Il nuovo volto della prostituzione minorile: la prostituzione minorile online
Sommario: 1. La nascita di una nuova realtà: la c.d. realtà virtuale o cyberspace – 2. I rischi che nasconde il web – 3. La prostituzione minorile online – 3.1. La problematica individuazione del locus commissi delicti – 3.2. Il difficile equilibrio tra il diritto dei minori a una vita online e la tutela dei minori dai rischi che nasconde il web – 4. Conclusioni
1. La nascita di una nuova realtà: la c.d. realtà virtuale o cyberspace
L’avvento di internet ha avuto un impatto tale sulla nostra società tanto da potersi ritenere un’autentica rivoluzione[1]: ha cambiato il modo di relazionarci con le altre cose, con le informazioni, con gli eventi e con gli altri uomini[2], fino a divenire una “costante” della vita quotidiana, ossia uno strumento di cui ogni giorno milioni di persone, grandi e piccoli, fanno uso[3].
Si tratta di un fenomeno in costante evoluzione, che ha investito l’intero pianeta e che ha creato le condizioni per la nascita di una nuova realtà: la c.d. realtà virtuale o cyberspace[4].
Internet, quindi, consente di accedere a una sorta di mondo parallelo, tanto virtuale quanto concreto, in cui la conoscenza e l’informazione ormai potenzialmente accessibili a chiunque e da qualsiasi luogo, sono soggette a processi di verifica e diffusione estremamente rapidi, ma anche difficilmente controllabili.
Un mondo ben diverso da quello reale che non solo non risente delle distanze o delle barriere geografiche, ma che è altresì caratterizzato dalla disintermediazione e dalla sostanziale dematerializzazione e anonimia delle informazioni, delle attività, dei prodotti e dei servizi.
Una realtà, dunque, dove i concetti di tempo, spazio, individuo, identità e libertà si ripropongono in termini del tutto nuovi.
2. I rischi che nasconde il web
Sebbene non si possano negare le straordinarie opportunità offerte da internet in termini di migliore accesso alle informazioni, di facilitazione nelle relazioni sociali e, dunque, di sviluppo per l’intera umanità[5], allo stesso tempo esso, proprio in ragione delle sue caratteristiche e potenzialità, può rivelarsi un mezzo estremamente dannoso e pericoloso.
Invero, coloro che non abbiano ancora raggiunto un livello di maturità tale che gli possa consentire di valutare la qualità e la veridicità delle informazioni contenute nella rete spesso non sono in grado di comprendere i rischi che nasconde il web.
È di estrema importanza, dunque, procedere analizzando quelle che sono le caratteristiche che internet reca con sé, posto che le stesse lo connotano come un mezzo in grado di rende più agevole la commissione di alcuni reati, ponendo perciò nuove problematiche rispetto alle quali i tradizionali strumenti di verifica e di controllo si sono mostrati inadeguati e inefficaci a farvi fronte.
In primis, è opportuno soffermarci su quello che si può definire il dato più interessante di internet: l’immaterialità di tale mezzo telematico.
Internet dematerializza le informazioni cambiandone lo status fisico da materiale a codice alfa numerico[6], privando i prodotti, i servizi e le attività dematerializzate di quella fisicità che normalmente siamo abituati a percepire nella realtà atomistica.
Evidenti le ripercussioni sul diritto. Assistiamo a una perdita di fisicità del reato e a una progressiva smaterializzazione del bene giuridico che si intende tutelare, con tutte le difficoltà che ne conseguono.
Internet è un “non-luogo”[7], una dimensione priva di quei confini o barriere geografiche proprie dei luoghi in senso stretto.
Sotto questo aspetto, l’individuazione del luogo in cui un soggetto si appresta a compiere attività illecite può risultare particolarmente problematica.
Infatti, nel cyberspazio adottando le opportune cautele è possibile non solo nascondere l’ubicazione fisica del sito dal quale si svolgono dette attività, ma altresì scegliere dove localizzarle formalmente; ed è possibile che un illecito compiuto in danno di una persona che si trova ad esempio in Italia, abbia come autore del reato una persona che si trova in uno Stato nel quale le forze dell’ordine nazionali non hanno competenza d’intervento[8].
Non solo, oltremodo ardua può risultare l’individuazione dell’identità del soggetto che si appresta a commettere attività illecite.
Internet, infatti, permette di agire negli strati profondi della rete con dei software speciali (come Tor) che impediscono di riconoscere l’IP Adress[9] della macchina, consentendo agli utenti di rimanere nell’anonimato e crearsi false identità[10].
La possibilità di crearsi una propria identità virtuale in tutto o in parte fittizia e allo stesso tempo le difficoltà che si riscontrano nel controllarne l’effettiva veridicità rendono internet uno strumento frequentemente utilizzato per avvicinare bambini e adolescenti, i più pronti ad accettare nuovi contatti ed amicizie con quanti mostrino un profilo conforme alle loro aspettative e ai loro interessi.
Chat, forum, social network sono mezzi che si prestano benissimo a questo tipo di contatto, in cui non mancano i casi di coloro che, con una subdola e graduale opera di convincimento, cercano di conquistare poco alla volta la fiducia del minore, inducendolo a ridurre e superare resistenze, allo scopo di coinvolgerlo in attività a sfondo sessuale.
Infine, ulteriore caratteristica di internet è la disintermediazione, con la quale si fa riferimento al fatto che l’utente può ora fruire direttamente delle informazioni presenti nel web, con l’ulteriore possibilità di modificarle, crearle e diffonderle e dunque di interagire con esse, senza l’interposizione dei classici intermediatori.
Si tratta di un aspetto che se da un lato determina straordinarie opportunità in termini di migliore accesso e diffusione delle informazioni nonché di facilitazione nelle relazioni sociali, dall’altro lato, con riferimento in particolare ai bambini e agli adolescenti, comporta anche dei rischi[11].
Da quanto esposto è possibile trarre una prima importante conclusione, che in realtà costituisce più che il punto di arrivo, il punto di partenza dell’indagine che sarà qui svolta: internet costituisce ormai un luogo per lo sviluppo di nuove forme di criminalità che sfruttano a proprio vantaggio le caratteristiche peculiari della rete e che vedono sempre più di frequente coinvolti gli stessi minori, incapaci di comprendere i rischi che nasconde il web.
Se i bambini e gli adolescenti possono comunicare con un solo click del mouse, con chiunque, da e verso qualunque luogo; se in ragione della loro vulnerabilità diventano facili prede di nuove forme di criminalità che sfruttano a proprio vantaggio la facilità e la rapidità di comunicare, trasmettere e diffondere dati e informazioni, nonché la possibilità di godere di un certo anonimato, non è difficile intuire come la rete accompagnata da tutti questi fattori abbia creato un ambiente per la proliferazione e lo sviluppo di nuove forme di sfruttamento sessuale dei minori: i c.d. cybercrime a sfondo sessuale.
Tra le principali forme di sfruttamento sessuale dei minori commesse attraverso le nuove tecnologie un posto di primaria importanza riveste la prostituzione minorile online, un fenomeno questo che con lo sviluppo degli strumenti telematici e informatici ha assunto una dimensione sovranazionale e una diffusione potenzialmente illimitata senza precedenti[12].
3. La prostituzione minorile online
Al fine di conformarsi ai principi internazionali che prescrivono una tutela rafforzata dell’integrità e della libertà fisica e psichica del minore, con la l. n. 269 del 1998 il legislatore italiano ha introdotto nel nostro ordinamento l’autonomo reato di prostituzione minorile nell’art. 600-bis c.p.[13].
Tale disposizione diretta a incidere sul mercato della prostituzione nella sua interezza, al fine di tutelare il minore da tutte le forme di assoggettamento, sfruttamento e mercificazione sessuale suscettibili di comprometterne l’equilibrato sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale, affettivo e sociale[14], prevede due diverse ipotesi delittuose.
