti ad altre mansioni, al fine di evitare il licenziamento del lavoratore.
Come sancito dalla recente giurisprudenza di legittimità, anche in ipotesi di licenziamento collettivo il datore deve verificare se i lavoratori possano essere, piuttosto che licenziati, trasferiti in altri settori produttivi, in altri rami d’azienda, od in diverse strutture della medesima impresa (ex multis Cass. sent. 203/2015; Cass. n. 4460/2015).
La Corte di Cassazione ha precisato che la parte datoriale ha l’onere di provare la concreta esistenza delle ragioni che hanno imposto il provvedimento espulsivo e l’impossibilità di utilizzare il lavoratore licenziato in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, altrimenti il licenziamento è illegittimo.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.