Il nuovo accesso civico universale è veramente una forma di controllo diffuso degli atti della PA?
Sommario: 1. La trasparenza amministrativa – 2. L’accesso documentale – 3. La nuova nozione di trasparenza amministrativa – 4. Gli obblighi di pubblicazione e l’accesso civico – 5. La FOIA o accesso civico generalizzato – 6. I limiti all’accesso universale, la discrezionalità della p.a. e i conseguenti problemi in tema di tutela della riservatezza – 7. Ambiti applicativi dell’accesso civico generalizzato – 8. L’accesso nella prospettiva europea.
1. La trasparenza amministrativa
In un primo tempo il procedimento amministrativo si reggeva sul principio di segretezza e dunque sul mancato coinvolgimento dei privati nell’attività della pubblica amministrazione (p.a.). Ciò trovava giustificazione nel modo di atteggiarsi dei rapporti tra p.a. e i cittadini, connotati da una posizione di sovraordinazione della prima rispetto ai secondi.
A ogni modo siffatta situazione mal si conciliava con il dato costituzionale. Invero, benché in Costituzione difetti un riconoscimento espresso della trasparenza e dei suoi corollari (accesso e pubblicità), la stessa è comunque deducibile da un insieme di disposizioni[1].
Viene, innanzitutto, in rilievo l’art. 97 Cost. che pone, proprio in materia di amministrazione, i principi di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa alla cui attuazione contribuisce senza dubbio la trasparenza, atteso che questa consente la conoscibilità degli atti adottati dalla p.a. e rende così possibile esperire un controllo sui medesimi per valutarne l’efficienza e l’imparzialità delle scelte in essi contenute.
L’art. 1 Cost. al secondo comma specifica che la sovranità appartiene al popolo e uno degli strumenti attraverso cui tale sovranità può essere esercitata è precipuamente la trasparenza dell’azione amministrativa, dato che la stessa permette ai cittadini di partecipare con consapevolezza alla vita democratica e alla gestione della cosa pubblica.
Ancora, l’art. 21 Cost. riconosce la libertà di manifestazione del pensiero da cui discendono il diritto di informare nonché il diritto ad essere informati. Nell’ambito applicativo di quest’ultimo ben può farsi rientrare la trasparenza amministrativa specie sotto i profili della pubblicità degli atti e dell’accesso ai medesimi.
Gli artt. 24 e 113 Cost. garantiscono un controllo giurisdizionale sugli atti della p.a. e nell’ottica di consentire un tale controllo e permettere ai cittadini di attivarlo è necessario rendere conoscibili gli atti amministrativi adottati per comprendere l’iter logico giuridico seguito dalla amministrazione nella propria decisione, lesiva dell’altrui sfera giuridica. Da qui l’importanza della trasparenza anche in tale settore.
A fronte di un siffatto quadro costituzionale, la legge n. 241 del 1990 ha superato il principio di segretezza in favore di quello della trasparenza. Ciò è stato determinato dalla evoluzione del rapporto p.a.- privati all’insegna della parificazione e del conseguente coinvolgimento dei cittadini all’interno del procedimento amministrativo per il tramite di diversi istituti, tra cui quello dell’accesso.
2. L’accesso documentale
L’istituto è regolamento dagli artt. 22 e ss. della L. 241 e viene definito come “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi” (art. 22, co. 1, lett. a.).
Nell’ottica di permettere un’ampia applicazione dell’accesso il legislatore fornisce una nozione lata di “documento”, tale da ricomprendere i più svariati atti formati o detenuti dalla p.a. adita e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale[2]. Unica condizione che viene posta è quella per cui la richiesta deve riguardare informazioni contenute in documenti già formati dalla p.a. e quindi non può implicare un’attivazione della stessa nell’ottica della formazione dell’atto (art. 22, co. 4).
Malgrado la configurazione di un oggetto del diritto di accesso così esteso, il legislatore non riconosce tale diritto a chiunque ma solo ai c.d. “interessati”, ossia a coloro che possiedono un interesse diretto, concreto, attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento di cui è chiesta la consegna o esibizione.
Tale delimitazione ha posto non pochi problemi in ordine al corretto inquadramento dell’accesso in termini di diritto soggettivo ovvero di interesse legittimo.
Invero, il Consiglio di Stato con la pronuncia n. 16 del 24 giugno 1999, aveva optato per quest’ultima soluzione motivandola sulla scorta della sussistenza di un potere in capo alla p.a. di tipo discrezionale, diretto alla verifica dell’effettiva presenza di una posizione differenziata in capo al privato, ossia di una situazione giuridica soggettiva da tutelare. A detta dei giudizi di Palazzo Spada ciò risultava corroborato dalla previsione di un sistema di tutela giudiziale analogo a quello previsto per gli interessi legittimi, connotato da un termine decadenziale (30 gg), per l’impugnazione della determinazione assunta dalla amministrazione sulla domanda di accesso.