La prima avente ad oggetto la condotta di chiunque recluta, induce[15] alla prostituzione un minore o favorisce[16], sfrutta[17], gestisce, organizza o controlla la prostituzione o comunque ne trae in altro modo un qualche profitto[18].
La seconda relativa alla punibilità della condotta del cliente che compie atti sessuali con un minore di età compresa trai quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilità (non più necessariamente economica), anche solo promessi[19].
Quest’ultima ipotesi delittuosa, come si evince dalla semplice lettura dell’art. 600-bis comma secondo c.p. (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”), ricorre soltanto laddove la condotta non integri altra e più grave fattispecie di reato.
Difatti, è configurabile il più grave reato di violenza sessuale di cui all’art. 609- quater comma primo n. 1) c.p. laddove gli atti sessuali siano compiuti con un minore di anni quattordici; o ancora il reato di violenza sessuale ex art. 609-quater comma primo n. 2) c.p. nel caso in cui l’adulto compie atti sessuali con un minore che non ha ancora compiuto i sedici anni e che si trova con esso in una relazione privilegiata in quanto ascendente, genitore (anche adottivo), tutore ovvero persona a cui, per ragioni di cura, educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che ha con quest’ultimo una relazione di convivenza.
Quanto all’elemento soggettivo la giurisprudenza è pressoché unanime nel ritenere che il reato di cui all’art. 600-bis c.p. sia un reato a dolo generico.
Sotto questo profilo, occorre sottolineare che, la l. n. 172 del 2012 con l’introduzione dell’art. 602-quater c.p. ha espressamente sottratto dall’oggetto del dolo la minore età della vittima, con la conseguenza che non occorre la rappresentazione di tale elemento ai fini dell’imputazione del delitto in esame.
L’art. 602-quater c.p. prevede, infatti, che il colpevole non possa invocare a propria scusa l’ignoranza sull’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile, come tale dovendosi intendere l’ignoranza non rimproverabile quantomeno a titolo di colpa.
Sul tema dell’ignoranza inevitabile dell’età della persona offesa si registra un’ampia elaborazione giurisprudenziale.
In particolare, la giurisprudenza ha più volte ribadito che in tema di prostituzione minorile il fatto tipico scusante previsto dall’art. 602-quater c.p. è configurabile soltanto laddove l’imputato dimostri di aver esercitato tutte le opportune cautele per accertare la maggiore età della persona che si prostituisce e ciò nonostante sia stato indotto, sulla base di elementi univoci, che il minore fosse maggiorenne. Ne consegue che, al fine di ritenere sussistente il fatto tipico scusante previsto dall’art. 602-quater c.p., non possono ritenersi sufficienti elementi quali la presenza nel soggetto di tratti fisici di sviluppo tipici di maggiorenni o rassicurazioni verbali circa l’età, provenienti dal minore o da terzi, nemmeno se contemporaneamente sussistenti[20].
Ai fini della trattazione, si tratta di verificare se le condotte previste dall’art. 600-bis c.p. possano essere realizzate avvalendosi di mezzi telematici e informatici.
In dottrina la questione relativa all’ammissibilità della prostituzione minorile online è controversa.
Secondo un primo orientamento, sarebbe sufficiente ai fini della sussistenza del delitto di prostituzione minorile l’accertamento di un rapporto di contiguità tra il cliente e la vittima, rapporto che non necessariamente deve sfociare in un contatto fisico in senso stretto tra le parti[21].
Altra parte della dottrina, invece, sostiene che l’estensione della nozione di prostituzione alla c.d. prostituzione online comporterebbe una distorsione interpretativa dell’archetipo normativo dato dalla l. n. 75 del 1958[22].
Invero, aderendo a quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità che esclude che il contatto fisico fra cliente e prostituta sia elemento decisivo e costitutivo della fattispecie in oggetto si incorrerebbe in un duplice rischio. Da un lato di ragionare in termini di analogia non consentita e dall’altro lato di ricondurre nell’ambito della prostituzione attività di tipo sostanzialmente rappresentativo, che presenterebbero piuttosto i connotati del concetto di pornografia, anche se idonee a procurare piacere sessuale[23].
Ad avviso di altra parte della dottrina, invece, potrebbe sostenersi l’integrazione del reato di prostituzione anche in assenza di un rapporto sessuale, soltanto nei casi in cui tale rapporto non sia consumato per scelta del cliente e non, invece, quando la consumazione del rapporto in senso fisico, ad esempio per le caratteristiche del mezzo utilizzato o perché le parti si trovano in luoghi differenti, sia impossibile (come avviene via internet).
In quest’ultima ipotesi, infatti, si dovrebbe ricondurre tale fattispecie nell’ambito degli spettacoli osceni di cui all’art. 528 c.p., in considerazione del fatto che non vi è alcuna possibilità di interazione tra il cliente e chi si esibisce[24].
A ciò, tuttavia, si può facilmente obiettare che nel caso di spettacoli osceni, il fruitore della pubblicazione o rappresentazione pornografica resta solo spettatore passivo senza alcuna possibilità di interagire con i soggetti della rappresentazione. Diversamente, nell’atto di prostituzione il cliente interagisce con il minore: gli chiede di toccarsi le parti intime, e la prostituta fa quello che il cliente gli ordina.
Inoltre, nel caso di spettacoli osceni difetta il carattere di soggezione e di mercimonio della libertà e della dignità della persona umana, nonché l’elemento della dazione indiscriminata a fini di lucro del proprio corpo che caratterizza la prostituzione e che si riscontra anche nel caso di atti autoerotici realizzati su richiesta del cliente[25].
In ordine alla questione se possano integrare atti di prostituzione anche le prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza, in modo da consentire allo sfruttatore di interagire in via diretta e immediata con chi esegue la prestazione, chiedendogli il compimento di atti sessuali determinati è intervenuta la Suprema Corte[26].
In particolare, la Suprema Corte, dando rilievo a istanze socialdifensive e generalpreventive, ha osservato che rientra nella nozione di prostituzione ogni attività sessuale, posta in essere dietro corrispettivo, anche se priva di contatto fisico tra chi si prostituisce e il fruitore della prestazione.
Il disvalore della fattispecie poggia sulla circostanza che l’atto sessuale sia diretto alla soddisfazione dell’istinto libidinoso del destinatario, soddisfazione che prescinde dall’elemento della fisicità.
Pertanto, se ciò che caratterizza l’atto di prostituzione è il fatto che un qualsiasi atto sessuale venga compiuto dietro pagamento di un corrispettivo e risulti finalizzato, in via diretta ed immediata, a soddisfare la libidine di colui che ha chiesto o è destinatario della prestazione, è irrilevante il fatto che chi si prostituisce e il fruitore della prestazione si trovino in luoghi diversi. Ciò che conta è che, in siffatte ipotesi, il fruitore della prestazione risulti collegato tramite internet o con qualsiasi apparecchiatura di comunicazione elettronica con colui che si prostituisce, in modo da poter richiedere a quest’ultimo il compimento di determinati atti sessuali, direttamente eseguiti e immediatamente percepiti.
In virtù di ciò, la nozione di prostituzione si deve ritenere estesa anche agli atti di erotismo effettuati su stessi, via webcam, su richiesta del cliente e, dunque, tale da ricomprendere anche la stessa prostituzione minorile online, posto che l’offensività della condotta perseguita e quindi la necessità di reprimerla permangono anche nel caso di prestazioni sessuali rese attraverso internet.
In sostanza, la prestazione sessuale che nel mondo “reale” è penalmente illecita deve coerentemente esserlo anche nel mondo virtuale, ovvero nel cyberspace[27].
Ebbene, è innegabile che laddove le condotte contemplate nell’art. 600-bis c.p. siano poste in essere attraverso l’impiego delle nuove tecnologie, la prostituzione minorile assume connotati nuovi e caratteristiche del tutto peculiari e inedite, con la conseguenza che nuove sono le problematiche con cui gli operatori giuridici sono chiamati a confrontarsi.
