Il notaio è responsabile anche per la delibera annullabile
Cass. civ., sez. II, 19 luglio 2016, n. 14766
Con la sentenza in commento, la II sezione, intervenendo in tema di responsabilità disciplinare del notaio, afferma l’inedito principio per cui quest’ultimo è da ritenersi responsabile ai sensi dell’art. 138bis l. notarile ove richieda l’iscrizione nel registro delle imprese di una delibera invalida anche se il vizio da cui la stessa è affetta non è la nullità radicale, ma la mera annullabilità, purché si tratti di patologia manifesta, emergente da un’analisi strettamente documentale ed aliena da ogni sindacato di merito.
Nel caso in esame, la Commissione regionale di disciplina della Campania e della Basilicata (Co. re. di.) aveva assolto il notaio dagli addebiti formulati contro di lui dal Consiglio notarile per aver richiesto l’iscrizione di un verbale di assemblea straordinaria in cui vi erano deliberazioni di modifica statutaria manifestamente contrarie alla legge. I profili di invalidità contestati erano diversi: nell’avviso di convocazione era stato indicato, quale materia all’ordine del giorno, esclusivamente l’attribuzione di particolari diritti ad alcuni membri della compagine sociale in relazione all’amministrazione della società ed all’uso dei beni sociali, non anche la modifica ai diritti di nomina dei componenti dell’organo di controllo. In secondo luogo, la deliberazione verbalizzata aveva attribuito ai soci definiti di maggioranza il potere di designare i membri del collegio sindacale senza la necessaria unanimità, bensì tramite l’espressione favorevole della sola maggioranza dei soci. La Commissione, pur non mettendo in dubbio i siffatti profili, evidenziava, in accordo con il diritto vivente, che la mera annullabilità non consentiva di poter ritenere integrato alcun illecito disciplinare in capo al professionista intellettuale.
A seguito di reclamo del Consiglio, la Corte territoriale aveva invece ribaltato tali conclusioni, comminando all’ incolpato sia la sospensione (per un periodo di mesi sei) sia la sanzione pecuniaria (pari ad euro 516). Secondo la Corte d’Appello di Napoli, infatti, in sede di controllo sulla possibilità di iscrivere o meno la delibera, compito del notaio non era esclusivamente la verifica dei vizi di nullità, ma anche dell’eventuale annullabilità della stessa, ove, come nel caso, l’invalidità fosse palese dal mero scrutinio dell’atto (in cui risultavano, invero, plurimi deliberati con oggetto contrario a norme imperative, con grave depauperamento delle garanzie per i soci di minoranza). Dal verbale era infatti chiaro che l’assemblea non era stata pacificamente totalitaria, essendosi tenuta in evidente e assoluta carenza di informazione dei soci (in ragione del difetto dell’avviso di convocazione); i soci “sacrificati” non avevano quindi prestato un valido consenso al vantaggio attribuito ai soci di maggioranza, come invece sarebbe stato necessario ai sensi di legge per ogni modifica dei diritti c.d. fondamentali, che caratterizzano la posizione del socio all’interno della compagine.
Il notaio si era quindi rivolto alla S. Corte di legittimità, ponendo in rilievo la circostanza che gli interessi eventualmente lesi dalla sua condotta non avessero natura collettiva, né coinvolgessero terzi estranei, ma rimanessero comunque circoscritti ai soci di minoranza. Peraltro, ad ulteriore conferma che il vulnus avesse coinvolto esclusivamente situazioni disponibili alle parti, i soci dissenzienti avevano omesso di procedere a presentare alcuna impugnativa nei termini di legge, scegliendo, nella loro libertà ed autonomia, di non attivare la tutela demolitoria a fronte di un diritto di nomina che, a parere del ricorrente, rimaneva sostanzialmente neutrale rispetto alla posizione complessiva del socio in quanto tale. Il difetto nell’indicazione dell’ordine del giorno, poi, avrebbe potuto essere adeguatamente contestualizzato, considerando che l’oggetto deliberato non era così distante da quello prospettato (organo di amministrazione-organo di controllo), potendo dunque ammettersi quale deliberazione “consequenziale”.
La pronuncia della Corte di legittimità, in via preliminare, affronta proprio quest’ultima annotazione difensiva, evidenziando che, nel caso de quo, non vi sono margini per ritenere che la deliberazione fosse ammissibile in quanto implicita, accessoria o consequenziale alla materia comunicata. Come chiarito da numerose pronunce (ex multis, Cass. civ., sez. I, 17 Novembre 2005, n. 23269; Cass. civ., sez. I, 27 Giugno 2006, n. 14814), l’indicazione dell’ordine del giorno nella previa comunicazione ai soci riveste una duplice funzione: per un verso, consente a coloro che intendono prendere parte all’assemblea di giungere adeguatamente preparati a quest’ultima; d’altro canto, mira a tutelare anche la buona fede degli assenti, al riparo da deliberazioni “a sorpresa” su temi imprevedibili. Ciò non implica la necessità di un’elencazione particolareggiata, essendo all’uopo sufficiente anche un’indicazione sintetica: purché però quest’ultima risponda alla sua funzione di esprimersi con chiarezza e precisione, rendendo prevedibili e non “insidiosi” anche eventuali sviluppi della discussione e delle relative decisione.