Gli interventi legislativi e giurisprudenziali successivi hanno smentito questa impostazione[3]. A parte il dato letterale, rappresentato dal fatto che l’art. 22 qualifica espressamente l’ accesso come “diritto”, viene altresì in rilievo la devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (operante proprio nei casi in cui vengono in rilievo diritti soggettivi)[4]. Inoltre l’accertamento che la p.a. è chiamata a svolgere non presenta alcuna discrezionalità, dovendo la stessa limitarsi a verificare la sussistenza delle condizioni poste dal legislatore per il riconoscimento di quel diritto. Unica forma di discrezionalità riconosciutale è quella posta dall’art. 24, co. 2, L. 241 che permette alle singole p.a. di individuare le categorie di documenti sottratte all’accesso.
Con le sentenze nn. 6 e 7 del 2006 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha deciso di privare di consistenza tale diatriba. Ha, infatti, evidenziato che l’accesso non integra un bene della vita autonomo ma si pone come una situazione strumentale alla tutela di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo. Ne discende che una sua lesione assumerebbe rilievo nei limiti in cui la stessa realizzi contestualmente la menomazione di una ulteriore situazione giuridica soggettiva effettivamente esistente e qualificabile come diritto o come interesse legittimo. L’accesso viene così ricondotto nella categoria dei c.d. “diritti- rimedi” che attribuiscono diritti e facoltà di carattere meramente procedimentale in vista della conservazione o del conseguimento di un ulteriore bene della vita. Ciò giustifica l’assoggettamento ad un termine decadenziale di modo da consentire che tali facoltà vengano spese all’interno del procedimento, evitandone un eccessivo aggravio.
Recentemente il Consiglio di Stato[5] è tornato sull’argomento escludendo che l’accesso sia uno strumento spendibile unicamente per la tutela di ulteriori situazioni giuridiche soggettive, dato che lo stesso si pone come un autonomo bene della vita, qualificabile come diritto soggettivo che può essere fatto valere anche quando difetti una lesione della propria sfera giuridica e quindi per scopi diversi da quelli inerenti alle difesa in giudizio.
Ciò troverebbe peraltro conferma nel fatto che l’accesso è riconosciuto anche ai portatori di interessi diffusi, ossia a soggetti che mancano di una posizione differenziata tale da consentirgli di attivare il rimedio giudiziale . Vengono altresì in rilievo i limiti in materia di accesso configurati dall’art. 24, co. 7, L. 241 e dal D.lgs. 196 del 2003 (Codice della Privacy).
Si prevede infatti che anche laddove ricorrano le situazioni di esclusione dell’accesso elencate al comma 6, quest’ultimo deve comunque essere garantito se la conoscenza dei documenti richiesti è necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Se i dati in essi contenuti si pongono come dati sensibili o giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e qualora si tratti di informazioni inerenti lo stato di salute e la vita sessuale (dati supersensibili), occorre che l’accesso sia diretto alla tutela di situazione giuridiche di eguale valore o di diritti o libertà fondamentali.
Tale specificazione permette di ritenere che vi siano delle situazioni in cui l’accesso documentale ben può assumere una funzione distinta da quella difensiva. Invero, se l’istituto in esame fosse spendibile esclusivamente per la tutela di una propria situazione giuridica soggettiva non si comprenderebbe il motivo per il cui il legislatore ha avuto cura di precisare che l’accesso documentale deve essere comunque riconosciuto, in presenza delle limitazioni autorizzate, quando viene fatto valere per un simile scopo.
Malgrado tali sviluppi recenti, orientamento predominante continua ad essere quello espresso dall’Adunanza plenaria nel 2006 che conferisce all’accesso disciplinato dalla L. 241 una funzione prettamente difensiva.
3. La nuova nozione di trasparenza amministrativa
La considerazione dell’accesso nei termini sopra esposti ostacola la sua configurazione come strumento di effettiva attuazione del principio di trasparenza, capace di assicurare un controllo sicuro ed esteso dell’operato della p.a.
Ciò è altresì ribadito dall’art. 24, co. 3, L. 241 che sancisce l’inammissibilità di istanze di accesso preordinate ad un mero controllo generalizzato dell’azione amministrativa.
Occorre tuttavia evidenziare che un tale sistema mal si concilia col diritto europeo che concepisce la trasparenza come strumento di partecipazione democratica alla vita pubblica e come efficace strumento di prevenzione e contrasto alla corruzione (vedi infra). Pertanto, sotto l’influsso comunitario il legislatore è ritornato sulla materia[6].
La legge n. 69 del 2009 ha ricompreso la trasparenza tra i principi generali dell’attività amministrativa e ha introdotto all’art. 29 della L. 241 i commi da 2 bis a 2 quinquies in cui si afferma che l’accesso rientra tra i livelli essenziali delle prestazione inerenti i diritti civili e sociali di cui occorre assicurarne il godimento unitario su tutto il territorio della Repubblica ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m) Cost.. Ne discende la riconducibilità della sua disciplina tra le materie rimesse alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, su cui le Regioni possono intervenire senza però avere la possibilità di apporvi deroghe in peius.
Il D.lgs. n. 150 del 2009 ha, a sua volta, valorizzato il collegamento intercorrente tra la trasparenza ed il contrasto alla corruzione, da qui la Legge delega n. 190 del 2012 che ha introdotto la figura del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. Tale delega è stata attuata col D.lgs. n. 33 del 2013 che fornisce all’art. 1 una nuova nozione di trasparenza, intesa come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.
Emerge così una duplice funzione della trasparenza: 1) tutelare i diritti dei cittadini; 2) favorire forme di controllo diffuso.