Si pensi al caso in cui un soggetto attraverso i normali canali di comunicazione usati da giovani (Facebook, Instangram, Twitter, Telegram, Whatsapp…) induca un minore a prostituirsi o sfrutti la prostituzione di minori attraverso siti specializzati in grado di soddisfare le esigenze sessuali dei clienti; o ancora al caso in cui un soggetto si appresti a compiere atti sessuali con un minore attraverso l’uso di una webcam, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilità, anche solo promessi.
In tali ipotesi si è in presenza di situazioni che divergono notevolmente da quelle che normalmente siamo abituati a percepire nella realtà atomistica: manca la contemporanea presenza in uno stesso luogo del cliente e di colui che esegue la prestazione, potendo essi addirittura trovarsi in luoghi soggetti a legislazioni giuridiche diverse; e manca un contatto fisico tra chi si prostituisce e il fruitore della prestazione, mancanza che si riverbera in un’inevitabile progressiva smaterializzazione dell’atto prostitutivo.
Da qui la possibilità di contatti comunicativi con dinamiche nuove, feticiste, voyeuristiche, ritenute inconcepibili nella vita reale. Non solo. In siffatte ipotesi è estremamente semplice per quanti vogliano nascondere la loro vera identità godere di un certo anonimato o crearsi profili in tutto o in parte fittizi.
Al riguardo, risulta doveroso precisare che, non solo il potenziale abusante, al fine di conquistare la fiducia del minore e di instaurare un contatto con lui, potrebbe non essere quello che dice di essere, ma anche i più piccoli, nell’intento di partecipare alla vita online, potrebbero mentire sulla loro effettiva età o nascondere la propria reale identità.
A rendere ancora più allarmante la prostituzione minorile online è la considerazione che spesso tale fenomeno appare strettamente connesso ad altri reati commessi via web, quali la pornografia minorile (art. 600-ter c.p.), la pornografia virtuale (art. 600-quater1 c.p.) e l’adescamento di minorenni (art. 609-undecies c.p.)[28].
Poste queste brevi premesse di carattere generale, è opportuno procedere ad analizzare più da vicino i problemi che pone la prostituzione minorile allorché le diverse condotte contemplate nell’art. 600-bis c.p. siano poste in essere avvalendosi dei mezzi telematici o informatici.
In particolare, due sono le problematiche che qui saranno affrontate.
In primis, l’individuazione del luogo del commesso reato, in quanto ci si trova dinanzi a una dimensione priva di barriere geografiche.
Una seconda problematica, attinente alle difficoltà di trovare un equo bilanciamento tra il diritto dei minori ad una partecipazione attiva e libera alle opportunità che vengono offerte dalla rete e l’esigenza di tutela dei medesimi dai rischi che si celano dietro il web.
3.1. La problematica individuazione del locus commissi delicti
Con riferimento alla prostituzione minorile online – e in generale con riguardo ai c.d. cybercrime – alquanto problematica risulta l’individuazione del locus commissi delicti e conseguentemente della legge penale applicabile nonché dei possibili criteri di riparto delle giurisdizioni degli Stati coinvolti.
Colui che si avvale delle nuove tecnologie per compiere atti sessuali con un minore o indurre, reclutare, sfruttare o favorire la prostituzione di minori agisce in una realtà priva dei tradizionali confini del territorio degli Stati nazionali a cui è concettualmente collegato l’esercizio stesso della sovranità e della giurisdizione.
Internet consente di agire a distanza, di nascondere l’ubicazione fisica del sito dal quale vengono poste in essere le condotte illecite e altresì di raggiungere luoghi o Stati lontanissimi, dotati ciascuno di un proprio ordinamento giuridico penale.
È evidente, dunque, che la natura transnazionale della rete, pone in discussione il carattere di sovranità degli ordinamenti statali.
Ciascuno Stato pretende di esercitare in via esclusiva la potestà punitiva anche in relazione a fatti delittuosi non connotati da elementi di “internità”[29] ed è altresì possibile che una condotta considerata illecita in uno Stato non sia qualificabile come tale in un altro.
La problematica in esame deve essere analizzata dapprima nei suoi termini generali, sotto il profilo dei criteri di individuazione del locus commissi delicti, per poi procedere ad esaminare la disciplina applicabile alla prostituzione minorile online, alla stregua del nostro ordinamento positivo.
Nel cyberspace i criteri tradizionali di individuazione del locus commissi delicti, quali il criterio dell’azione e dell’evento, presentano notevoli difficoltà applicative.
Per quanto riguarda il criterio dell’azione, che considera come luogo per la determinazione della legge applicabile quello dell’immissione dei dati in rete, discusso è se per “immissione” debba intendersi il primo atto di immissione ovvero anche ogni successiva azione di memorizzazione, duplicazione, ritrasmissione dei dati immessi ad altri server o computer.
All’atto dell’applicazione pratica entrambe le soluzioni prospettate presentano notevoli difficoltà e inconvenienti: nel primo caso, l’agente attraverso la scelta del luogo di immissione dei dati in cui inizialmente metterli a disposizione ben potrebbe scegliere la legge applicabile e, dunque, agire intenzionalmente in quei luoghi in cui determinate condotte non siano vietate ovvero siano sanzionate in modo assai lieve; nel secondo caso
si riscontrano consistenti difficoltà nello stabilire in concreto fino a quale computer o server si estendeva l’originaria immissione e memorizzazione dei dati (da intendere quale “azione”) e da quando si avrebbe, invece, una loro definitiva messa a disposizione per gli altri utenti (da intendersi quale “evento”)[30].
Quanto alla teoria dell’evento, che considera come luogo per la determinazione della legge applicabile quello della “ricezione” dei dati da parte dei destinatari ossia quello in cui viene a manifestarsi l’effetto offensivo degli interessi tutelati dalle norme dei singoli ordinamenti, si tratta di un criterio non idoneo a risolvere il problema dei conflitti nell’applicazione della legge penale tra i diversi ordinamenti giuridici coinvolti.
In considerazione dell’inadeguatezza dei summenzionati criteri a risolvere la problematica in esame, la maggior parte degli ordinamenti, compreso l’ordinamento italiano aderisce alla teoria dell’ubiquità.
Tale teoria che dà pari rilievo tanto al luogo di immissione dei dati in rete, quanto a quello della ricezione della comunicazione illecita, trova nell’ordinamento giuridico italiano espresso riconoscimento all’art. 6 comma secondo c.p.
L’art. 6 c.p. dopo aver sancito al primo comma il c.d. principio di territorialità[31], al secondo comma prevede che il reato si considera commesso in Italia quando nel territorio dello Stato sia avvenuta in tutto o in parte l’azione o l’omissione che lo costituisce ovvero quando si sia verificato l’evento che è conseguenza dell’azione o dell’omissione.
L’ambito di applicazione della legge penale italiana, così come definito dall’art. 6 c.p., risulta ulteriormente esteso se si considera che la dottrina e giurisprudenza maggioritaria[32] ritengono che, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana, è sufficiente che nello Stato si sia verificato anche soltanto un frammento della condotta, che, seppur privo dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il delitto tentato, consenta di collegare la parte della condotta realizzata in Italia e quella realizzata in territorio estero.
A tal fine, dunque, sarà necessario verificare – sulla base di un giudizio ex post e in concreto riferito ad un delitto interamente consumatosi – che la “parte” di azione o omissione realizzata in Italia rappresenti un anello essenziale della condotta conforme al modello criminoso.
A questa estrema estensione del principio di ubiquità si aggiungono le numerose deroghe, previste dal nostro codice penale agli artt. 7 (per i reati commessi all’estero), 8 (per i reati politici commessi dal cittadino italiano o dallo straniero all’estero), 9 (per i delitti comuni commessi dal cittadino italiano all’estero) e all’art. 10 (per i delitti comuni commessi dallo straniero all’estero) al principio di territorialità, che contribuiscono ad estendere notevolmente l’ambito di applicazione della legge penale italiana.
