Il matrimonio canonico: analisi dei canoni 1055, 1056 e 1057
Sommario: Introduzione – 1. Il matrimonio canonico: un percorso storico – 2. Il foedus matrimoniale: analisi del can. 1055 – 3. Le proprietà essenziali del matrimonio canonico: analisi del can. 1056 – 4. Il consenso matrimoniale: analisi del can. 1057 – 5. Conclusioni
Introduzione
Scopo del lavoro è quello di offrire una descrizione del matrimonio all’interno del Codice di Diritto Canonico e più in specie dei canoni 1055 – 1056 e 1057 dedicati rispettivamente alla definizione del matrimonio, alle proprietà essenziali e al consenso. La complessità di un simile argomento richiede, tuttavia, una breve analisi storica atta a ricostruire l’evoluzione storica che tale istituto ha avuto nel Diritto Canonico dall’antichità al Codice del 1917 fino all’attuale codificazione sulla scia di quanto affermato e proclamato durante il Concilio Vaticano II. Proprio il riferimento all’assise conciliare risulta, per il nostro argomento, fondamentale dal momento che l’ “ossatura” dei canoni tutt’ora vigenti ha, tra l’altre fonti, proprio la celebre assise conciliare.
Dopo aver riscostruito l’ iter storico di riferimento, si provvederà ad un’analisi relativa ai canoni introduttivi del presente trattato essenziali per la sua comprensione: di ogni canone si descriverà la ragione sottesa evidenziando tipicità e, al contempo, le eventuali particolarità.
1. Il matrimonio canonico. un percorso storico
Tracciare una storia del matrimonio – e più in specie di quello canonico – non è cosa semplice. E’ innegabile come, fin dalle origini dell’umanità, gli uomini e le donne hanno sancito un legame sorgente di diritti e di doveri ovviamente diversificato, per ciò che attiene agli aspetti più particolari, alla cultura e al tempo storico di riferimento [1] . Da ciò si deduce facilmente che l’istituto in esame appartenga alla cultura dell’uomo costituendone una delle sue manifestazioni più note e più complesse regolato anzitutto dal diritto religioso e successivo da quello civile che intervenne con diversi provvedimenti al fine di strutturare e definire, anche da un punto di vista, definitorio cos’è un matrimonio.
Proprio questa parola richiede una breve digressione: matrimonio deriva infatti dalla radice mater e dal suffisso monium. L’unione di questi due termini evidenzia l’inclinazione naturale all’unione fisica dell’uomo e della donna, per cui, questa, generando, diventa madre assumendo l’ufficio che l’è proprio all’interno della coppia umana che si unisce [2]. L’aspetto unito connesso alla definizione appare, in verità, di diritto naturale e costituisce un dato innegabile al quale fa altresì riferimento anche la definizione odierna di matrimonio canonico. A tale aspetto si affianca la dimensione religiosa: approfondendo la tematica è la S. Scrittura ad offrire dei passi fondamentali : in particolare è il libro della Genesi nei cap.1. vv. 16 -28 e 2 vv. 18-24 ad evidenziare come l’unione tra un uomo e una donna si inserisca nel progetto che Dio ha su ogni creatura e si caratterizza dalla presenza di un vincolo per cui i due saranno una cosa sola: in altri termini il matrimonio appare come un “dono eccellente di Dio creatore, esso rivela anche Dio non solo lo regge e lo domina ma ne ha segnato la struttura e le leggi ” [4]. Tale aspetto verrà sviluppato anche da parte della Chiesa che, fin dalla sua fondazione, si occuperà in prima linea dell’istituto nunziale attingendo, non solo dal dato biblico ma anche dal diritto romano come in seguito si vedrà.
