Il mandato d’arresto europeo, recenti linee evolutive giurisprudenziali
Sommario: 1. Il MAE: introduzione – 2. Problemi di compatibilità con i diritti fondamentali – 2a. Il MAE e il diritto di difesa come diritto d’informazione – 2b. Il MAE e le misure cautelari
1. Il MAE: introduzione
Il mandato d’arresto europeo (d’ora in poi MAE) è un prezioso strumento di cooperazione penale, utilizzato tra gli Stati membri per velocizzare e facilitare il normale procedimento di estradizione. Quest’ultimo, infatti, ai sensi degli artt. 697 ss c.p.p., è ancora basato su convenzioni bilaterali tra Stati e necessita del coinvolgimento del Ministro della Giustizia, a differenza del MAE, che attiva un procedimento complesso ma esclusivamente giurisdizionale.
Secondo quanto prescritto dalla decisione quadro regolatrice della materia[1], infatti, attraverso l’emissione di un MAE, seguendo specifiche regole procedurali, uno Stato membro chiede ad un diverso Stato europeo di effettuare, in primo luogo, l’arresto, sul proprio territorio e con le modalità previste in loco, e, in seguito, la consegna di un individuo ivi presente che, in conformità ad uno o più criteri di collegamento[2], è assoggettabile all’esercizio dell’azione penale o all’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza dello Stato richiedente[3].
Come tutti gli istituti comunitari introdotti ai fini di un’efficace collaborazione penale all’interno dell’UE, il MAE si basa sui principi di volontaria cooperazione e mutuo riconoscimento, ossia, rispettivamente, sull’obiettivo condiviso di costituire e mantenere uno spazio europeo sicuro e sulla fiducia reciproca intercorrente tra gli Stati membri in merito ad una sostanziale equivalenza di fondo rispetto alla tutela dei diritti fondamentali[4]. Questo, se da una parte rende la disciplina dell’istituto in esame programmatica e non vincolante, dall’altra permette allo stesso di essere piuttosto fluido, pratico, e, in un certo senso, “informale”: proprio grazie al presupposto che tutti gli Stati membri debbono garantire, in quanto tali, livelli minimi di protezione dei diritti umani e condividono i principi fondamentali dello Stato di diritto, non è, di regola, necessario compiere alcuna verifica in merito alla maggior parte delle fattispecie di reato per cui viene emesso un MAE, né, come si è detto, bisogna attivare meccanismi politici. L’unico requisito richiesto allo Stato emittente in questo senso è, infatti, quello di non dare vita alla procedura del MAE per reati puniti con una pena edittale inferiore a quattro mesi di reclusione nel minimo e tre anni nel massimo, onde non abusare dell’istituto per delitti astrattamente meno gravi.
La direttiva istitutiva del MAE è stata dapprima recepita nel nostro ordinamento con la legge n. 69 del 22 aprile 2005, recentemente modificata dal D. lgs. n. 10 del 2 febbraio 2021, in attuazione dell’art. 6, comma 1, della legge-delega n. 117 del 2019, per adeguarsi alle diverse raccomandazioni esposte, negli anni, all’Italia da appositi organismi comunitari[5]. Per quanto interessa questo elaborato, sul punto, si segnala che tale modifica ha rinforzato la tutela di alcune fondamentali garanzie costituzionali, eliminando, al contempo, gli aspetti superflui: per espressa previsione legislativa, l’esecuzione del MAE non può, infatti, in nessun caso, comportare la violazione dei fondamentali diritti protetti dalla stessa Costituzioni e dalle Carte europee, costituenti l’unico limite legittimamente posto all’applicazione della normativa europea.
Ai sensi della nuova disciplina, inoltre, che si affianca ma non sostituisce i precedenti accordi bilaterali o multilaterali siglati dalle Parti sulla medesima materia, in base ad un espresso richiamo al principio del mutuo riconoscimento, viene eliminato il requisito che richiedeva la legge del 2005 in merito alla derivazione del MAE da un provvedimento motivato sottoscritto da un giudice, ritenendo sufficiente la semplice provenienza della richiesta da un’autorità giudiziaria e, qualora il MAE sia emesso al termine dell’esecuzione di una pena afflittiva della libertà personale, la semplice esecutorietà della sentenza e non più la sua irrevocabilità.