Con specifico riguardo al reato di prostituzione minorile, il legislatore – tenendo conto della particolare gravità di tale delitto e altresì della sua dimensione transnazionale specie laddove sia commesso via internet o per il tramite delle nuove tecnologie – ha previsto all’art. 604 c.p. un’ulteriore deroga al principio di territorialità.
Più precisamente, tale disposizione prevede che il giudice italiano può perseguire penalmente i fatti commessi all’estero quando siano commessi dal cittadino italiano, in danno di un cittadino italiano ovvero dal cittadino straniero in concorso con il cittadino italiano.
In quest’ultima ipotesi lo straniero è punibile a condizione che si tratti di delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e vi sia stata la richiesta del Ministro di grazia e giustizia[33].
Sebbene la scelta del legislatore italiano di perseguire in modo tendenzialmente universale tale aberrante fenomeno sia meritevole di considerazione, non bisogna dimenticare l’ulteriore problema con cui gli operatori giuridici sono chiamati a confrontarsi allorché le condotte di cui all’art. 600-bis c.p. siano poste in essere avvalendosi delle nuove tecnologie: quello delle possibili sovrapposizioni e interferenze delle diverse leggi nazionali.
Tale problematica presenta due diverse sfaccettature: da un lato potrebbe prospettarsi il caso che di fronte a un medesimo fatto di reato più Stati pretendano di esercitare la propria pretesa punitiva nei confronti del medesimo soggetto, con la conseguente possibilità per quest’ultimo di essere processato più di una volta, atteso che il principio del ne bis in idem internazionale non è ricompreso tra le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute ai sensi dell’art. 10 comma primo Cost.; dall’altro lato potrebbero configurarsi comportamenti rispettosi della normativa dello Stato di “origine telematica” e, tuttavia, illeciti nello Stato di “ricezione telematica” e viceversa[34].
Sotto quest’ultimo profilo, con riferimento alla prostituzione minorile online delicati problemi si pongono, ad esempio, laddove alla legge penale italiana, che estende la minore età della vittima per il delitto di prostituzione minorile agli anni diciotto, faccia riscontro una legge straniera che abbassa tale età (si pensi alla Svizzera dove non si configura il reato di prostituzione minorile laddove la vittima abbia compiuto sedici anni).
È evidente che in presenza di tale ipotesi, si palesa il rischio che, in netto contrasto con lo spirito della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, si creino aree di impunità allorché in alcuni Stati stranieri il delitto di prostituzione minorile si configuri soltanto laddove commesso in danno dei minori appartenenti alle più basse fasce d’età.
A livello europeo, nel tentativo di superare i conflitti di giurisdizione tra i vari Stati che il cyberspace crea, la Convenzione del Consiglio d’Europa di Budapest sulla criminalità informatica[35] ha previsto che “quando più di una Parte rivendica la propria competenza per una presunta infrazione prevista dalla presente Convenzione, le Parti coinvolte si consultano, laddove sia opportuno, al fine di stabilire la competenza più appropriata per esercitare l’azione penale”[36].
Una soluzione quella offerta dalla Convenzione del Consiglio d’Europa di Budapest sulla criminalità informatica che, come è evidente, non solo non risolve il problema relativo al riparto di giurisdizione tra i diversi Stati che pretendano di esercitare la propria pretesa punitiva nei confronti del medesimo soggetto, ma che altresì si rivela inadeguata a risolvere eventuali conflitti di giurisdizione allorché un determinato fatto sia configurato come reato in uno Stato e considerato del tutto lecito in un altro.
Essa si limita a un mero rimando a possibili accordi tra gli Stati coinvolti, senza tener conto delle difficoltà di un siffatto sistema dove difficilmente si giungerà a un accordo tra i diversi Stati restii a rinunciare ad esercitare in via esclusiva il proprio potere punitivo.
In realtà, una possibile soluzione diretta a far fronte al rischio che si creino aree di impunità, allorché alla legge penale italiana faccia riscontro una legge straniera che prevede che il delitto di prostituzione minorile si configura soltanto laddove commesso in danno dei minori appartenenti alle più basse fasce d’età, sembra potersi desumere dalla stessa Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989.
Tale Convenzione all’art. 1 prevede che per fanciullo si intende ogni essere umano avente un’età inferiore agli anni diciotto, a meno che egli, secondo le leggi del suo Stato, non abbia raggiunto prima la maggiore età.
Ne consegue che la legge penale italiana, in virtù del principio dell’efficacia scriminante di ciò che è riconosciuto come un diritto per la legge straniera, non troverà applicazione rispetto a quei casi in cui la legge straniera subordina l’esistenza del reato ad un’età inferiore a quella prevista dalla legge italiana, purché tale età coincida con la maggiore età prevista dallo Stato straniero.
Diversamente, la legge penale italiana troverà applicazione nei casi in cui la legge straniera subordina l’esistenza del reato a un’età inferiore non solo rispetto a quella prevista dalla legge italiana, ma altresì a quella prevista dallo Stato straniero per la maggiore età.
3.2. Il difficile equilibrio tra il diritto dei minori a una vita online e la tutela dei minori dai rischi che nasconde il web
Le dimensioni sconcertanti che ha assunto la prostituzione minorile online – dovute all’uso particolarmente radicato di internet tra i minori, che “vivono” gran parte del loro quotidiano sui social network e all’accessibilità pressoché illimitata che i minori hanno ad internet, nonché all’estrema facilità e rapidità delle comunicazioni offerte dalla rete che agevolano le relazioni interpersonali, comprese quelle più pericolose – pongono dinanzi agli operatori giuridici l’evidente difficoltà di trovare un punto di equilibrio tra il diritto dei minori ad una partecipazione attiva e libera alle opportunità che vengono offerte dalla rete e l’esigenza di protezione degli stessi contro ogni forma di abuso e sfruttamento sessuale commessa attraverso le nuove tecnologie.
Se da un lato è innegabile che l’esigenza di tutelare i minori dai rischi che si celano dietro il web, per le caratteristiche che connotano la rete, è sempre maggiormente avvertita, altrettanto indiscusso è che internet costituisce per i minori una risorsa indispensabile per informarsi, conoscere, comunicare e gestire rapporti e che, dunque, l’uso dei mezzi di comunicazione da parte dei più piccoli gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo della loro personalità.
Il diritto dei minori ad una partecipazione attiva e libera alle opportunità che vengono offerte dalla rete trova espresso riconoscimento nella Convenzione sui diritti del Fanciullo del 1989.
In particolare, la suddetta Convenzione all’art. 13 sancisce il diritto del fanciullo alla libertà di espressione, che comprende la libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni ed idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del fanciullo e, pertanto, anche mediante l’uso di strumenti informatici e telematici; e all’art. 31 sancisce il diritto dei minori a partecipare pienamente alla vita culturale e artistica del paese.
È proprio nell’ambito di questa complessa problematica che si colloca il recente intervento del legislatore europeo che, nell’intento di assicurare ai minori una tutela rafforzata perché meno consapevoli dei rischi che nasconde il web, all’art. 8 del Regolamento 2016/679 (UE) introduce nuove e specifiche previsioni relative alle “Condizioni applicabili al consenso dei minori in relazione ai servizi della società dell’informazione”.
Tale disposizione prevede quale regola generale che il c.d. consenso digitale applicato alla fornitura di servizi online per ragazzi che non abbiano ancora compiuto la maggiore età è lecito soltanto laddove il minore abbia almeno sedici anni. Diversamente, laddove il minore abbia un’età inferiore il trattamento dei dati è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale.
Sotto questo profilo, il Considerando n. 38 specifica che il consenso del titolare della responsabilità genitoriale non è necessario nel quadro dei servizi di prevenzione o di consulenza forniti direttamente a un minore (ad esempio la fornitura di servizi di protezione dell’infanzia offerti online a un bambino per mezzo di una chat non necessità dell’autorizzazione dei genitori).