4. Gli obblighi di pubblicazione e l’accesso civico
Nell’ottica di assicurare l’effettivo controllo dell’azione dei soggetti pubblici vengono introdotti appositi obblighi di pubblicazione delle informazioni in loro possesso.
A garanzia di un tale adempimento l’art. 5 del D.lgs. n. 33 individua una nuova forma di accesso denominato accesso civico. Invero, nel momento in cui la p.a. omette la pubblicazione sui propri siti istituzionali di documenti, informazioni e dati individuati dalla normativa vigente, chiunque può richiedere che i medesimi siano pubblicati.
Come si vede si tratta di un accesso con funzione proattiva, ossia diretto ad ottenere l’adempimento, seppur tardivo, di un obbligo posto a carico della p.a.. Tale rimedio è attivabile da qualsiasi soggetto e a prescindere dalla motivazione ed il suo unico limite è quello consistente nella specificazione all’interno dell’istanza dei dati, delle informazioni e dei documenti richiesti.
Ancora, a differenza dell’accesso documentale non occorre che l’istante dimostri di essere possessore di un interesse diretto, concreto, attuale collegato ad una situazione giuridicamente tutelata, inoltre la domanda può riguardare anche informazioni non ancora trasfuse in un documento.
Tale istituto assicura così ai cittadini la possibilità di effettuare un controllo diffuso dell’azione della p.a., tuttavia lo stesso è circoscritto a quei documenti ed informazioni per le quali il legislatore prescrive l’obbligo della pubblicazione. Rispetto ad altri documenti difetterebbe pertanto un’analoga possibilità di controllo, compromettendo in tal modo la piena ed effettiva attuazione della nuova nozione di trasparenza.
5. La FOIA o accesso civico generalizzato
A causa del limitato ambito applicativo dell’accesso civico c.d. “semplice”, il D.lgs. n. 97 del 2016 (intervenuto in attuazione della riforma Madia, L. n. 124 del 2015) ha modificato l’art. 5 del D.lgs. n. 33 e introdotto l’art. 5 bis, introducendo la FOIA (Freedom of Information Act), ribattezzata dall’ANAC “accesso civico generalizzato o universale”.
Il comma 2 del suddetto art. 5 prevede che “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’art. 5 bis”.
Si compensa così il vuoto lasciato dall’accesso civico semplice rispetto ai documenti non oggetto di pubblicazione, consentendo anche per i medesimi forme di controllo diffuso. Anche in tale situazione si prescinde dalla sussistenza di un interesse diretto, concreto, attuale e dalla motivazione, tuttavia in questo caso l’accesso ha una funzione reattiva, dato che si attiva a prescindere dall’inadempimento di un obbligo di pubblicazione[7].
Viene altresì esteso il novero dei legittimati passivi. Infatti, il D.lgs. n. 97 ha introdotto l’art. 2 bis che individua tra i soggetti sottoposti alla nuova forma di accesso anche: gli enti pubblici economici e gli ordini professionali; le società in controllo pubblico; le associazioni, fondazioni e enti di diritto privato finanziati in modo maggioritario da soggetti pubblici.
Si tratta di una forma di accesso diretta alla configurazione di un controllo generalizzato sull’azione della p.a.. Come sopra illustrato, tale finalità di impiego dell’ostensione risulta vietata per l’accesso documentale, pertanto deve ritenersi che le due modalità di accesso (documentale e universale), assolvono a due funzioni differenti, di difesa l’una e di controllo l’altra.
Non ricorre dunque alcuna abrogazione dato che il nuovo istituto non sostituisce quello regolamentato dalla L. 241, ma si aggiunge al medesimo, divenendo altresì strumento per scardinare le limitazioni poste per l’ostensione procedimentale (sussistenza dell’interesse, onere motivazionale, esclusione di controlli generalizzati)[8].
Per quel che attiene al procedimento il legislatore ha avuto cura di considerare anche la posizione dei controinteressati. Prevede infatti all’art. 5, co. 5, l’obbligo della p.a. di verificare la presenza di controinteressati rispetto ai documenti o informazioni oggetto della domanda di ostensione, per poi procedere a comunicare loro l’istanza ricevuta. Gli stessi hanno conseguentemente 10 gg di tempo per presentare motivata opposizione e durante la pendenza di tale termine è sospeso quello generale di 30 gg previsto per la conclusione del procedimento.
Qualora la p.a. accolga la domanda provvede a trasmettere tempestivamente al richiedente i dati o i documenti richiesti ovvero a pubblicare quelle informazioni la cui pubblicazione sul sito istituzionale è configurata come obbligatoria (intervenuto l’adempimento la p.a. devo comunicare il relativo link ipertestuale al richiedente). Se tale accoglimento è avvenuto nonostante l’opposizione del controinteressato, l’amministrazione provvede a dargliene comunicazione e consente l’accesso non prima del decorso di 15 gg dalla ricezione di tale comunicazione da parte del medesimo.