Concentrandoci brevi, sull’evoluzione storica, nevralgici risultati i riferimenti al Vangelo e in particolar modo all’Apostolo Paolo per il quale l’unione sponsale tra un uomo e una donna è vista come immago di quel rapporto unico ed eterno che c’è tra la Chiesa, sua mistica sposa e il Cristo. Tali riferimenti risultano costituitivi per comprendere l’evoluzione successiva: sarà S. Agostino ad offrire, a metà del IV secolo, una prima descrizione dei fini del matrimonio: per il vescovo di Ippona, il matrimonio risulta caratterizzato da una serie di fini atti a costruire una vera e propria societas coniugalis ovvero il bonum prolis, il bonum fidei e il bonum sacramentipur ribadendo, al contempo, la dimensione permanente unitiva del matrimonio atto così a costruire una vera e propria coniunctio amicalis et germana che non può essere scissa da nessuna autorità umana [5]. La tesi dei tria bona verrà ripresa dalla Scolastica ed in particolare da S. Tommaso il quale descriverà l’istituto nunziale secondo un doppio “binario”: dal punto di vista della struttura come un’istituzione il cui fine è la procreazione mentre da quello antropologico risulta essere piuttosto votato al servizio della persona umana e dunque del mutuo aiuto tra i coniugi all’interno della famiglia stessa [6]
Le riflessioni sul matrimonio trovarono un terreno fertile nel corso del Concilio di Trento. L’assise tridentina, infatti, si occupò di quest’ultimo stabilendo norme piuttosto precise in ordine alla sua struttura, al suo significato teologico, nonché riguardo agli elementi richiesti per la sua validità. Tra le altre cose, il Concilio ribadì come fondamento del matrimonio il consenso espresso dai due sposi alla presenza del parroco e di due testimonianze stabilendo, come è ben noto [7] la necessità di una adeguata forma per la sua celebrazione. Nello stesso tempo, si cominciò a porre maggiore attenzione al fine procreativo quasi a discapito della prospettiva unitiva tra gli sposi la cui eco sarebbe stato oggetto di un lungo approfondimento dottrinale durato tre secoli e confluito nel Codice Pio- Benedettino del 1917. Proprio la codificazione voluta da S. Pio X e portata a compimento dal suo successore Benedetto XV offrì, per la prima volta, un insieme di norme vincolati per l’intera cristianità tra cui quelle relative anche al matrimonio. In particolare, per quanto attiene alle disposizioni che ci interessano maggiormente, il can.1012 pone, come elemento fondamentale, la stretta relazione tra l’istituto nunziale e la sua elevazione a sacramento mentre il can.1013 mette l’accento su quelli che sono i fini del matrimonio stesso traducendo, dal punto di vista giuridico, ciò che la riflessione teologica e dottrinale aveva da diversi secoli posto in essere. Si coglie, leggendo il canone, una vera e gerarchia tra i fini come espresso dalle parole “primarius” e “secondarius”: dunque, secondo quanto affermato, finis primarius è la procreazione e l’educazione della prole, finis secondariarius l’aiuto reciproco e il rimedium della concupiscenza. Da notare l’assenza in questi canoni introduttivi, di una definizione di matrimonio dal momento che si preferì concentrarsi in modo particolare sui fini essenziali di quest’ultimo, sulle sue proprietà e sul consenso. In altre parole il legislatore del 1917, pur riconoscendo la costitutività e l’importanza del matrimonio non si soffermò, se non con brevi accenti, intorno alla sua essenza ponendo l’attenzione sulla dimensione progettuale dell’unione sponsale secundum voluntatem Dei e su i suoi fini di riferimento.
Questo assetto è rimasto per lo più immutato negli anni successivi: se da un lato, non mancarono tentativi di colmare la lacuna legislativa all’essenza del matrimonio offrendo varie e spesso complesse definizioni [8], occorrerà attendere il Concilio Vaticano II per una rinnovata concezione dell’istituto in esame, la cui eco, come già accennato, si manifesterà nell’attuale Codice. Più dettagliatamente sarà, come accennato, Gaudium et Spes ad offrire una rinnovata visione della dottrina sul matrimonio cattolico ponendo l’attenzione, in primo luogo, su come il matrimonio sia un'” intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall’alleanza dei coniugi’ in cui elemento cardine è l’amore coniugale inteso come amore personale ed unitivo attraverso il quale gli sposi si donano l’un l’altro reciprocamente e che ha come suo felice porto la procreazione e la generazione dei figli senza che, però, questi risultano essere il fine unico ed esclusivo dell’unione sponsale favorendo, al contrario, una lettura più marcatamente ultime antropologica e unitiva dove l’intima comunione di vita e d’amore risulta essere la base primario intorno alla si può costruire l’intero “edificio” nunziale [9].