Lo stesso art. 8 prevede, tuttavia, la possibilità per gli Stati membri di stabilire con legge nazionale un’età diversa per poter considerare valido il consenso rilasciato dal minore, purché non inferiore ai tredici anni.
Inoltre, il Regolamento europeo specifica che la regola del consenso del minore non pregiudica le disposizioni generali del diritto dei contratti degli Stati membri, quali le norme sulla validità, formazione e efficacia di un contratto rispetto a un minore.
Un problema che si presenta in materia è quello relativo all’accertamento, da parte del titolare del trattamento, della validità del consenso espresso sia dal minore che dal titolare della responsabilità genitoriale.
In ordine all’accertamento del consenso del minore, a fronte di una disciplina europea che non specifica quali siano le modalità per accertare che quel consenso sia effettivamente espresso da colui che ha raggiunto l’età per il c.d. consenso digitale, il recente parere del Working Party art. 29 “Guidelines on consent under Regulation 2016/679” (WP29), pubblicato in via definitiva il 10 aprile 2018, ha cercato di fare chiarezza in materia.
Le linee guida del WP29 hanno specificato che, in considerazione del fatto che l’età minima richiesta dalla normativa è un requisito di validità del consenso, il titolare del trattamento, qualora l’utente dichiari di aver superato l’età del consenso digitale, deve compiere sforzi ragionevoli e controlli appropriati, nonché proporzionati alla natura e ai rischi delle attività di trattamento, per verificare la veridicità delle sue affermazioni[37].
Quanto all’obbligo previsto in capo al titolare del trattamento di verificare che il consenso per iscriversi ai social network o ad altre piattaforme digitali sia prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale, l’art. 8 si limita ad affermare che il titolare del trattamento dovrà procedere alla suddetta verifica “in ogni modo ragionevole”.
Al fine di far chiarezza in materia, le linee guida WP29 raccomandano, anche in questo caso, l’adozione di un approccio proporzionato, che non leda il principio di minimizzazione dei dati di cui all’art. 5, par.1, lett. c), che miri ad ottenere una quantità limitata di informazioni, in rapporto anche ai rischi connessi al trattamento ed ai mezzi tecnologici a disposizione.
In particolare, secondo i garanti europei mentre nei casi a basso rischio la verifica via e-mail del consenso prestato dal titolare della responsabilità genitoriale può ritenersi sufficiente, nei casi ad alto rischio, invece, potrebbe essere opportuno richiedere ulteriori prove, in modo che il titolare del trattamento sia in grado di dimostrare che l’interessato ha prestato il proprio consenso al trattamento dei propri dati personali[38].
Il rischio in questi casi è che gli operatori del web decidano di risolvere il problema a “monte”, vietando l’accesso ai social network e alle altre piattaforme digitale a quei minori che ancora non hanno raggiunto l’età per il c.d. consenso digitale, con un’evidente violazione dei diritti fondamentali di questi ultimi.
Laddove la responsabilità genitoriale sia esercitata da entrambi i genitori, si pone l’ulteriore problema della legittimazione congiunta o disgiunta a prestare o autorizzare il consenso in nome e per conto del minore.
Al riguardo, sembra preferibile quella tesi, avvallata da parte della giurisprudenza, volta ad interpretare la disposizione de qua nel senso che entrambi gli esercenti la responsabilità genitoriale debbano prestare o autorizzare il consenso al trattamento dei dati in nome e per conto del minore che non ha ancora compiuto sedici anni, atteso che si tratta di una problematica che concerne l’esercizio di un diritto fondamentale del minore.[39]
Ove il consenso sia stato prestato dai titolari della responsabilità genitoriale in nome e per conto del minore, quest’ultimo al compimento del sedicesimo anno di età può e deve personalmente acconsentire al trattamento dei dati e ha il diritto di chiederne al titolare del trattamento la cancellazione senza ingiustificato ritardo (c.d. diritto di oblio)[40].
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, nel d.lgs. n. 101/2018 recante disposizioni per l’adeguamento della normativa internazionale alle disposizioni del Regolamento 2016/679 (UE), l’età a partire dalla quale è possibile per un minore esprimere autonomamente il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, è stata fissata a quattordici anni.
4. Conclusioni
Come si è visto, la prostituzione minorile online e in generale i c.d. cybercrime a sfondo sessuale con lo sviluppo delle nuove tecnologie hanno assunto una dimensione sovranazionale e una diffusione potenzialmente illimitata senza precedenti.
La rapida proliferazione delle tecnologie dell’informazione e la crescita esponenziale di internet nella vita quotidiana dei minori hanno, senza dubbio, ampliato i rischi di reato di abuso e sfruttamento sessuale. Si tratta di pericoli diffusi non solo nel dark web, ma anche sulle piattaforme digitali tradizionali e sui social media.
Il maggior accesso ad internet ha reso i bambini più vulnerabili che mai a causa della mancanza di sistemi di controllo che permettano di tutelare i minori online e di accertare la qualità e il tipo di informazioni con cui gli stessi entrano in contatto.
Molti bambini e adolescenti, nonostante il crescente utilizzo di internet, non hanno le competenze informatiche né la capacità critica di valutare la sicurezza e la credibilità dei contenuti e delle relazioni che vivono online.
In tale quadro si colloca il recente intervento del legislatore europeo del 2016 che sebbene meritevole di considerazione, nella misura in cui rappresenta un passo fondamentale nel trovare un’adeguata soluzione tesa a garantire un equo bilanciamento tra il diritto dei minori a usufruire delle straordinarie opportunità offerte dalla rete e l’esigenza di tutela dei medesimi dai rischi che si celano dietro il web, presenta alcuni profili critici.
In particolare, non si può fare a meno di notare come l’ultimo capoverso dell’art. 8 par. 1 – che consente agli Stati membri di stabilire un’età diversa per poter considerare valido il consenso rilasciato dal minore, purché non inferiore ai tredici anni – dia luogo a non pochi problemi applicativi, in assenza di un’armonizzazione delle discipline nazionali.
Si tratta di una problematica di non poco conto se si considera, ad esempio, che le principali piattaforme online usate dai giovanissimi (Facebook, Instangram, Whatsapp, Youtube) sono americane.
Invero, la legislazione federale statunitense con il Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) prescrive che tutti coloro i quali offrano servizi diretti a soggetti minori di anni tredici debbano informare i genitori ed ottenere da loro un verifiable consent.
Inoltre, giova considerare che, i metodi diretti a verificare che il consenso per iscriversi ai social network sia prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale si mostrano piuttosto labili.
Invero, i metodi di verifica più blandi, come quello che si basa sulla posta elettronica, potrebbero essere elusi dai minori che nell’intento di partecipare alla vita online e di non richiedere il consenso ai genitori, ben potrebbero mentire sulla loro effettiva età o avvalersi, data la loro abilità nel muoversi nel cyberspace, di strumenti che permettono di aggirare le restrizioni poste dalla rete. I minori, così, accederebbero a servizi ponderati su minori di età più elevata, senza alcun controllo sui contenuti.
Anche gli stessi metodi di verifica più rigorosi si presentano estremamente precari.
Si pensi a quei metodi consistenti nell’uso delle carte di credito che non solo sono costosi per gli operatori giuridici, ma anche poco “apprezzati” dagli stessi genitori.
Non solo. La previsione di un controllo parentale per quei minori che non abbiano ancora raggiunto l’età per poter validamente prestare il consenso digitale non sembra essere la soluzione più idonea a proteggere gli stessi.
I minori di oggi sono cresciuti nella rete e si muovono nello spazio virtuale con una naturalezza sconosciuta ai loro genitori.
Quest’ultimi vivono la rete come un progresso tecnologico, ma non come un progresso del crimine: ne conoscono solo gli usi più elementari, nutrono nei confronti di internet una fiducia disarmante e spesso ne sottovalutano i pericoli.