Il rifiuto o il differimento devono essere adeguatamente motivati in ordine alla sussistenza dei limiti posti dall’art. 5 bis (vedi infra). Avverso tali provvedimenti o in caso di mancata risposta nel termine di 30 gg, il richiedente può presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza che decide entro i 20 gg (se il diniego è stato motivato in ordine ad esigenze di protezione di dati personali, è necessario altresì il previo parere del Garante per la privacy). In alternativa o anche avverso la decisione in sede di riesame resta attivabile il ricorso dinanzi al T.A.R. secondo il rito di cui all’art. 116 c.p.a.
L’intervento del responsabile della prevenzione della corruzione dimostra lo stretto collegamento tra trasparenza e accesso da un lato e contrasto alla corruzione all’interno della p.a. dall’altro. Aspetto peculiare è che a differenza dell’art. 25, co. 4, L. 241 il silenzio della amministrazione sulla domanda di ostensione non viene concepito come silenzio-diniego, pertanto l’inerzia dovrebbe ricondursi nella categoria del silenzio-inadempimento, attesa la sussistenza di un obbligo a provvedere in capo alla p.a.. Tuttavia se ciò fosse corretto dovrebbe operare il regime di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. anziché quello posto dall’art. 116, ma il legislatore richiama anche in tale situazione quest’ultima disposizione[9].
Visti i dubbi in ordine alla effettiva configurazione del silenzio de quo come di inadempimento, non si può ritenere applicabile l’indennizzo previsto dall’art. 2bis, co. 1 bis, L. 241. D’altronde tale indennizzo presuppone la sussistenza del silenzio-inadempimento per cui la operatività deve ricorrere un’attività vincolata a carico dalla p.a. come emerge dagli art. 31 e 117 c.p.a..
Nel caso dell’accesso civico generalizzato l’attività della amministrazione non può ritenersi vincolata quanto piuttosto discrezionale, dato l’ampio margine valutativo riconosciutole nell’accertare la sussistenza dei limiti posti dall’art. 5 bis del D.lgs. 33.
6. I limiti all’accesso universale, la discrezionalità della p.a. e i conseguenti problemi in tema di tutela della riservatezza
In relazione alla nuova figura di accesso il legislatore pone all’art. 5 bis del D.lgs. 33 dei limiti assoluti e relativi all’accoglimento della domanda di ostensione.
Aspetto peculiare è che a differenza di quanto accade nella L. 241, in tale contesto non viene lasciato alcun margine di discrezionalità alla p.a. nella individuazione di ulteriori forme di limitazione dell’accesso. Ecco che il legislatore si arroga la legittimazione a individuare i casi di esclusione, di modo da evitare che le amministrazioni possono sottrarsi al controllo dei cittadini. Tuttavia, come si avrà modo di vedere nel corso dell’esposizione, tale obiettivo risulta vanificato dalla eccessiva genericità delle situazioni indicate, circostanza questa che conferisce alle p.a. notevoli margini di discrezionalità nell’individuare la loro ricorrenza.
A ogni modo prima di approfondire tale problematica, è opportuno stabilire quali siano le delimitazioni normativamente poste.
Per quanto attiene ai limiti assoluti, gli stessi escludono ex se la possibilità di accesso. In base al comma 3 dell’art. 5 bis, rientrano in questa categoria i casi di segreto di Stato e quelli in cui la legge vieta l’accesso o divulgazione, ivi compresi quelli in cui l’accesso è subordinato alla sussistenza di specifiche condizioni, modalità, limiti o ricorre un rinvio a quelli configurati dall’art. 24, co. 1, L. 241.
I limiti relativi sono, invece, contenuti ai commi 1 e 2 ed attengono rispettivamente ad interessi pubblici (sicurezza pubblica e ordine pubblico; sicurezza nazionale; difesa e questioni militari; relazioni internazionali; politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato; conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; regolare svolgimento di attività ispettive) e ad interessi privati (protezione dei dati personali; libertà e segretezza della corrispondenza; interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali).
In tali casi i limiti sono “relativi” in quanto la loro operatività è subordinata alla previa valutazione della p.a. in merito al possibile pregiudizio concreto che tali interessi possono subire a seguito dell’accoglimento dell’istanza di ostensione.
Tale situazione comporta come conseguenza quella per cui il richiedente si trova nella condizione di dover motivare la propria istanza, sebbene l’art. 5 lo esoneri da un tale onere. Infatti, tramite questa motivazione egli provvede a fornire alla p.a. indicazioni utili ed idonee ad orientarla nel giudizio di bilanciamento che è chiamata a svolgere tra gli interessi contrapposti[10].
Il riconoscimento in favore della amministrazione di una simile discrezionalità si giustifica a fronte della necessità di evitare che l’accesso generalizzato si trasformi in una causa di intralcio al buon funzionamento della p.a., accogliendo qualunque domanda di ostensione, specie quelle che impongono la trasfusione delle informazione possedute all’interno di un documento amministrativo[11].
A ogni modo lo stesso legislatore ha avuto modo di avvedersi dell’eccessiva discrezionalità che viene conferita alla p.a. nell’accertare la presenza dei detti limiti, a causa della loro eccessiva genericità (ad es. il concetto di “sicurezza pubblica”). Per questo motivo, egli ha demandato all’ANAC, d’intesa con il Garante per la privacy, l’adozione di linee guida volte a meglio definire le esclusioni ed i limiti all’accesso civico generalizzato.