Per quanto concerne il procedimento interno, il MAE viene poi eseguito in Italia con la “massima urgenza”, in seguito al via libera della Corte d’appello competente la quale può negare l’attivazione del procedimento solo per determinate ragioni tassativamente stabilite all’art. 18 della medesima legge e il cui provvedimento sarà, in ogni caso, ricorribile in Cassazione.
Rimandando, tuttavia, ad altra sede le questioni relative all’attuazione della normativa europea sul MAE da parte dell’Italia, ci si vuole soffermare, in questo elaborato, sulle spinose questioni giuridiche che tale strumento solleva in merito alla compatibilità con alcuni dei fondamentali principi del fair trial, ossia del giusto processo[6]. Se è inevitabile, da una parte, che un mandato di cattura e consegna incida in maniera determinante su alcuni diritti fondamentali del soggetto indagato, tra i quali, in particolare, emergono la libertà personale, il diritto di difesa e la presunzione d’innocenza[7], non bisogna dimenticare che, come accennato, proprio i diritti fondamentali fungono da limite alla pretesa punitiva dello Stato[8], e da essi discende la necessarietà di un sistema integrato di diritto penale sostanziale e processuale, nazionale ed europeo, capace di rispettare e garantire tali diritti imprescindibili.
Nello specifico, la ricerca di questo scritto verrà svolta attraverso un’analisi delle più recenti pronunce della Corte di giustizia relative alla legittimità del MAE che si sono susseguite negli ultimi anni con lo scopo di dare all’istituto una lettura “costituzionalmente” orientata ai valori fondamentali espressi dalle Carte interne e sovranazionali.
2. Problemi di compatibilità con i diritti fondamentali
Il fatto che lo stesso art. 1, comma 3, della d. q. statuisca che “l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’art. 6 (TUE) non può essere modificato per effetto della presente decisione quadro” indica chiaramente la consapevolezza del legislatore europeo riguardo al rischio che le più importanti garanzie sancite dalla Carta europea dei diritti dell’uomo, a cui l’art. 6 del TUE rimanda, vengano violati nei procedimenti relativi al MAE.
Prendendo a modello l’ordinamento italiano, i principali problemi di compatibilità di tali procedimenti si potrebbero avere, almeno in linea teorica, con gli artt. 13, 24, 25, 26 e 27 Cost. relativi, come noto, alla libertà personale e alle garanzie del processo penale, debitamente sviluppate nel codice di rito.
2a. Il MAE e il diritto di difesa come diritto d’informazione
Il 28 gennaio 2021[9] la Corte di giustizia ha, da ultimo, affrontato lo spinoso tema della pregiudizialità della procedura del MAE rispetto a due importanti diritti sanciti dagli artt. 6 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ossia, rispettivamente, il diritto alla libertà e alla sicurezza e, nell’ipotesi di pregiudizio a una libertà garantita dal diritto comunitario, a disporre di un ricorso effettivo innanzi ad un giudice imparziale e precostituito per legge, nell’ambito di una causa equa, pubblica e dalle tempistiche ragionevoli.
Nello specifico, la questione concreta riguardava l’interrogativo sulla sussistenza del diritto della persona arrestata in forza di un MAE a ricevere, al momento della privazione della libertà, un’informativa scritta relativa sia agli elementi sostanziali dei diritti di cui dispongono coloro i quali subiscono un procedimento penale sia al diritto di accesso ai capi d’imputazione, entrambi naturalmente indispensabili per la costituzione di una difesa congrua[10]. IR, la persona di nazionalità bulgara sottoposta alle indagini per la presunta partecipazione ad un’organizzazione criminale operante in materia tributaria, era, infatti, stato informato solo di alcuni dei diritti di cui godeva in quanto soggetto sottoposto alle indagini, prima di rendersi del tutto irreperibile e subire il procedimento completamente in absentia, rappresentato da un avvocato nominato d’ufficio. Durante tale fase del giudizio, era stato emesso nei confronti di IR un mandato di arresto nazionale, seguito, poi, da un MAE, sulla cui legittimità il giudice del rinvio nutriva alcuni dubbi, in particolare a causa dell’omissione di determinate informazioni di cui, invece, il soggetto avrebbe dovuto avere notizia in base al diritto nazionale bulgaro.