Tali rilievi costituiscono, ancora oggi, una preziosa fonte per comprendere il senso e la ratio del matrimonio canonico verso dei canonici intro cui si pone ora la nostra attenzione.
2. Il matrimoniale foedus: analisi del can. 1055
Il nuovo canone 1055 §1 si apre con le significative parole con cui si indica il matrimoniale come ” matrimoniale foedus ” dalla chiara origine biblica. Si tratta, come è possibile osservare, di un vero e proprio “patto” dal quale si originano diritti e doveri ben specifici basato sulla diversità sessuale e sulla dimensione complementare tra l’uomo e la donna i quali, ” inter se totius vitae consortium constituunt “ secondo la prospettiva personalistica già evidenziata da Gaudium et Spes. In altre parole, se da un lato il legislatore ha posto l’accento sulla dimensione biblica secondo cui gli sposi stringono un patto che si traduce in una vera propria e alleanza [10] tra di loro e Dio , dall’altro si è voluto inquadrare l’istituto nunziale all’interno della cornice del diritto romano e più direttamente secondo quanto affermato da Ulpiano e Modestino [11] i quali, parlando dell’unione nuziale utilizzano espressioni come consortium, ovvero il condividere la stessa sorte e coniugum cioè il legare insieme: tali definizioni, per quanto nate ed applicate in un contesto secolare paiono facilmente applicabili, con i dovuti e necessari adattamenti, anche all’interno del matrimonio così come regolato ius canonicum.
Continuando nell’analisi notiamo un’ulteriore novità rispetto alla codificazione precedente soprattutto in relazione ai fini del matrimonio stesso. In particolare il Codice del 1983, descrivendo i fini del matrimonio non legge quest’ultimi secondo un ordine gerarchico quanto riconosce una loro totale equiparazione tra di essi. Tali fini ovvero la diversità sessuale e la complementarietà fisica e tra l’uomo e la donna sono fondamentali e quindi non devono essere confusi con i motivi soggettivi che spingono un uomo ed una donna a contrarre matrimonio come l’amore, simpatia, effetto ecc [ 12 ]: l’espressione ” indole sua” rafforza e definisce quanto espresso poc’anzi tant’è che una loro omissione comporta capo di nullità all’interno dell’apposito processo. Degna di nota la chiusura del primo paragrafo che funge da raccordo con il successivo: l’istituto nunziale non è semplicemente un contratto dal quale discendono diritti e doveri quanto piuttosto, inter baptitazos, un sacramento elevato a tale dignità direttamente da Cristo stesso.
Il punto va precisato dal momento che è lo stesso secondo secondo paragrafo a definire con forza l’equiparazione tra il contratto matrimonio e la sua natura sacramentale pertanto entrambi gli aspetti ” formano una realtà unica cui il sacramento non si considera come qualcosa estrinseco, o accessorio al contratto ” con la conseguenza che ” l’identità tra l’uno e l’altro è perfetta ” [13]. Tale identità, oggetto di numerose continue e studi da parte della dottrina [14], conobbe, in verità pareri non del tutto unitari a cui però si oppose sempre il Magistero fin dalla Deessemus nobis del 16 settembre 1788 di Pio VI, al Sillabo di Papa Pio IX fino ad Amoris Laetitiadi Papa Francesco il quale legge la sacramentalità dell’unione sponsale come la via [15] attraverso la quale i due formare una cosa sola nell’ottica di una consacrazione permanente corroborati, come ricorda il can.1141, dalla stessa grazia divina.
Data tale inseparabilità è possibile dedurre alcune conseguenze importanti che consentono di comprendere meglio cosa sia il matrimonio canonico e quali le sue finalità.
