Il modello sistemico nella mediazione familiare
Sono diversi i modelli di mediazione diffusi nella pratica e non è possibile stabilire in astratto quale sia l’approccio in assoluto migliore. Pertanto, è necessario che il mediatore sia sempre in grado di attingere alla metodologia più adeguata al caso concreto con un approccio elastico che non si fossilizzi su un unico modello e per farlo deve, chiaramente, conoscerli tutti. Tuttavia, appare evidente che il modello di mediazione familiare più utilizzato sia quello sistemico, ovverosia “un processo di negoziazione che fa riferimento dal punto di vista teorico e pragmatico all’approccio sistemico-relazionale, alla teoria della comunicazione, dell’informazione e alla teoria generale dei sistemi“[1].
Così come per la psicoterapia, anche per la mediazione familiare si è inteso adottare l’indirizzo sistemico quale riferimento epistemologico, stanti gli effetti positivi e l’efficacia delle mediazioni svolte sulla base di questo metodo, che si basa su una concezione sistemica e, per l’appunto, relazionale della natura umana, ricavando una visione “contestuale” o di contesto della sofferenza e del conflitto.
Gregory Bateson, ricordato come il “grande padre” della teoria sistemica, riteneva, infatti, che senza contesto non fosse possibile comprendere il comportamento umano: solo attraverso un approccio sistemico-relazionale si può, dunque, valorizzare la relazione, anche conflittuale, di due parti nella misura in cui l’individuo viene colto entro la struttura dei rapporti che ha con altri individui nei vari contesti di appartenenza.
Il modello sistemico, prendendo in considerazione l’intero sistema familiare coinvolto e, quindi, il contesto all’interno del quale il conflitto della coppia è sorto, si pone l’obiettivo di aiutare non solo le due parti in conflitto, ma il gruppo familiare che viene coinvolto direttamente o indirettamente – si pensi ai figli – al fine di superare la fase di mero scontro e raggiungere un accordo soddisfacente e quanto meno lesivo possibile per tutti i soggetti coinvolti.
L’allargamento del campo di analisi e l’attenzione per il contesto sono gli elementi caratterizzanti questo tipo di metodologia che, proprio per il fatto di ricorrere alle risorse presenti un ampio assetto relazionale coinvolgente i diversi membri della famiglia, ha lo svantaggio di necessitare di maggiore tempo per addivenire ad una soluzione “conciliativa”, ma al contempo presenta il vantaggio di assicurare un lavoro sulla persona che permette una migliore gestione del conflitto in una logica di lungo termine, non esclusivamente e meramente destinata alla risoluzione di questioni di natura economica e fiscale.
Del resto, la famiglia – punto di riferimento privilegiato nella mediazione dei conflitti – è intesa come un sistema aperto, inserita in un contesto, organizzata in sottosistemi in relazione tra loro e, a loro volta, con altri sistemi.
E, proprio in quanto sistema, la famiglia ha le proprietà attribuite ai sistemi stessi: la totalità, la retroazione e la equifinilità.
Quanto al primo aspetto, la totalità, la famiglia è intesa come un sistema tale per cui ogni parte di esso è in rapporto con le parti che lo costituiscono nel suo complesso. Da tale assunto ne discende che un qualunque cambiamento di o in una parte di esso si riverbera in tutte le altre parti e nel complesso dell’intero sistema. Altra conseguenza del principio della totalità è l’applicazione del principio delle cosiddette relazioni circolari tra gli elementi del sistema medesimo: se il comportamento di A influenza il comportamento di B, questo non può far altro che influenzare a sua volta la reazione di A e così via dicendo.
Anche la retroazione è a sua volta conseguenza diretta di questa circolarità tipica dei sistemi interattivi, come quello familiare. Infine, per equifinalità si intende non solo la circolarità del sistema ma la sua autoregolazione. Gli effetti prodottisi all’interno di un sistema familiare non sono determinati tanto dalle condizioni iniziali quanto piuttosto dalla natura del processo o dai parametri del sistema.
Gli stessi risultati possono avere, dunque, origini diverse perché ciò che è determinante è la natura dell’organizzazione: se il comportamento “equifinale” dei sistemi aperti è basato sulla loro dipendenza tanto dalle condizioni iniziali quanto da quelle finali, allora non soltanto condizioni iniziali diverse possono produrre lo stesso risultato finale, ma risultati diversi possono essere stati prodotti dalle medesime cause.
Ecco la ragione per la quale, essendo la famiglia un tipico esempio di sistema aperto, non si può prescindere dall’analisi del contesto in cui è inserita. “Un fenomeno resta inspiegabile finché il campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica”[2].
Il processo di mediazione familiare in un’ottica sistemica non dovrà, pertanto, limitarsi a considerare il contenuto del conflitto tra le due parti che al mediatore ricorrono, ma dovrà soprattutto indagare e analizzare il contesto in cui il conflitto è sorto e si è sviluppato.
Ne discende un imprescindibile allargamento della visuale a tutto il sistema familiare e non solo alla diade marito-moglie: i figli, se presenti, devono essere resi partecipi e ascoltati, pur tenendo conto del fatto che un bambino molto piccolo non potrà mai essere parte di una seduta di mediazione – mentre ciò sarà possibile a partire dai dodici anni, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto e adottate tutte le cautele necessarie –, e si potrà financo arrivare a valutare il coinvolgimento delle generazioni parentali in un’ottica trigenerazionale. L’attenzione del mediatore sarà rivolta, dunque, sia alle relazioni orizzontali che a quelle verticali tra i membri del sistema-famiglia.
Da quanto evidenziato, emerge l’importanza fondamentale per la comprensione delle dinamiche del conflitto l’analisi del genogramma e del ciclo di vita della famiglia. La coppia, del resto, da sola appare un’entità spogliata della sua storia e dei suoi legami tra le generazioni, che pur l’hanno influenzata e che sono a loro volta influenzate dal conflitto. I figli, come la generazione dei genitori dei genitori, non sono infatti mai tenuti distanti dall’evento che li coinvolge e, pertanto, sono elementi del sistema necessariamente da tenere in considerazione[3].
[1] Bassoli F., convegno su Mediazione e Costruzionismo sociale, in Delbert R.M., Mediazione, in Mediazione Sistemica, Bassoli F., Mariotti M., Frison R., Ed. Sapere,1999.
[2] Watzlawick, J. H. Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Ed. Astrolabio, Roma 1997, p.117.
[3] Vedasi: Bassoli F., Introduzione: perchè mediazione sistemica, in Mediazione Sistemica, Bassoli F., Mariotti M., Frison R., Ed. Sapere,1999.
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