Sembrerebbe, dunque, che la soluzione prospettata dal legislatore europeo si riduca ad una soluzione meramente convenzionale.
Per tutelare i minori occorre una cooperazione internazionale tesa a sviluppare strategie e politiche comuni per far fronte ai rischi che pone il cyberspace.
È necessario non solo migliorare i sistemi che consentono alle forze dell’ordine di stare al passo con i criminali che operano online, ma occorrono anche sistemi di verifica ed identificazione di coloro che accedono al web.
Una siffatta tutela ben potrebbe essere realizzata attraverso sistemi di riconoscimento facciale o di identificazione tramite impronte digitali che permettano di regolare l’accesso alla rete di grandi e piccoli.
Nell’ottica di porre gli interessi dei minori in primo piano tali sistemi non dovrebbero essere visti come coercitivi, ma piuttosto come metodi tesi a garantire la salvaguardia e la tutela del minore online.
[1] V. De Rosa, La formazione di regole giuridiche per il “cyberspazio”, in Dir. Informatica, 2003, p. 361 osserva che la portata innovativa di internet costituisce un dato che attribuisce al fenomeno in discorso quello di una vera e propria pietra miliare nella storia delle possibilità offerte dalla tecnica allo sviluppo dell’umanità, paragonabile all’invenzione della ruota o delle reti ferroviarie o del telegrafo; S. Rodotà, nella Relazione introduttiva al Convegno “Internet e privacy – quali regole?”, tenutosi l’ 8 maggio 1998, accessibile all’indirizzo http://www.interlex.it/675/rodotint.htm: “Internet si manifesta sempre più nettamente come un potente strumento di trasformazione della società. Di fronte a noi abbiamo davvero un modello di organizzazione sociale. In due sensi: nel senso proprio, perché si propone alla società un suo modo di organizzarsi. Non più l’organizzazione piramidale, ma l’organizzazione a rete. Non più un’organizzazione con una comunicazione a suo modo autoritaria, dall’alto verso il basso e anche le prime forme di interattività non modificavano radicalmente questo schema, ma davvero come una possibilità di una rete di rapporti che consenta a ciascuno di entrare in rapporto con gli altri mettendo in discussione l’assetto gerarchico dell’organizzazione sociale. Non ci sono privilegi nel comunicare, anche la più ricca delle strutture di tipo tradizionale, le televisioni dei 500 canali, non hanno le potenzialità di rottura dello schema gerarchico che abbiamo conosciuto perché non tutti possono nello stesso tempo assumere il ruolo di produttori e consumatori delle informazioni”.
[2] F. Di Ciommo, Internet e crisi del diritto privato: tra globalizzazione, dematerializzazione e anonimato virtuale, in Riv. crit. dir. priv., 2003, pp. 117 ss.
[3] In base ai dati forniti dalla ricerca “Risks and safety on the internet” effettuata nell’ambito del progetto EU Kids Online, l’età media in cui i bambini iniziano ad andare online è sette anni in Danimarca e Svezia, otto anni negli altri paesi nordici e dieci anni in Grecia, Italia, Turchia, Cipro, Germania, Austria e Portogallo. In tutti i paesi europei, un terzo dei bambini tra i nove e i dieci anni e più dei due terzi (l’80%) degli adolescenti trai quindici e sedici anni usano internet quotidianamente. In Italia il 60% usa internet tutti i giorni o quasi.
[4] Il termine “cyberspace” è stato utilizzato per la prima volta da William Gibson, nel suo celebre romanzo Neuromancer del 1984. L’Autore fa riferimento ad un’ambiente interattivo virtuale sviluppato dai computer, contrapposto a quello reale, in cui Internet diviene il contorno e lo spazio per la possibilità di svolgimento di nuove relazioni comunitarie: “Cyberspazio. Un’ allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione, da bambini a cui vengono insegnati i concetti matematici […] Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano […]”.
[5] Nella Raccomandazione del Parlamento Europeo del 26 marzo 2009 destinata al Consiglio sul rafforzamento della sicurezza e delle libertà fondamentali su Internet è stato messo in luce come Internet stia “diventando uno strumento indispensabile per promuovere iniziative democratiche, un nuovo foro per il dibattito politico […], uno strumento fondamentale a livello mondiale per esercitare la libertà di espressione (ad esempio il blog) e per sviluppare attività commerciali, nonché uno strumento per promuovere l’acquisizione di competenze informatiche e la diffusione della conoscenza (e-learning); […] Internet ha anche apportato un numero crescente di vantaggi per persone di ogni età, per esempio quello di poter comunicare con altri individui in ogni parte del mondo, estendendo in tal modo la possibilità di acquisire familiarità con altre culture e aumentare la comprensione di popoli e culture diversi; […] ha ampliato la gamma delle fonti di notizie a disposizione dei singoli, che possono ora attingere a un flusso di informazioni proveniente da diverse parti del mondo” in http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-2009-0194+0+DOC+XML+V0//IT .
[6] F. Di Ciommo, Internet e crisi del diritto privato, cit., p.130: emblematico è l’esempio riportato dall’Autore sul diritto d’autore a riprova di come il prodotto dematerializzato acquisti una fisicità diversa da quella atomistica. Laddove un soggetto in violazione della normativa vigente copi e commercializzi un libro, coperto dal diritto d’autore, egli svolgerà la sua attività illecita in uno o più locali fisicamente individuati, con la conseguenza che non risulterà difficile individuare il luogo in cui viene violato il diritto d’autore. Diverso è il discorso laddove il diritto d’autore venga violato attraverso la riproduzione di un’opera in formato digitale e la distribuzione della stessa in rete. In questo caso chi svolge l’attività illecita via internet opera in luoghi sconosciuti ai clienti e a qualunque altro soggetto, atteso che consegna il prodotto tramite la rete e dunque senza contatti fisici con nessuno.
[7] T. Ballarino, Internet nel mondo della legge, Padova, 1998, p. 17.
[8] L’assenza di un territorio fisico ha posto la necessità di una cooperazione internazionale diretta a realizzare una progressiva armonizzazione delle legislazioni nazionali. Ciò è avvenuto recentemente con la Direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all’ordine europeo d’indagine, recepita dall’Italia con l’emanazione del d.lgs. 21 giugno 2017 n. 108 entrato in vigore il 28 luglio 2017.
[9] Internet Protocol Address: è una serie numerica assegnata a ogni computer o stampante che opera sulla rete. L’IP ha due funzioni: permette l’identificazione del soggetto e la sua localizzazione.
[10] Bisogna considerare che il web nel quale navighiamo rappresenta solo una piccola percentuale dei contenuti reali della rete (il 4%), e infatti gli esperti sono soliti dividere il web in sei livelli: il web comune; il surface web dove operano i server informatici; il bergie web che è l’ultimo livello accessibile senza particolari strumenti e conoscenze e che ospita risultati nascosti di Google e siti di video e di immagini senza censure; il deep web dove si entra solo usando software speciali e dove si trovano i canali di comunicazione degli hacker; il charter web nei cui forum si muovono con disinvoltura hacker, trafficanti di armi e droga e pornografi; e il marianas web che comprende l’80% di internet, il cui contenuto però è in parte sconosciuto.
[11] F. Casarosa, Protection of minors online: available regulatory approaches, EUI Working Paper, RSCAS 2011/15, pp. 3 ss. in www.eui.eu.
[12] Nella Risoluzione del Parlamento europeo del 14 dicembre 2017 sull’attuazione della direttiva 2011/93/UE del 13 dicembre 2011 relativa alla “lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile”, si sottolinea la necessità di una cooperazione internazionale al fine di far fronte ai rischi che la dimensione online comporta per i minori. Più precisamente, il Parlamento europeo ha sollecitato gli Stati membri ad adottare misure idonee a prevenire e combattere lo sfruttamento sessuale dei minori online, rafforzando il livello di protezione dei minori che navigano nel web e avviando programmi di sensibilizzazione relativi ai pericoli della rete.