In primo luogo, pur essendo un contratto questi si distingue dagli altri per il suo carattere sacro e religioso presentandosi come realtà complessa in cui si intrecciano la dimensione sacramente stricto sensu , giuridica e antropologica. La sua origine divina comporta una singolarità intorno al suo oggetto (can.1057 §2), in ordine al suo carattere dipendente sia dal consenso (can.1057), sia per i soggetti contraenti ovvero solo ed esclusivamente un uomo ed una donna , sia per le sue proprietà intrinseche ed essenziali di cui al can.1056 verso cui ora ci rivogliamo.
3. Le proprietà essenziali del matrimonio: analisi del can. 1056
Dopo aver cosa si intende per matrimonio che comprende anche una definizione normativa, il legislatore comincia ad entrare all’interno di esso provvedendo a descrivere, nel can.1056, quelle sono le sue proprietà essenziali l’unità e l’indissolubilità. Da notare in primo luogo, la dicitura utilizzata nel canone che con il termine proprietà si riconnette a ciò che è essenziale ad un certo istituto [16], con l’attributo essenziale ne sottolinea la loro necessità senza la quale non potrebbe non parlare di un vero e proprio matrimonio [ 17].
La prima di esse è l’ unità ovvero che un vero matrimonio canonico è possibile solo tra un uomo e una donna escludendo, quindi sia la poligamia sia la poliginia. Tale proprietà, oltre all’indubbio rimando al diritto naturale [18], si rinviene nell’ottica della divina Rivelazione come ricordano numerosi passi della S. Scrittura confermati dal Cristo fino alla tradizione dottrinale della Chiesa. Sarà, tuttavia, il Concilio di Trento che nella sessione XXIV can.2, ad affermare l’indissolubilità condannando la poligamia in polemica con Lutero: tale riferimento fu, in seguito, oggetto di una più precisa riflessione giuridica che tenne a precisare come l’unità si fondi sia sull’ essenzialità del matrimonio stesso come realtà umana ed antropologica sia sulla sua sacramentalità in relazione, quindi, alla base cristiano espresso dal Vangelo e già più e più richiamato [19].
Da ciò si deducono alcune conseguenze.
In primo luogo la necessità che, per la validità dell’unione, il consenso reso dagli sposi comprenda anche tale proprietà: nel caso in cui venga escluso implica l’esclusione del matrimonio stesso verificandosi, in tal senso, simulazione di cui al can. 1101. In secondo luogo, non potrà contrarre valido matrimonio chi sia psicologicamente incapace ad assumere l’obbligo dell’unità secondo quanto previsto dal can.1095 §2 e §3 [20].
All’unità si affianca la proprietà dell’indissolubilità che può essere definita come quella proprietà per cui un vincolo non può essere validamente sciolto ovvero, nel caso in esame, rende impossibile il divorzio Si tratta, come si può notare, di una delle più realtà importanti ma allo stesso più complesso e ancora oggi foriera di dibattiti non solo nell’ambito secolare ma anche ecclesiale. Anche in questo caso il fondamento è divino ed è rappresentato sia da Gen.2,24 sia dal Vangelo di Matteo in particolare dal cap. 19 vv. 3-9 e confermato dal magistero della Chiesa fino ai nostri giorni. Senza scendere nel dettaglio [20], valgano le parole di Giovanni Paolo II al Tribunale della Rota Romana del 28 gennaio 2002. Il Papa ricorda che “la comunione coniugale si caratterizza non solo per la sua unità ma anche per la sua indissolubilità […]. E’ dovere fondamentale della Chiesa affermare con forza […], a dottrina dell’indissolubilità del matrimonio. Radicata nella personale e totale donazione dei coniugi e richiesta dal bene dei figli, l’indissolubilità trova la sua verità ultima nel disegno che Dio ha manifestato nella sua Rivelazione” [21]. Le parole del Pontefice appaio chiare sebbene, anche per evitare fraintendimenti occorrono altre specifiche.