Tale giudice, dunque, si era determinato ad annullare il MAE emesso e a sollevare una delicata questione di pregiudizialità innanzi alla Corte di giustizia, incentrata su quattro fondamentali punti così esposti dal ricorrente e decisi dai giudici europei:
– Se gli artt. 4, 6 e 7 della direttiva 2012/13 fossero applicabili a un soggetto arrestato in forza di un MAE in un diverso Stato membro e, dunque, se la persona arrestata nello Stato di esecuzione in forza di un MAE godesse di tutti i diritti di cui sarebbe stato titolare nel caso in cui il suo arresto fosse avvenuto nello Stato di emissione del mandato in esame.
In prima battuta, il ricorrente si riferisce, quindi, in generale, al diritto di informazione degli indagati[11], i quali, ai sensi dell’art. 4 della suddetta fonte, vengono resi edotti di una serie di prerogative, che, secondo la disposizione seguente, non coincidono con le informazioni fornite alle persone arrestate in forza di un MAE.
L’art. 5, infatti, impone agli Stati membri di dare a tali soggetti una tempestiva ed “idonea comunicazione”, contenente le informazioni rilevanti sui propri diritti, ai sensi della legge interna che attua la d. q. 2002/584[12] nello specifico Stato membro interessato. Di tale comunicazione, viene, inoltre, fornito un vero e proprio esempio non vincolante per gli Stati, che possono adattarlo al proprio specifico ordinamento, all’allegato II, diverso nei contenuti dall’allegato I, relativo, invece, ai diritti di ogni soggetto che, nel corso di un normale procedimento penale, viene privato della libertà personale.
I due modelli, infatti, collimano solo per quanto riguarda le informazioni relative al patrocinio di un avvocato e, in parte, al diritto all’interpretazione e traduzione degli atti stranieri.
I giudici europei hanno elaborato una risposta in senso negativo a questa prima questione. Sul punto, in prima battuta, essi escludono che un soggetto arrestato in esecuzione di un MAE debba ricevere un’informativa che cumula le notizie del I e del II allegato, data la peculiarità del procedimento innescato da tale strumento europeo.
Quest’ultima, specifica la Corte, è caratterizzata dagli scopi stessi del MAE di agevolare, come già segnalato in questo scritto, “mediante l’instaurazione di un sistema semplificato e più efficace di consegna, direttamente tra autorità giudiziarie, delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, (…) la cooperazione giudiziaria allo scopo di contribuire a realizzare l’obiettivo assegnato all’Unione europea di diventare uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia fondandosi sull’elevato livello di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri”[13].
Tali obiettivi di semplificazione della cooperazione giudiziaria europea non vanno mai accantonati così come, nella prassi, bisogna sempre rispettare la specialità del procedimento di cui trattasi, per cui l’art. 5 della direttiva in esame, ritenendo sufficiente l’informativa ivi delineata, è l’unico applicabile ai soggetti arrestati ai sensi di un MAE, con esclusione della possibilità di un’applicazione analogica dell’art. 4 direttiva 2012/13, soprattutto in virtù del fatto che il soggetto, quando verrà consegnato all’autorità richiedente, acquisirà lo status di imputato e avrà, quindi, accesso a tutte le informazioni previste da tale disposizione.
– In caso di risposta positiva al primo quesito, se il contenuto del MAE potesse essere modificato per contenere anche il riferimento ai possibili mezzi di impugnazione.
Naturalmente, data la risposta in senso negativo alla prima domanda da parte della Corte di giustizia, questo interrogativo perde di significato.
– Posta l’impossibilità di integrare le informazioni dell’allegato II sulla base dell’allegato I, se esistessero altre strade per assicurare un esercizio reale ed effettivo dei diritti di difesa nella delicata fase che segue l’emissione di un MAE.