Né, a parere della II sezione, merita accoglimento l’ulteriore censura prospettata dal ricorrente, secondo la quale la delibera avrebbe in ogni caso coinvolto una materia disponibile alle parti, senza alterare la fisionomia, strutturale e funzionale, della posizione del socio. Al contrario, la stessa era andata a scompaginare gli equilibri dell’organizzazione societaria: concedere un nuovo diritto solo ad alcuni dei membri (negandolo, per converso, a tutti gli altri) è, in sé e per sé, modifica più rilevante rispetto alla mera variazione delle posizioni comuni, in una situazione necessariamente caratterizzata dall’intuitus personae, nella quale l’intreccio reciproco è tale per cui la misura della posizione altrui è elemento costitutivo anche della latitudine della propria.
Venendo poi allo specifico thema decidendum, l’esame della S. Corte si concentra intorno alla figura del notaio ed ai compiti a lui demandati prima di poter chiedere l’iscrizione nel registro delle imprese. L’ordinamento richiede l’intervento di una figura così rilevante perché quest’ultimo possa assicurare ex ante la certezza dei traffici rispetto alle vicende (anche modificative) di un contratto, qual è quello costitutivo di una società di capitali, per sua natura destinato a immettersi e circolare nel mondo giuridico. La verifica in esame, che assume i tratti di un controllo sostanziale di legalità, deve mirare a verificare la conformità di quella deliberazione alle caratteristiche tipologiche previste dalla legge, prescindendo dalla tradizionale dicotomia che distingue i vizi negoziali a seconda che cagionino la nullità ovvero l’annullabilità. Al contrario, il suo esame deve essere ad ampio raggio, coinvolgendo sia il profilo contenutistico sia il procedimento formativo al fine di verificare se sussistano tutte le condizioni procedurali richieste, senza potersi, ovviamente, ingerire nel merito di quanto deciso, né ricorrere ad elementi estranei al mero atto oggetto del suo esame.
Tanto precisato in ordine all’estensione dello scrutinio notarile, la distinzione de qua (nullità-annullabilità) non può (più) rilevare anche per attribuire o meno la responsabilità disciplinare al notaio. La Corte non omette di rilevare che, fino alla pronuncia in commento, il diritto vivente ha sempre contenuto la possibilità di formulare addebiti solo allorquando gli atti da lui autenticati o ricevuti fossero affetti da nullità assoluta, radicale ed insanabile (Cass. civ., sez. III, 11 Novembre 1997, n. 11128; Cass. civ., sez. III, 4 Novembre 1998, n. 11071; Cass. civ., sez. III, 1° Febbraio 2001, n. 1394; Cass. civ., sez. III, 7 Novembre 2005, n. 21943; Cass. civ., sez. III, 14 Febbraio 2008, n. 3526). Tuttavia, nel caso dell’art. 138bis l. notarile, in tema di richiesta di iscrizione nel registro delle imprese delle deliberazioni di una società di capitali verbalizzate dallo stesso notaio, la disposizione normativa ha cura di precisare che la responsabilità disciplinare sorge “quando risultano manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge”, senza null’altro specificare e, soprattutto, senza espressamente richiedere la nullità della delibera.
Ciò ovviamente non implica che una qualsiasi irregolarità possa determinare sic et simpliciter la responsabilità disciplinare; ma l’ulteriore elemento idoneo a determinarla non è dato né dalla necessaria ricorrenza della sanzione della nullità, né dal contrasto con norme poste a protezione di interessi di terzi estranei. Come emerge dall’esegesi letterale del testo, il quid pluris è invece nel carattere “manifesto” della suddetta difformità fra fattispecie legale e caso concreto, ovverosia nel carattere palese ed inequivoco della stessa, senza poter invece pretendere dal notaio che lo stesso si discosti dall’orientamento consolidato, assumendo su di sé compiti ermeneutici e subendo il relativo rischio di essere sanzionato in via disciplinare per incertezze interpretative giurisdizionali che il suo ruolo non gli impone di risolvere. Nel caso, però, non poteva dirsi sussistente, anche in via astratta o ipotetica, alcun dubbio: tramite una delibera modificativa, priva della richiesta unanimità del consenso, si attribuivano alla maggioranza diritti di sostanziale egemonia entro la struttura societaria, senza che una simile evenienza fosse stata in alcun modo prospettata nel precedente avviso ai soci.
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Nicola Alessandro Vecchio
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