In primis, bisogna sottolineare che l’indissolubilità non riguarda solo un matrimonio contratto tra battezzati ma si estende anche a persone non battezzate: in altre parole, non si tratta di una specificità o di un unicum ma di una realtà connaturale e coessenziale al matrimonio stesso che , se contratto da battezzati, assume una particolare stabilità e fermezza come ricorda il can.1134.
In secundis , l’indissolubilità non comporta una totale impossibilità di scioglimento del matrimonio dal momento che, stante la presenza di certe specifiche condizioni, è possibile farlo: si tratta dei casi del matrimonio rato e non consumato (can.1142), del privilegio paolino (114e- 1147) e del c.d. privilegio petrino (can.1148 e ss.).
In tertiis , tali proprietà investono direttamente e rigorosamente l’atto costitutivo del matrimonio che dovrà essere un foedus irrevocabile. Di conseguenza sarà nullo quel matrimonio in cui le parti, pur avendo manifestato secundum legem il consenso, escludono con un atto positivo di volontà le proprietà essenziali dell’unità o dell’indissolubilità.
4. Il consenso matrimoniale: analisi del can. 1057
Dalle precedenti considerazioni è emerso come il consenso nuziale costituisca uno degli elementi più importanti e più specifici dell’intero matrimonio canonico. Tale realtà è, a chiare note, espressa dal dispositivo del can.1057 che afferma: ” §1 L’atto che costituisce il matrimonio è il consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone giuridicamente abili; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana. § 2 Il consenso matrimoniale è l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costruire il matrimonio”.
Il canone pone a chiare note l’assoluta centralità del consenso reso dagli sposi all’atto della celebrazione del matrimonio risultando allora come la causa efficiens di quest’ultimo senza il quale può non parlarsi neppure di unione sponsale [22]. In questo caso il diritto canonico ripropone e ribadisce la tesi della sufficienza del consenso personale secondo quanto espresso già dal diritto romano come ricorda il celebre inciso di Ulpiano [23]. Più dettagliatamente il legislatore stabilisce ad validitatem che il consenso debba essere: 1) manifestato esternamente, 2) manifestato legittimamente , 3) da persone giuridicamente abili. Secondo il punto primo è necessario che il consenso venga reso reso esteriormente pena l’invalidità delle nozze stesse: ciò comporta sia l’emissione della voce sia, nel caso in cui non sia possibile, una serie di comportamenti concludenti capaci di rendere inequivocabile la stessa scelta nuziale [ 24]. Per il secondo occorre che il consenso debba avvenire nella forma prescritta dalla legge (can.1108), ovvero si richiede una celebrazione pubblica, con le sue caratteristiche, non essendo un rito privato senza conseguenze pubbliche [25].In ultimo il requisito dell’abilità dei nubendi la quale suppone anzitutto la capacità naturale degli sposi come ad il sufficiente uso di ragione ecc, l’assenza di impedimenti ed infine l’idoneità giuridica intesa come l’insieme dei requisiti richiesti dal diritto positivo nei confronti che intendono contrarre matrimonio.
Ancora nel primo paragrafo degno di nota risulta il principio secondo cui il consenso “nulla humana potestate suppleri valet”. Ciò significa che, a motivo della sua costitutività, nessuna autorità umana né civile né ecclesiastica può supplire alla manifestazione del consenso. Non vi è dunque nessuna possibilità che non siano gli sposi a non celebrare le nozze escludendo qualsiasi potere di supplenza o di integrazione da parte di chiunque [26].