– Se fosse valida la d. q. 2002/582 che rende, alla luce di quanto sopra constatato, particolarmente gravoso per il soggetto arrestato ai sensi del MAE l’impugnativa dello stesso, in contrasto con quanto generalmente affermato dalla stessa direttiva 2012/13.
La Corte tratta congiuntamente questi ultimi due punti, partendo dal riferimento agli artt. 6 e 47 della Cdfue. A tal proposito, bisogna, in prima luogo, osservare che, ai sensi di un orientamento giurisprudenziale piuttosto consolidato della Corte stessa[14], la decisione di emettere un MAE deve poter essere oggetto, nello Stato membro emittente, di un ricorso giurisdizionale che soddisfi pienamente i requisiti inerenti alla tutela giurisdizionale effettiva.
Siccome il procedimento di cui trattasi può essere idealmente suddiviso in due livelli contraddistinti, rispettivamente, dall’adozione della decisione nazionale presupposta al MAE e dall’emissione del MAE stesso, i giudici europei giungono ad affermare che al fine di ritenere rispettato il suddetto diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, è sufficiente che il medesimo sia garantito in una sola di tali due fasi[15], considerando che, nella prassi, è il momento susseguente all’emissione del MAE ad imporre un vero controllo dell’autorità emittente sul rispetto dei presupposti di legge per il procedimento in esame.
Concretizzandosi, infatti, con la consegna materiale del soggetto alle autorità dello Stato emittente, la formale acquisizione dello status di imputato del soggetto passivo delle operazioni, nulla osta al fatto che un ricorso effettivo avverso la misura coercitiva possa avvenire solo in seguito a detta consegna, tenendo a mente che, in ogni caso, anche il MAE contiene le informazioni, pur basiche, sulla natura e sulla qualificazione giuridica del reato, oltre alla descrizione delle circostanze della sua commissione.
La Corte conclude “pertanto, (che) nessuna violazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva può risultare dalla sola circostanza che la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo (…) sia informata dei mezzi di ricorso disponibili nello Stato membro emittente e ottenga l’accesso alla documentazione del fascicolo solo dopo la sua consegna alle autorità competenti dello Stato membro emittente”.
2b. Il MAE e le misure cautelari
Le misure cautelari coercitive personali, pur essendo applicabili in seguito all’accertamento di presupposti tassativi e pur rappresentando, in alcuni casi, un indispensabile mezzo per garantire un corretto accertamento del fatto storico e l’esecuzione della successiva sentenza, nonché per scongiurare il pericolo di commissione di altri reati, creano delle frizioni con alcuni dei principi fondamentali del nostro ordinamento ed in particolare al secondo comma dell’art. 27 Cost, ai sensi del quale “l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva” e all’art. 13 Cost., relativo all’inviolabilità della libertà personale.
In tale contesto, naturalmente, la misura che maggiormente crea problemi di fondo con le garanzie costituzionali e processuali coincide con la custodia cautelare in carcere, disciplinata dall’art. 275 c.p.p., poiché, nonostante sia applicabile in presenza di requisiti ancora più stringenti rispetto alle altre, dal punto di vista sostanziale, in un certo senso anticipa e si sovrappone quasi completamente all’esecuzione vera e propria della pena più afflittiva, ovvero la pena detentiva.
Data questa premessa, si vuole analizzare ora la pronuncia dei giudici europei del 13 gennaio 2021, con cui essi si sono pronunciati in senso positivo sulla legittimità di una decisione nazionale, anche in questo caso, bulgara presupposta al MAE, adottata secondo un procedimento interno che non prevedeva il coinvolgimento di un’autorità giurisdizionale puramente giudicante, ma solo dell’organo dell’accusa.
Si ricorda, infatti, che, ai fini dell’emissione di un MAE, è necessaria “l’esistenza di una sentenza esecutiva, di un mandato d’arresto o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza (…)”[16] che, nell’ordinamento bulgaro, si concretizza sempre in un atto dell’organo inquirente, ossia dell’equivalente del pubblico ministero e, nel caso di specie, in un provvedimento avente come unico scopo l’informazione alla persona sottoposta alle indagini sui capi d’accusa, notificato esclusivamente al difensore nominato d’ufficio, dato che il soggetto si era reso latitante. Sulla base di tale atto, inoltre, veniva successivamente emanato un MAE nei confronti delle autorità spagnole che, una volta eseguito, portava il tribunale locale ad autorizzare la custodia cautelare della persona sottoposta alle indagini, la quale impugnava tale decisione asserendo l’illegittimità a monte del MAE.