[13] Nell’ottica di garantire al minore una tutela il più efficace possibile l’art. 600-bis c.p. è stato più volte novellato. Dapprima con la l. n. 38 del 2006 recante “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo di internet” con la quale il legislatore ha provveduto ad un inasprimento delle pene previste dall’art. 600-bis c.p.; e da ultimo con la l. n. 172 del 2012 a cui si deve la formulazione attuale della disposizione in esame e che ha eliminato il terzo e il quarto comma dell’art. 600-bis c.p., contenenti, rispettivamente, una circostanza aggravante (applicabile nel caso di compimento di atti sessuali a danno di minori che non abbiano ancora compiuto gli anni sedici) e una circostanza attenuante (applicabile nel caso in cui il “cliente” è un minore di anni diciotto). Con riferimento al quarto comma si è in presenza di una vera e propria abolizione, avendo il legislatore ritenuto identico il disvalore del fatto anche qualora commesso da un minore su un minore e, dunque, ingiustificato il trattamento di favore previsto in passato. Diversamente, la circostanza aggravante di cui al terzo comma del vecchio art. 600-bis c.p. è stata inserita dal legislatore nel quinto comma dell’art. 602-ter c.p.
[14] R. Borgogno, I reati sessuali, i reati di sfruttamento dei minori e di riduzione in schiavitù per fini sessuali, a cura di F. Coppi, Torino, Giappichelli, 2007, p. 352; Sostanzialmente analoga la conclusione di G. Fiandaca- E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo I, I delitti contro la persona, Bologna, Zanichelli, 2013, 4° ed., p.161; Secondo F. Mantovani, Diritto penale. Parte Speciale. Delitti contro la persona, Padova, Cedam, 2013, 5° ed., I, p. 455, la norma sarebbe posta a protezione di una pluralità di beni giuridici, tra cui in particolare quelli dell’intangibilità sessuale, della dignità della persona (poiché il minore viene ridotto a mero strumento sessuale), della personalità individuale (poiché lo sfruttamento sessuale del minore comporta un pregiudizio globale per la sua personalità) e della libertà sessuale del minore ultraquattordicenne (poiché la prostituzione non costituisce mai una scelta libera, consapevole e spontanea).
[15] L’induzione consiste in un’attività, posta in essere dall’agente, di persuasione e di convincimento del minore, diretta a far insorgere in lui l’idea di prostituirsi o comunque a rafforzarne l’iniziale proposito, ma senza usare violenze o minacce, posto che in quest’ultimo caso si configurerebbe l’ipotesi aggravata di cui all’art. 602-ter, terzo comma c.p. A differenza dell’induzione, invece, la condotta di reclutamento si realizza allorché l’agente si attivi al fine di collocare il minore nella disponibilità del soggetto che intende trarre vantaggio dall’attività di meretricio,
senza che, però, sia necessario che lo stesso svolga un’opera di persuasione o di rafforzamento dell’altrui volontà di prostituirsi.
[16] Un rilievo centrale assume la condotta di favoreggiamento, nella quale vi rientrano tutte quelle attività che agevolano, facilitano o rendono più semplice l’esercizio della prostituzione.
[17] Ricorre la condotta di sfruttamento della prostituzione minorile allorché l’agente approfitta dei guadagni, in denaro o altre utilità, che il minore si procura con il commercio del proprio corpo.
[18] Le condotte di gestione, organizzazione, controllo e di chi trae profitto dall’altrui attività di prostituzione altro non sono che specificazioni delle generiche ipotesi di favoreggiamento e di sfruttamento.
[19] Le novità introdotte dalla riforma del 2012 all’art. 600-bis c.p., relative al compenso dell’attività di prostituzione che può consistere anche in un’utilità non necessariamente economica e che può essere anche solo promesso, hanno contribuito notevolmente ad estendere l’ambito di applicabilità dell’art. 600-bis c.p., che nella sua previgente formulazione era stato oggetto di numerose critiche da parte della dottrina.
In particolare, la dottrina lamentava come la necessaria connotazione economica dell’utilità corrisposta, nonché la circostanza secondo la quale ai fini della consumazione del reato in esame si richiedeva l’effettivo pagamento del corrispettivo da parte del cliente, restringessero notevolmente l’ambito di applicabilità della norma in esame. Per quanto riguarda il requisito dell’economicità, si rilevava come, pur essendo possibile valutare in termini economici la gran parte delle utilità, vi erano pur sempre condotte non suscettibili di una tale valutazione. Quanto alla circostanza secondo la quale ai fini della consumazione del reato in esame si richiedeva l’effettivo pagamento del corrispettivo da parte del cliente, si metteva in evidenza come ciò creava un’ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni caratterizzate dalla medesima offensività: quella in cui il cliente si fosse limitato a promettere il pagamento di un corrispettivo (priva di rilevanza penale) e quella in cui il cliente avesse effettivamente pagato il prezzo (penalmente rilevante).
[20] Cass., Sez. III pen., 21 febbraio 2017, n. 36606, in Famiglia e Diritto, 2017, 12, p. 1139; Cass., Sez. III pen., 18 dicembre 2015, n. 12475, in CED Cass. rv. 266484.
[21] In tal senso S. Marani, I delitti contro la persona. Aggiornato alla legge 11 agosto 2003, n. 228 (Norme contro la tratta di persone), ed alla legge 6 febbraio 2006, n. 38 (Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia a mezzo Internet), Padova, Cedam, 2007, p. 303, sottolinea come “qualsiasi atto sessuale realizzato dietro il pagamento di un corrispettivo, essendo finalizzato al soddisfacimento della libidine sessuale di chi guarda, sia in grado di configurare l’ipotesi criminosa di cui all’art. 600-bis c.p.”; A. A. Calvi, Sfruttamento della prostituzione, Padova, Cedam, 1970, p. 25 precisa che le prestazioni offerte possono anche prescindere da un tangibile contatto fisico e comprendere quindi una molteplicità di condotte, purché consistenti in atteggiamenti lascivi.
[22] C. A. Zaina, Prostituzione virtuale: sfruttamento è configurabile anche senza il contatto fisico. Commento a Cassazione penale, sez. III, 21 marzo 2006, n. 346, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=34117.
[23] G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo I, I delitti contro la persona, Bologna, Zanichelli, 2013, 4° ed., p.166; A. MANNA- F. RESTA, I delitti in tema di pedopornografia, alla luce della legge 38/2006. Una tutela virtuale?, in Dir. Internet, 2006, p. 221.
[24] R. Borgogno, La prostituzione a distanza in due recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità, nota a Cassazione penale, sez. III, 22 aprile 2004, n. 25464, in Cass. Pen., 2005, p. 3497; ad analoghe conclusioni A. Cadoppi – P. Veneziani, sub art. 600-bis, in A. Cadoppi (a cura di), Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, Padova, Cedam, 2006, IV ed., pp. 95-96 secondo i quali “gli atti sessuali, in sostanza, se anche non esauriscono l’intero concetto della prostituzione, debbono comunque rappresentarne la naturale prospettiva”. In sintesi, gli atti sessuali “debbono comunque rientrare nell’oggetto del contratto (pur sui generis) di prostituzione, cosicché il cliente, quantomeno ex ante, ha la facoltà di pretenderli dalla prostituta. Peraltro, se il cliente stesso ritiene, nell’episodio concreto, di usufruire diversamente delle attrattive offerte dalla prostituta, vi sarà comunque prostituzione: ciò, ad esempio, anche se il cliente chieda alla prostituta di assistere a rapporti sessuali altrui, o di esibirsi lascivamente, pur senza compiere atti sessuali nell’esibizione. Insomma, gli atti sessuali sono necessari per il concetto di prostituzione, ma solo, per così dire, in potenza”.