L’ANAC ha così provveduto con la determinazione n. 1309 del 28 dicembre 2016, in cui ha specificato che quando l’amministrazione intende rigettare l’istanza deve motivare in merito alla effettiva presenza di un pregiudizio attuale, concreto derivante dall’ostensione. Resta fermo il fatto che le linee guida integrano strumenti c.d. di soft law, che si differenziano dai regolamenti in quanto costituiscono strumenti di regolamentazione flessibile e non rigida, da qui la loro agevole derogabilità.
Dal sistema così congegnato emerge la volontà del legislatore di sottrarre alla p.a. la possibilità di individuare con i regolamenti (previsti dall’art. 24, co. 2 e 6, L. 241), le limitazioni all’accesso, demandando però una tale determinazione a strumenti meno rigidi rispetto agli stessi regolamenti amministrativi[12]. Ne discende così la configurazione di un ampio potere valutativo della p.a., tendenzialmente libera di stabilire i casi in cui possano dirsi o meno integrati i limiti posti dall’art. 5 bis e conseguentemente rigettare l’istanza di accesso.
Ecco che dinanzi ad una tale situazione finisce per essere vanificato lo scopo della riforma attuata dai D.lgs. n. 33 e n. 97, indebolendo l’istituto dell’accesso che, benché configurato come strumento di controllo diffuso dell’operato della p.a., resta assoggettato al suo potere discrezionale e quindi al suo possibile diniego.
A ogni modo la presenza di tale discrezionalità pone problemi non solo sotto il profilo dell’effettiva esperibilità del diritto di accesso universale, ma altresì sotto il profilo della tutela della privacy.
Come visto, l’art. 5 impone all’autorità procedente di informare i controinteressati dell’istanza presentata e l’art. 5 bis delimita l’ostensione in presenza di un possibile pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali. Tuttavia, la stessa può accogliere la domanda anche se vi è l’opposizione del controinteressato valutando, in forza del suo potere discrezionale, l’insussistenza di una menomazione della sua riservatezza.
Difetta una indicazione chiara e precisa dei criteri da considerare nello svolgimento di siffatto accertamento, si potrebbero però ritenere operanti quelli posti dal D.lgs. n. 196 del 2003 atteso il richiamo a tale disciplina contenuto nell’art. 5 bis, co. 2, lett. a).
Vengono in tal senso in rilievo quelli di “proporzionalità”, “pertinenza”, “non eccedenza”[13]. Risulterebbe pertanto opportuno valutare se l’istanza di accesso risponde alle sue finalità tipiche e dunque sussiste un interesse pubblico alla conoscenza degli atti amministrativi, di modo da verificare il corretto esercizio dell’azione amministrativa. In assenza di siffatto interesse, la domanda diretta a soddisfare interessi individuale non sarebbe suscettibile di accoglimento ed sarebbe destinata a soccombere.
A ogni modo, anche laddove dovesse sussistere un interesse pubblico, potrebbe comunque essere carente il requisito della proporzionalità, in quanto l’ostensione finirebbe per arrecare un pregiudizio all’altrui riservatezza ben maggiore del beneficio conseguibile con l’accesso. In una situazione di tal fatta, occorrerebbe valutare se un tale pregiudizio possa essere scongiurato consentendo un accesso solo parziale oppure provvedendo ad un oscuramento dei dati personali contenuti nei documenti richiesti. Se neppure tali modalità correttive fossero sufficienti, unica possibilità per la p.a. sarebbe quella di rigettare l’istanza.
Nonostante l’art. 5 bis non compie alcune distinzione in merito alle tipologie di dati personali che possono venire in rilievo, l’autorità dovrebbe comunque modulare la valutazione dell’istanza sulla base dell’intensità della tutela accordata alle diverso forma di dato personale. Conseguentemente, sarebbe necessario assicurare una tutela più forte in presenza di dati sensibili e supersensibili.
E’ bene chiarire che anche se venissero applicati tali accorgimenti, gli stessi sarebbero pur sempre vanificati dalla disciplina posta dall’art. 5, relativa al procedimento susseguente alla domanda di ostensione. Invero, il termine di 30 gg risulta essere eccessivamente breve per consentire un compiuto e approfondito contemperamento degli interessi in gioco. Per di più ulteriore incentivo all’accoglimento dell’istanza a discapito dei controinteressati è determinato dalle sanzioni previste dall’art. 46 D.lgs. n. 33. Tale disposizione statuisce che l’inosservanza degli obblighi di pubblicazione e l’erroneo rifiuto o limitazione dell’accesso civico costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, causa di responsabilità per danno all’immagine della p.a. e tale comportamenti sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale.
Pertanto, in presenza di simili conseguenze sanzionatorie sussiste una certa pressione in capo al funzionario amministrativo che può condizionare la sua eventuale decisione di rigettare l’istanza in quanto lesiva della privacy.
Dalle suddette considerazioni è possibile affermare che la nuova modalità di accesso pone un duplice ordine di problemi: a) eccesso di discrezionalità nella valutazione dell’istanza che può spingere la p.a. a rigettarla sulla base di una interpretazione arbitraria dei limiti posti dall’art. 5 bis, impedendo all’accesso di assolvere alla funzione di controllo; b) inadeguata protezione della privacy per la mancanza di criteri stringenti che permettano alla p.a. di stabilire quando ricorre un pregiudizio concreto della stessa.