In tale contesto, come preannunciato, i giudici europei hanno avvallato l’emissione di un MAE sulla base di un simile provvedimento nazionale riconoscendo a pieno titolo, da una parte, “la qualificazione del pubblico ministero quale autorità giudiziaria emittente”[17] che partecipa all’amministrazione della giustizia ed è indipendente rispetto agli altri poteri dello Stato e, dall’altra, soffermandosi sulla natura del suddetto provvedimento nazionale presupposto al MAE.
La necessarietà di un controllo giurisdizionale indipendente coincide, infatti, con il diritto al c.d. ricorso effettivo ed è ritenuto essenziale solo in sede di impugnazione, per garantire un sindacato corretto sul provvedimento privativo della libertà personale.
Tuttavia, si specifica in chiusura, anche qualora l’atto interno presupposto del MAE dovesse riconoscersi illegittimo, questo non comporta automaticamente la messa in libertà del soggetto sottoposto a custodia cautelare ai fini della consegna allo Stato emittente.
Come precedentemente specificato nel caso Lanigan[18], infatti, quando il MAE viene eseguito, nelle more della decisione definitiva sulla consegna del soggetto, spetta alle autorità dello Stato richiesto decidere, in considerazione di tutte le circostanze del caso concreto, sull’opportunità di mantenere la persona indagata in custodia cautelare o meno, essendo però espressamente tenute ad adottare tutte le misure che ritiene necessarie a evitare il rischio di fuga[19].
Si precisa, a tal proposito, che, anche qualora lo Stato membro violi i termini previsti dall’art. 17 della d. q., che vanno da dieci a un massimo di sessanta giorni dall’arresto, prorogabile di trenta in casi del tutto eccezionali, non sono previste per lo stesso conseguenze sanzionatorie, nonostante l’inerzia della macchina burocratica incida direttamente sulla limitazione alla libertà personale. Ribadendo gli obiettivi sottesi all’istituzione del MAE, di accelerazione e semplificazione della collaborazione giudiziaria penale, la Corte sottolinea a tal proposito che lo Stato membro richiesto è comunque, anche in questi casi, tenuto a decidere sulla consegna del soggetto detenuto per l’attuazione di un MAE e a non interrompere il procedimento messo in moto.
Nel caso Laningan, la Corte aveva dato, infatti, indicazioni che, nonostante fossero improntate al garantismo e alla protezione dell’indagato, avvallavano il suo mantenimento in stato di custodia cautelare anche oltre i termini previsti, seppur limitando l’ipotesi ai casi in cui venisse accertata la sussistenza di due requisiti: la durata della misura non eccessiva, alla luce di una valutazione globale delle circostanze del caso concreto e l’impianto del complessivo procedimento penale, correttamente costituito sui principi di legalità e diligenza delle autorità di esecuzione coinvolte.
Alla luce di quanto sopra esposto, si scorge, quindi, l’apprezzabile tentativo della Corte di mantenere i risvolti negativi del MAE sulla libertà personale degli indagati entro determinati margini, ma persiste, almeno nel parere di chi scrive, una contrapposizione di fondo tra la vaghezza dei limiti di cui sopra, a presidio dei diritti dei soggetti detenuti in stato di custodia cautelare in virtù dell’esecuzione di un MAE e la perentorietà dell’alternativa: lo Stato che decide di rilasciare una persona il cui trattenimento in stato di limitazione della libertà personale risulti troppo lungo, se ne assume al contempo la responsabilità, dovendo adottare tutte le misure necessarie ad evitare la fuga e assicurare la consegna[20], con il rischio di rendere preferibile, per le autorità coinvolte, prorogare semplicemente la custodia.