[25] A. Cadoppi, sub art. 600-ter, in A. Cadoppi (a cura di), Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, Padova, Cedam, 2006, IV ed., pp. 143 ss.; R. De Ponti, La prostituzione on-line: un concetto controverso, nota a Cassazione penale, SS. UU., 3 maggio 2006, n. 236, in Dir. Internet, 2006, p. 482.
[26] Cass., Sez. III pen., 18 gennaio 2012, n. 7368, L. e altro, in CED Cass. rv. 252133: “Nella nozione di prostituzione deve farsi rientrare, invero, qualsiasi attività sessuale posta in essere dietro corrispettivo di denaro, anche se priva del contatto fisico tra i due soggetti, i quali possono trovarsi addirittura in luogo diverso. Unica condizione è la possibilità di interagire tra loro”. La citata sentenza richiama altresì la precedente Cass., Sez. III pen., 22 aprile 2004, n. 25464, M., ivi rv. 228692: “Le prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza in modo da consentire al fruitore delle stesse di interagire in via diretta e immediata con chi esegue la prestazione, con la possibilità di richiedere il compimento di atti sessuali determinati, assumono il valore di atto di prostituzione e configurano il reato di sfruttamento della prostituzione a carico di coloro che abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o ne abbiano consentito lo svolgimento creando i necessari collegamenti via internet o ne abbiano tratto guadagno, atteso che è irrilevante il fatto che chi si prostituisce ed il fruitore della prostituzione si trovino in luoghi diversi in quanto il collegamento in videoconferenza consente all’utente di interagire con chi si prostituisce in modo tale da poter richiedere a questi il compimento di atti sessuali determinati che vengono immediatamente percepiti da chi ordina la prestazione sessuale a pagamento”.
[27] A. Natalini, Quando la prostituzione è on-line. L’affermazione del principio di legalità. Necessaria più che mai una definizione normativa, in Dir. giust., 2004, 25, p. 18 osserva che dal momento che è pacifico che costituisca prostituzione il fatto di essere pagati solo per compiere atti sessuali su sé stessi, senza alcun contatto fisico con il cliente “guardone”, non vi sarebbe ragione per ritenere che passando al mondo “virtuale” la stessa prestazione dovrebbe degradare in un’attività non punibile.
[28] A titolo esemplificativo si consideri che non sono pochi i casi in cui colui che si accinge a indurre un minore alla prostituzione attraverso le nuove tecnologie o a sfruttare la prostituzione di minori tramite siti specializzati viene trovato in possesso di un’ingente quantità di immagini e video relativi a minori e tutti a sfondo sessuale, che integrano ulteriori e gravi fattispecie di reato quali la detenzione, divulgazione, produzione e commercio di materiale pedopornografico. Non meno frequenti, inoltre, sono i casi in cui l’adescamento di minori tramite l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione sfocia in fatti di prostituzione minorile.
[29] S. Seminara, La pirateria su internet e il diritto penale, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1997, p. 71.
[30] L. Picotti, Profili penali delle comunicazioni illecite via Internet, in Dir. Inf., 1999, pp. 303 ss.
[31] Per determinare i limiti spaziali di applicabilità della legge penale, sono in astratto prospettabili quattro principi: il principio di territorialità, per il quale la legge nazionale si applica a chiunque (cittadino, straniero o apolide) delinque nel territorio dello Stato; il principio di personalità, in virtù del quale si applica sempre la legge dello Stato a cui appartiene l’autore del reato; il principio di difesa, secondo il quale si applica la legge dello Stato a cui appartengono i beni offesi o a cui appartiene il soggetto passivo del reato; il principio di universalità, in virtù del quale la legge penale nazionale si applica a tutti i delitti dovunque, da chiunque e nei confronti di chiunque commessi.
[32] G. Fiandaca- E. Musco, Diritto Penale. Parte generale, Bologna, Zanichelli, 2014, 7° ed., p.142; Cass., Sez.VI pen., 21 settembre 2017, n. 56953, in CED Cass. pen. 2018; Cass., Sez. II pen., 13 ottobre 2016, n. 48017, in Cass. Pen., 2017, p. 2832.
[33] Il suddetto testo dell’art. 604 c.p. è quello risultante dalla sostituzione operata dalla l. n. 269/1998 e dalle modifiche apportate dalla l. n. 7/2006. Il legislatore italiano con l’introduzione di tale disciplina ha così dato attuazione a quanto previsto dalla Dichiarazione finale della Conferenza di Stoccolma, nella quale si sollecitavano gli Stati partecipanti ad elaborare e potenziare le leggi penali extraterritoriali in caso di turismo sessuale implicante lo sfruttamento di minori ed a promuovere disposizioni volte a far sì che una persona, che sfrutti un minore a scopo sessuale in un altro paese, sia perseguibile sia nel paese d’origine che nel paese di destinazione e dalla Comunicazione relativa al turismo sessuale coinvolgente l’infanzia della Commissione dell’UE del 1996 che invitava gli Stati membri a punire gli abusi su minori commessi all’estero.
[34] F. Ruggiero, Momento consumativo del reato e conflitti di giurisdizione nel cibersbazio, in Giur. merito, fasc.1, 2002, pag. 254.
[35] La Convenzione di Budapest sul cybercrime, emanata dal Consiglio d’Europa il 23 novembre 2001 e ratificata dall’Italia con la l. 18 marzo 2008 n. 48, rappresenta il primo fondamentale accordo internazionale riguardante i crimini commessi attraverso internet.
[36] Art. 22 comma quinto della Convenzione del Consiglio d’Europa di Budapest sulla criminalità informatica.
[37] In particolare, i social network prevedono appositi moduli attraverso i quali chiunque può segnalare l’account di persone con un’età inferiore a quella prevista per poter validamente prestare il consenso digitale. In tal caso il web operator dovrà provvedere a rimuovere l’account.
[38]Ad esempio, come previsto nelle linee guida WP29, a un genitore o tutore potrebbe essere chiesto di effettuare un pagamento di € 0,01 al titolare del trattamento tramite una transazione bancaria, includendo una breve conferma nella riga descrittiva della transazione che il titolare del conto bancario è titolare della responsabilità genitoriale nei confronti dell’utente. Se del caso, dovrebbe essere fornito un metodo alternativo di verifica per evitare un indebito trattamento discriminatorio delle persone che non hanno un conto bancario.
[39] Nel nostro ordinamento tale questione si è già posta con riferimento al consenso per la diffusione dell’immagine del minore. In particolare, recentemente il Trib. Mantova, 19 settembre 2017, in ilfamiliarista.it, 18 gennaio 2018, ha affermato che l’inserimento da parte di un genitore di foto dei figli sui social network, a fronte del dissenso dell’altro genitore, integra violazione della norma di cui all’art. 10 c.c. (Abuso dell’immagine altrui), del combinato disposto degli artt. 4, 7, 8 e 145 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (riguardanti la tutela della riservatezza dei dati personali) nonché degli artt. 1 e 16, comma primo, della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989. L’inserimento dell’immagine di un bambino sui social network costituisce un pregiudizio per il minore, in quanto determina non solo la diffusione dell’immagine fra un numero indeterminato di persone, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto, ma altresì l’ulteriore pericolo che tali immagini vengano utilizzate da alcune persone per la produzione di materiale pedopornografico attraverso procedimenti di fotomontaggio.
[40] La rilevanza del diritto all’oblio con riferimento ai dati personali del minore è espressamente riconosciuta dal Considerando n. 65, il quale dispone che “tale diritto è in particolare rilevante se l’interessato ha prestato il proprio consenso quando era minore, e quindi non pienamente consapevole dei rischi derivanti dal trattamento, e vuole successivamente eliminare tale tipo di dati personali, in particolare da internet”. Inoltre, il Considerando prevede che “l’interessato dovrebbe poter esercitare tale diritto indipendentemente dal fatto che non sia più un minore”, lasciando così intendere che l’interessato può senz’altro farlo anche prima.
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