Più incisivo il paragrafo dove si procede ad una più attenta analisi di cosa sia il consenso matrimoniale: da notare anzitutto l’inciso actus voluntatis il quale, secondo la dottrina, mette l’accento sulla ” determinazione del momento costitutivo del matrimonio, secondo cui la causa efficiente del vincolo coniugale è il solo consenso de praesenti,” [27] mentre, ancora più peculiare risulta l’oggetto specifico del consenso in cui uomo e la donna si accettano reciprocamente attraverso un irrevocabile patto ad costituendum matrimonium-
Tale inciso, in verità, appare legato alla diversa concezione del matrimonio emersa durante il Vat. II e definito giuridicamente, come già visto, dal can. 1055. In effetti il can. 1081 §2 del Codice Pio- Benedettino faceva riferimento allo ius in corpus inteso come quell’insieme di atti di per sé idonei alla procreazione e alla generazione della prole. Era – lo si può intuire facilmente – una definizione piuttosto ristretta e di per sé incapace di descrivere con ampiezza le conseguenze del sì espresso dagli sposi tant’ è che già intorno agli anni 40 fu oggetto di critiche e di proposte di cambiamento [28] che trovarono una loro felice sintesi in Gaudium et Spes nel già citato n.48 e 49. Proprio il testo conciliare affermando che gli sposi, tramite la loro reciproca donazione, tendono alla loro integrazione e al loro mutuo perfezionamento appare come la fonte principale del suddetto canone il quale pone come punto fondamentale la dimensione della totalità, della reciproca accettazione per formare una cosa sola [29]. In altre parole la manifestazione del consenso comporta la costruzione di un patto d’amore intendendo quest’ultimo non nella sua dimensione affettiva e psicologica ma in quella effettiva [30] nella prospettiva di dono, di impegno di comunione e di vita il quale sarà beneficiato anche dalla generazione di figli ma che pone, come primo ed immediato aspetto, quella communio tra i nubendi secondo quanto già espresso in precedenza.
5. Conclusioni
Alla luce di quanto stabilito nei paiono opportune alcune considerazioni conclusive al fine di precisare, in punti salienti, la singolarità e l’essenzialità del matrimonio canonico. Anzitutto la realtà consensuale dell’istituto che si riflette nella necessità e nella costitutività di quest’ultimo senza il né quale può parlare di vero matrimonio. Il consenso dunque rappresenta, come già visto, la vera e propria causa efficiente esclusivamente dagli sposi ai quali nessuno può sostituirsi. Proprio questi attraverso la manifestazione della propria volontà appaiono come i “protagonisti” dell’istituto: la loro volontà, dunque, tradotta e realizzatasi nella manifestazione del consenso conduce a quella reciproca accettazione dalla quale si forma un’unica identità salvando, certo le particolarità dell’una e dell’altra personalità ma in vista di una comunione manifestata dall’unità e dall’indissolubilità. Il contratto matrimoniale esige, pertanto, una riflessione più complessa in cui il carattere consensuale va di pari passo a quello antropologico ea quello dell’ una caro nell’ottica della sua dimensione sacramentale.
In altre parole il matrimonio canonico non può subito una lettura limitativa o comunque sommaria ma, al contrario, esige un approfondimento dottrinale e giuridico in cui, anteponendo i propri pregiudizi o le proprie tesi personali, si cerchi di arrivare a comprendere la sua ragione più profonda e di per sé anche più complesso. Tale realtà è ben evidente allorché si parla dei fini del matrimonio stesso: non più posti gerarchicamente, quest’ultimi illuminano e danno pienezza all’unione sponsale alla luce sì della volontà degli sposi ma soprattutto della grazia che sa illuminare e corroborare ogni uomo ed ogni donna.
Riferimenti bibliografici
[1] Sull’origine del matrimonio si segnala A. FERRAIUOLO, Breve storia del matrimonio, Gaeta 2019.
[2] Così L. SABBARESE, Il matrimonio canonico nell’ordine della natura e della grazia. Commento al Codice di diritto canonico. Libro IV, Parte I, Titolo VII, Città del Vaticano, 2016, 46.
[3] Per maggiori approfondimenti si veda S. ARDITO, Il matrimonio, in AA.VV., Il diritto nel mistero della Chiesa, Vol. III, Roma 1980, 200 -206.
[4] L. SABBARESE, Il matrimonio, 53,
[5] Si veda P. VISENTIN, Il matrimonio nella luce della teologia patristica, in AA.VV, Il matrimonio cristiano. Studi biblici, teologici e pastorali. Il nuovo rituale, Torino 1978, 32-48. Tra le opere di S. Agostino concernenti il matrimonio si ricorda su tutti il De bono coniuguali.