Si giunge così alla situazione paradossale per cui l’interessato per sfuggire a tale discrezionalità ha maggiore convenienza a impiegare l’accesso di tipo documentale, i cui limiti sono prefissati in maniera rigorosa (anche per quanto attiene ai rapporti con le esigenze di protezione dei dati personali), piuttosto che impiegare la nuova forma di accesso.
7. Ambiti applicativi dell’accesso civico generalizzato
L’art. 22 del D.lgs. n. 97 del 2016 ha abrogato l’art. 23, co. 1, lett. a) del D.lgs. n. 33 del 2013, che prevedeva l’obbligo di pubblicazione degli elenchi inerenti i provvedimenti di autorizzazione o concessione. La sua rimozione ha posto il problema di un possibile vulnus alla trasparenza, dato che i provvedimenti in questione possono assumere rilevanza collettiva, come nei casi di autorizzazione paesaggistica o di permessi di costruire[14].
Sul punto il Garante per la protezione dei dati personali, con le pronunce nn. 360 del 10.08.2017 e 426 del 19.07.2018, ha chiarito che non ricorre alcuna menomazione in quanto di tali provvedimenti non era prevista la pubblicazione integrale, ma solo dei loro elementi identificativi.
L’esigenza di trasparenza può comunque essere soddisfatta applicando l’accesso civico universale, posto che il medesimo viene impiegato quando difettano gli obblighi di pubblicazione. Pertanto, difettando quest’ultimi la conoscibilità dei provvedimenti viene pur sempre garantita per il tramite del nuovo istituto.
Lo stesso però non opera rispetto a qualunque tipologia di atto, sono infatti esclusi quelli di indirizzo politico e quelli funzionali all’elaborazione di tale indirizzo, così come gli atti politici e quelli normativi. Ecco che l’accesso civico riguarda, al pari di quello documentale (art. 24, co. 1, lett. c), L. 241), quegli atti in cui si esprime l’attività di gestione della p.a.[15].
In merito all’applicazione del nuovo istituto nel settore degli appalti pubblici, è opportuno evidenziare la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale.
Lo stesso si ricollega innanzitutto all’art. 5 bis, che al comma 3 mantiene fermi i limiti contenuti nell’art. 24 della L. 241 quando richiamati, circostanza questa ravvisabile proprio in materia di appalti. L’art. 53 del D.lgs. n. 50 del 2016 prevede che l’accesso all’interno della procedura di gara resta disciplinato dalla L. 241, con la conseguenza che in tale sede non opererebbe l’accesso civico ma solo quello documentale[16].
Ciò risulterebbe peraltro in linea con quanto disposto dall’art. 5 bis, co. 2, che esclude l’accesso civico quando lo stesso può arrecare un pregiudizio agli interessi commerciali ed economici di una persona fisica o giuridica, quali sono gli operatori economici che partecipano alle procedure di gara sfruttando i propri segreti industriali e commerciali nella formulazione delle offerte tecniche ed economiche presentate.
A ogni modo, benché l’art. 53 del Codice degli Appalti richiami la disciplina generale posta dalla L. 241, provvede al contempo a introdurre alcune disposizione speciali. Al comma 2 prevede, infatti, che: in caso di procedure aperte l’accesso all’elenco degli offerenti è differito fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte; nelle procedure ristrette l’accesso all’elenco di coloro che hanno presentato richiesta di invito o che sono stati invitati, è differito fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte; l’accesso alle offerte è differito fino al momento dell’aggiudicazione.
Tale disposizione ha dunque cura di specificare le fasi del procedimento all’interno delle quali l’ostensione dei documenti amministrativi non è esclusa ma semplicemente differita. La conseguenza di ciò è quella per cui non vi ostacolo alla applicazione anche dell’accesso civico, la cui operatività è però differita in conformità a quanto disposto dall’art. 53, co. 2[17]. D’altronde escludere l’applicazione di un tale istituto significa ammettere una contraddizione all’interno del Codice degli appalti pubblici che all’art. 30 configura la trasparenza come uno dei principi generali che sovraintendono l’affidamento degli appalti e delle concessioni. Da qui la necessità di valorizzare la stessa e i suoi istituti applicativi, tra cui l’accesso nelle sue molteplici forme, fermo restando i limiti posti dall’art. 24 L. 241 e le situazione di differimento dell’art. 53.
Lo stesso legislatore si preoccupa di salvaguardare l’esigenza di riservatezza dei segreti industriali e commerciali, non a caso al comma 5 dell’art. 53, lett. a), esclude l’accesso alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscono, secondo comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali. Al comma 6, però, specifica che l’accesso deve comunque essere consentito al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto. Si tratta di una disciplina in parte analoga a quella contenuta nell’art. 24, co. 7, L. 241, ossia all’accesso documentale con funzione difensiva.
8. L’accesso nella prospettiva europea
Come già accennato in precedenza, la nuova figura di accesso risente in modo significativo della disciplina comunitaria, visti i numerosi elementi di contiguità che ricorrono tra la stessa e quella nazionale.
L’accesso viene ricompreso tra i diritti fondamentali dell’Ue all’interno del Trattato di Amsterdam del 1997, nonché nella Carta di Nizza del 2000 (art. 42). La sua regolamentazione, in relazione ai procedimenti svolti dalle istituzioni comunitarie, è contenuta nel Regolamento n. 1049 del 2001 e nell’art. 15 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea.