Tale opzione è stata indirettamente avvallata dalla stessa Corte di giustizia, pronunciatasi in maniera negativa riguardo alla presenza di una legge nazionale che preveda l’automatica remissione in libertà di un soggetto indagato nell’ambito di un procedimento per MAE allo scadere dei termini previsti per la custodia cautelare del medesimo, ritenendo una simile disposizione incompatibile con la d. q. regolatoria della materia[21].
[1] Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell’Unione Europea (d’ora in poi d. q.), 13/6/2002, recepita in Italia con la l. 69 del 22/4/2005.
[2] Tali criteri, nell’ordinamento italiano, sono dettati dagli artt. 3-10 c.p. Per approfondimenti D. PETRINI, Limiti Spaziali alla Efficacia della Legge Penale, in Manuale di Diritto Penale – Parte Generale, AA. VV., Giuffrè, 2013.
[3] Art. 1 d. q. 2002/584 “Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà.”
[4] Questo viene, peraltro, espressamente specificato al punto 2 del medesimo art. 1 d.q. 2002/584 e riportato dagli artt. 696-bis ss. c.p.p. Per approfondimenti si consiglia la lettura della tesi di dottorato di J.P. CASTAGNO, Il mandato europeo di ricerca delle prove. Presente e futuro del principio di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie penali, nonchè della sent. C-241/15 del 1/6/2016.
[5] M. BARGIS, Meglio tardo che mai. Il nuovo volto del recepimento della decisione quadro relativa al M.A.E. nel D. Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10: una prima lettura, in Sistema Penale, 3/2021, p. 63 ss.
[6] Art. 111 Cost. Per approfondimenti cfr. A. GAITO, I principi europei del processo penale, Dike Giuridica, 2016. Si ricorda, inoltre, che tali principi sono sanciti dal titolo VI della Carta stessa.
[7] Cfr art. 6 Cedu, artt. 24 Cost e 27 Cost.
[8] M. MONTAGNA, Necessità della completezza delle indagini, in I Principi Europei del Processo Penale, AA. VV. a cura di A. GAITO, Dike giuridica, 2016.
[9] C 649/19.
[10] A tal proposito, nell’ordinamento italiano, si segnalano in particolare gli artt. 416-bis c.p.p. che prescrive l’obbligo, al termine delle indagini preliminari, di informare la persona alle stesse sottoposta degli elementi fondamentali dell’accusa e delle facoltà processuali di cui gode; l’art. 369-bis c.p.p. relativo all’informazione sul diritto di difesa, da notificare all’indagato a pena di nullità degli atti successivamente compiuti; l’art. 369 c.p.p. sulla c.d. informazione di garanzia.
[11] Per approfondimenti cfr. S. CIAMPI, Diritto all’informazione nei procedimenti penali: il recepimento low profile della direttiva 2012/12/UE da parte del d. lgs. 1° luglio 2014 n. 101, in DPC, 1/7/2014.
[12] 2002/584/GAI: Decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.
[13] Cfr. artt. 67-89 TFUE.
[14] Sentenza del 27 maggio 2019, OG e PI (Procure di Lubecca e di Zwickau) (C-508/18 e C-82/19 PPU, EU:C:2019:456).
[15] Sul punto cfr. il commento alla medesima sentenza di M. BARGIS, La Corte di giustizia delinea i rapporti tra la direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali e la decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo, in Sistema Penale, 30/03/2021.
[16] Art. 8 d.q.
[17] Punto 43.
[18] C-237/15 PPU, 16/7/2015.
[19] Art. 12 d.q. 2002/584. Sul punto cfr. M. BARGIS, Libertà personale e processo: i nuovi scenari del M.A.E., in Legislazione Penale, p. 173 ss., 19/10/2020.
[20] Si sottolinea come, in certi casi, la custodia cautelare in determinate carceri di alcuni Stati membri sia, nei fatti, particolarmente incisiva sui diritti di libertà dei soggetti ivi detenuti e porti quindi, ad una violazione ancora maggiore. Sul punto, C-404/15 e C-659/15 PPU, Aranyosi e Caldararu.
[21] C-492/18, 12/2/2019.
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Silvia Zinolli
I have graduated in law with honors at the University of Genova, where I come from.
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Right now I am a lawyer trainee and I am building my future with enthusiasm.
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