[6] La sintesi principale dell’Aquinate sul matrimonio è contenuta nel Supplementum della Summa e più dettagliatamente nelle domande 41-68.
[7] Le decisioni del Concilio di Trento ebbero una particolare ed immediata applicazione: ne è eco costitutiva il Catechismo Romano del 1566.
[8] Tra i commentari più noti cfr. FM CAPPELLO, Tractatus canonico- moralis de sacramentis, Vol.V, De matrimonio, Roma 1950.
[9] Cfr. L. SABBARESE, Il matrimonio, 68-74; U. NAVARRETE, Consenso matrimoniale e amore coniugale con particolare riferimento alla Cost. “Gaudium et Spes” , in Annali di dottrina e giurisprudenza canonica, Vol. I, L’amore coniugale , Roma 1971, 203 -214.
[10] Così L. CHIAPPETTA, Il Codice di diritto canonico: commento giuridico pastorale , Bologna 2011, 261.
[11] Modestino definisce così il matrimonio: ” Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio”. mentre Ulpiano si esprime nel seguente modo: ” Viri et mulieris coniunctio individuam consuetudinem vitae contines”.
[12] Cfr. L. CHIAPPETTA, Il Codice di diritto canonico, 262.
[13] L. SABBARESE, Il matrimonio, 89.
[14] Su tutti la tesi di Melchiorre Cano secondo cui tra contratto e sacramento vi è separabilità.
[15] FRANCESCO, Esortazione Apostolica post-sinodale sull’amore nella famiglia, Amoris Laetitia , 19 marzo 2016, in AAS 108 (2016), 311-446.
[16] Cfr. L. SABBARESE, Il matrimonio, 105.
[17] Cfr. PA BONNET, Essenza, proprietà essenziali, fini e sacramentalità (cann.1055 -1056), in PA BONNET – C. GULLO (a cura di), Diritto matrimoniale canonico, Vol. I, Città del Vaticano 2002, 115.
[18] Sul punto L. SABBARESE, Il matrimonio, 107.
[19] Cfr. A. TOSATO, Il matrimonio nel Giudaismo Antico e nel Nuovo Testamento. Appunti per una storia della concezione del matrimonio , Roma 1976.
[20] Cfr. C. CERRETI, Matrimonio e indissolubilità. Nuove prospettive , Bologna 1971; L. SABBARESE, Il matrimonio, 112 -125.
[21] GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione alla Rota Romana, 28 gennaio 2002, in AAS 94 (2002), 340 -346.
[22] Per tutti FM CAPPELLO, Tractatus canonico- moralis de sacramentis , Vol.V, De matrimonio , Taurini – Romae 1950, 540 -545.
[23] E’ il famoso inciso ” Consensus facit nuptias”.
[24] Per un approfondimento AS SANCHEZ GIL, La presunzione di validità dell’atto giuridico nel diritto canonico , Torino 2006, 244.
[25] Come del resto lo è anche il matrimonio celebrato e regolato dalla legge dello Stato: in altri termini sia nell’uno sia nell’altro ordinamento la natura del matrimonio rimane sempre pubblica.
[26] Così come affermato dal decreto tridentino Tametsi.
[27] L. SABBARESE, Il matrimonio , 133.
[28] Era il cd ius in corpus di cui al can.1081 §2 del Codice Pio – Benedettino.
[29] L. SABBARESE, Il matrimonio , 136. Cfr. A. ABATE, La costituzione del matrimonio nel Nuovo Codice di Diritto Canonico, in AA.VV, La nuova legislazione canonica, Roma 1983, 293.
[30] Il punto è ben chiarito da L. CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico, 268.
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Giancarlo Ruggiero
Nato a Ceccano (Fr) il 9 febbraio 1993, ho conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza il 21 aprile 2017 presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Il 17 giugno 2020 ho terminato gli studi presso la Pontificia Università Lateranense Summa cum Laude: attualmente sono dottorando in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana, studente dello Studio Rotale. Difensore del Vincolo ad acta presso il Tribunale diocesano di Frosinone