Tale diritto viene riconosciuto ad ogni cittadino europeo e alle persone giuridiche aventi sede legale in uno degli Stati membri e viene esteso anche a coloro che risultano privi di tale cittadinanza, seppur a condizioni più stringenti. Al pari dell’accesso civico, il suo esercizio non è condizionato dalla dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato, in quanto la sua finalità non è quella di soddisfare esigenze individuali ma assicurare un controllo democratico dell’operato dei pubblici poteri.
Per quel che attiene al suo oggetto, è molto più ampio di quello previsto dal diritto interno e concerne qualsiasi contenuto informativo che verta su aspetti relativi alle politiche, alle iniziative e alle decisioni di competenza delle istituzioni comunitarie. Di conseguenza gli organi che vi possono essere sottoposti non sono solo il Parlamento, il Consiglio e la Commissione europea, ma anche altri organi, uffici e agenzie dell’Ue, tra cui la Banca Centrale Europea e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C.G.U.E.)[18].
Resta fermo il fatto che l’accesso deve pur sempre interessare atti adottati nell’esercizio delle funzioni amministrative, pertanto non possono considerarsi ulteriori funzioni come quelle giurisdizionali esercitate dalla C.G.U.E.
Sussistono limitazioni analoghe a quelle poste dall’art. 5 bis D.lgs. n. 33, che si distinguono in relative ed in assolute in cui rientra la salvaguardia degli interessi internazionali, che potrebbero essere compromessi qualora venissero divulgate informazioni che possono compromettere la fiducia tra i futuri stipulanti di un accordo internazionale.
Ulteriore limitazione è rappresentata dalla necessità di tutelare la vita privata, invero l’art. 8 Carta di Nizza, riconosce il diritto di ogni persona alla protezione dei dati personali. Tale esigenza di tutela risulta peraltro rafforzata a seguito del recente intervento del Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali n. 679 del 2016. E’ bene sottolineare che tale Regolamento non disconosce l’accesso anzi prevede che i dati conservati da un’autorità pubblica o da un organismo pubblico possano essere diffusi conformemente alla disciplina europea e a quella dei singoli Stati membri in materia di accesso.
Dal canto suo la C.G.U.E. ha avuto cura di precisare che le limitazioni poste all’accesso devono essere applicate e interpretate in senso restrittivo[19]. Inoltre il diniego non può essere genericamente giustificato per la mera presenza di una delle eccezioni normativamente previste, ma occorre specificare le ragioni per cui si ritiene che quell’ostensione possa tradursi in un pregiudizio concreto degli interessi coinvolti[20].
La disciplina comunitaria esclude particolari oneri nella presentazione dell’istanza, tuttavia qualora la stessa determini un onere particolarmente gravoso per l’amministrazione, a causa dell’ingente mole di documenti richiesti, il richiedente deve dimostrare la sussistenza di un interesse pubblico prevalente[21]. Si tratta di una delimitazione individuata dalla giurisprudenza comunitaria che per certi versi ricalca quella dell’accesso documentale, salvo differenziarsi dallo stesso per il fatto che presuppone la dimostrazione di un interesse pubblico e non di un interesse privato. Tale limite si ricollega alla necessità di preservare il buon andamento della p.a.
In ambito europeo il termine per lo svolgimento del procedimento è di 15 gg e in caso di diniego o di mancata risposta è possibile presentare ricorso allo stesso organo adito e successivamente proporre ricorso giurisdizionale al Tribunale dell’Unione Europea oppure denuncia al Mediatore europeo.
Da tale breve analisi dell’accesso comunitario emergono le numerose similitudini con l’accesso civico a conferma del condizionamento che la disciplina europea ha esercitato sul legislatore italiano al momento della adozione del D.lgs. n. 33 del 2013 e n. 97 del 2016. Permane però la significativa differenza legata al più ampio ambito applicativo del primo rispetto al secondo, a fronte della sua possibilità di estendersi anche alle attività politiche e dunque anche alle informazione inerenti il procedimento legislativo. Ciò si spiega alla luce della necessità di rafforzare la democraticità della procedura, consentendo al cittadino di partecipare al processo decisionale.
Bisogna, comunque, evidenziare che in ambito europeo l’accesso non trova un pieno riconoscimento. Invero, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (C.E.D.U.) difetta di una norma che lo ricomprende tra i diritti oggetto di tutela convenzionale[22].
Neppure la Corte europea dei diritti dell’uomo ha mai preso posizione nel senso del riconoscimento di un generale diritto di accesso.
Le pronunce più significative sul punto sono quelle che si sono mosse intorno all’art. 10 C.E.D.U.. Tale disposizione riconosce la libertà di espressione nonché la libertà di ricevere o comunicare informazioni o idee senza che vi siano ingerenze da parte dell’autorità pubblica. Ecco che da un tale diritto ad essere informati si desume un diritto di accesso alle informazioni, tuttavia la Corte ha in più occasioni escluso la deducibilità di un obbligo della p.a. di attivarsi per diffondere tali informazioni e ha provveduto a definire i limiti applicativi dell’accesso.
