Il luogo di consumazione del reato di truffa on-line
Costituisce dato di comune esperienza il rilievo secondo il quale l’attività contrattuale dei privati conosce oramai, quale canale privilegiato, la piattaforma informatica e, segnatamente, i siti internet specificamente deputati ad incrociare domanda ed offerta di beni e servizi.
Parallelamente alla indubbia spersonalizzazione delle trattative negoziali, il cui schema di conclusione risulta oramai essere ben distante dai rigorosi e desueti schemi disciplinati dal codice civile, si assiste ad una progressiva (se non, addirittura, geometrica) estensione dell’area del penalmente rilevante ogniqualvolta alla richiesta (e pagamento anticipato) di res da parte dell’acquirente non corrisponda la successiva consegna delle medesime da parte del venditore.
L’argomento in in esame involge un fascio di questioni giuridiche di indubbio rilievo, con peculiare riferimento al contratto di compravendita il quale, com’è noto, è modulato essenzialmente sull’effetto reale del consenso.
Quid juris allorché i contraenti non hanno la possibilità di porre in essere puntuazioni contrattuali de visu, – in ragione della distanza fisica virtualmente annullata grazie alla simultaneità dialettica assicurata dalla “rete” – talché il potenziale acquirente non può avere la materiale possibilità di verificare la serietà dell’offerta negoziale?
A tal riguardo, la giurisprudenza ha offerto come soluzione la sovrapponibilità al paradigma della truffa (se del caso circostanziata dall’aggravante della c.d. minorata difesa: artt. 640 e 61 n.5 c.p.) di tutte quelle fattispecie concrete in cui alla domanda (e preventivo adempimento) da parte dell’accipiens non segua poi la traditio (id est: la spedizione) del bene da parte del tradens.
A mero titolo di obiter dicta giova ricordare come la rilevanza penale di ciò che, all’apparenza, potrebbe ricondursi sic et simpliciter ad una mera ipotesi di inadempimento contrattuale, passa attraverso la positiva dimostrazione dello svolgimento di effettive trattative (sia pure virtuali) tramite le quali il venditore infedele abbia carpito la buona fede dell’ignaro acquirente, assicurandogli il positivo esito dell’ “affare”.
Chè, altrimenti, difetterebbe il requisito strutturale dell’ “artifizio e raggiro” preteso dalla norma incriminatrice.
Ciò posto, l’oggetto del presente contributo deve ricercarsi nella esatta individuazione del locus commissi delicti nelle ipotesi di truffa c.d. contrattuali “on-line”.
Con riferimento alla generica categoria dogmatica della truffa contrattuale, la giurisprudenza nomofilattica è assolutamente pacifica nel ritenere che il reato si consumi nel momento dell’effettivo conseguimento del bene da parte del deceptor e la definitiva perdita dello stesso da parte del deceptus.
Sicchè il giudice territorialmente competente a conoscere della vicenda risulta essere quello del luogo in cui il soggetto attivo procura a sé o ad altri l’ingiusto profitto, che può non coincidere con il luogo in cui si verifica il danno per la persona offesa (ex pluribus, cfr. Cass. Pen., II sez., 11.7.2016, n. 28767).
In ragione della peculiarità dello strumento informatico utilizzato dall’agente per creare artificiosamente un simulacro di apparente affidabilità negoziale, la Corte di Cassazione – ai fini e per gli effetti indicati dall’art. 8 c.p.p. – opera una sostanziale distinzione a seconda del metodo di pagamento utilizzato dalla parte offesa.
Precisamente, il Supremo Consesso ha chiarito definitivamente come, nel caso in cui il raggirato abbia scelto (in genere su indicazione e “consiglio” dello stesso truffatore) quale mezzo di pagamento del prezzo pattuito il versamento della somma su di una carta ricaricabile (del tipo Poste Pay), in tale ipotesi coincidono sia l’immediata ed irreversibile creazione di una provvista a favore del beneficiario, sia il correlativo e contestualmente depauperamento della sfera economica del danneggiato.
Arricchimento e deminutio patrimonii si appalesano, all’evidenza, eziologicamente interdipendenti senza soluzione di continuità (cfr.: Cassazione Penale, Sez. II, 24.1.2018 n. 3329).
Ne consegue come, in simili ipotesi, il giudice competente sarà quello del luogo ove viene effettuata la ricarica ad opera della persona offesa (cfr. Cass. Pen., sez. II, 25.10.2016 n. 49321; Cass. Pen., sez. II, 24.3.2017, n. 14730).
Diversamente è a dirsi, ad esempio, nel caso di pagamento a mezzo bonifico bancario, pagamento on-line o rimessa in conto corrente.
In tali ipotesi, il profitto ingiusto si realizza non contestualmente alle deminutio, quanto piuttosto nel momento – necessariamente successivo – in cui l’agente consegue la disponibilità della somma di denaro (cfr., Cass. Pen., sez. II, 20.10.2016 n. 48027; Cass. Pen., sez. II, 4.11.2014 n. 7749).
Talchè, in tale diversa ipotesi, la competenza per territorio apparterrà al giudice del luogo in cui il pagamento è stato ricevuto dal deceptor atteso che gli strumenti di pagamento differenti dal versamento della somma su carta ricaricabile “…non presentano la caratteristica di immediata irreversibilità per il disponente e di contestuale arricchimento per il soggetto agente che invece caratterizzano le ricariche su “Postepay” e simili…” (Cass. Pen., sez. II, 24.1.2018, n. 3329, cit.).
Per maggiori approfondimenti:
G. Romano, La competenza territoriale nel delitto di estorsione a mezzo ricarica di una carta postepay
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Roberto Santoro
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