In particolare la Corte ha ravvisato una violazione dell’art. 10 C.E.D.U. in presenza di determinate condizioni: a) lo scopo per cui è presentata la domanda di ostensione è quello di ottenere informazioni idonee ad alimentare il dibattito pubblico; b) l’informazione a cui si intende accedere deve essere di interesse pubblico; c) il richiedente deve svolgere un’attività consistente nella diffusione di informazioni rilevanti per il dibattito pubblico (c.d. watchdog, ossia colui che svolge attività di tipo giornalistico); d) i documenti contenenti le informazioni devono rientrare nella pronta ed immediata disponibilità della p.a[23].
Da un tale quadro emerge come l’accesso in ambito convenzionale risulti assai circoscritto dato che non viene riconosciuto ai privati cittadini di adire la Corte E.D.U. a seguito del diniego opposto dalla amministrazione all’istanza di accesso volta a soddisfare interessi conoscitivi di carattere individuale. Pertanto l’art. 10 C.E.D.U. non conferisce all’individuo un generale diritto di acceso alle informazioni in possesso delle autorità pubbliche, né obbliga tali autorità a conferire allo stesso tali informazioni una volta richieste, a meno che non abbiano rilievo pubblicistico e il richiedente svolga un’attività di tipo giornalistico.
[1] G. TARDI, Dall’accesso agli atti all’accesso civico generalizzato. L’evoluzione del principio di trasparenza amministrativa, in salvisjuribus.it, amministrativo; A. DI CAPIZZI- L.G. NAUSICA, Il diritto di accesso tra ordinamento interno e ordinamenti sovranazionali, Accesso agli atti nel diritto interno.
[2] L’estensione dell’accesso anche alla attività privatistica della p.a. si ricollega alla L. n. 15 del 2005 che ha risolto la discussione sorta in dottrina e giurisprudenza in ordine alla operatività dell’istituto de quo anche in caso di attività privatistica. Invero, si è constatato che anche in tali casi l’amministrazione agisce pur sempre in presenza di un vincolo teleologico di rilievo pubblicistico. La novella ha interessato anche i soggetti di diritto privato, anche se per essi l’assoggettamento all’accesso è circoscritto all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.
[3]F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, edizione IX, Parte III, Capitolo 2, Il principio di trasparenza dell’azione amministrativa, pag. 1132-1133; A. DI CAPIZZI- L.G. NAUSICA, op. cit.; G. CIRILLO, Il nuovo sistema della tutela giustiziale e giurisdizionale in materia di accesso ai documenti amministrativi.
[4] Modifica dell’art. 25, comma 5, L. n. 241 realizzata dalla L. n. 80 del 2005.
[5] Cons. St., sez. IV, sent. n. 1897 del 2015, Cons. St., sez. III, sent. n. 1978 del 2016 e Cons. St., sez. III, n. 696 del 2016.
[6] N. DURANTE, Pubblicità, Trasparenza e FOIA: indicazioni operative, in giustizia-amministrativa.it.
[7]F. CARINGELLA, Compendio di diritto amministrativo, ed. 2017, Parte IV, Cap. I, Il principio di trasparenza dell’azione amministrativa: l’accesso ai documenti amministrativi, pag. 339.
[8] N. DURANTE, op. cit. Può tutt’al più ritenersi intervenuta una abrogazione parziale se si ritiene che l’accesso documentale non abbia solo una funzione difensiva ma anche di controllo, seppur qualificato. Conseguentemente l’accesso documentale sarebbe sostituito nella sua funzione di controllo dal nuovo accesso universale.
[9] ; A. DI CAPIZZI- L.G. NAUSICA, op. cit.
[10]G. TARDI, op. cit.
[11]N. DURANTE, op. cit.
[12]C. DEODATO, La difficile convivenza dell’accesso civico generalizzato (FOIA) con la tutela della privacy: un conflitto insanabile?, in giustizia-amministrativa.it.
[13]C. DEODATO, op. cit.; N. DURANTE, op. cit.
[14]A. VALENTE, Gli obblighi di pubblicazione per la PA alla luce del decreto trasparenza n. 97/2016, in salvisjuribus.it.
[15]T.A.R. Lazio- Roma, sez. III bis, 30 marzo 2018, n. 3598.
[16]T.A.R. Emilia Romagna, sez. staccata Parma, 18 luglio 2018, n. 98.
[17]T.A.R. Lombardia, 15 gennaio 2019, n. 45.
[18]J. K. CHABORA, Il diritto di accesso tra ordinamento interno e ordinamenti sovranazionali, Accesso agli atti nel diritto dell’Unione Europea, pag. 57 e ss.
[19]C.G.U.E., sent. causa 60-2015, Saint-Gobain Glass Deutschland GmbH c. Commissione europea.
[20]C.G.U.E., sent. del 7.09.2017 causa C-331-15 Repubblica francese e altri c. Commissione europea
[21]C.G.U.E., sent. causa C-562-14, Svezia e Spirlea c. Commissione europea.
[22]F. VONA, Il diritto di accesso tra ordinamento interno e ordinamenti sovranazionali, Il diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: un diritto strumentale, condizionato e limitato.
[23]Corte E.D.U., sent. 8 novembre 2016, Magyar Helsinki Bizottság c. Ungheria
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