Il pagamento traslativo

Il pagamento traslativo

Il debitore può adempiere una obbligazione trasferendo al creditore la proprietà di un bene?

Si tratta, in questi casi, del cosiddetto pagamento traslativo, istituto non espressamente disciplinato dal codice civile e sulla cui ammissibilità si è sviluppato un intenso dibattito.

Prima di procedere con l’analisi delle diverse tesi sorte intorno alla questione dell’ammissibilità del pagamento traslativo, appare opportuno fornire una possibile definizione dello stesso.

Con la locuzione pagamento traslativo si indica l’atto con cui il debitore, al fine di adempiere ad una preesistente obbligazione, trasferisce al creditore la proprietà di un determinato bene.

Tanto precisato, occorre mettere in rilievo che il pagamento traslativo, così come definito, è un atto traslativo solvendi causa che si distingue tanto dalla vendita di cosa altrui di cui all’art. 1478 c.c., quanto dall’ipotesi ex art. 1476, comma 1, n. 2, c.c. .

Ne deriva, quindi, che, non esistendo, all’interno del nostro ordinamento, un contratto tipico in virtù del quale si adempie ad una precedente obbligazione mediante il trasferimento della proprietà, occorre interrogarsi sulla possibilità di ammettere il pagamento traslativo quale atto di adempimento.

Secondo una prima impostazione, il pagamento traslativo non è ammissibile nel nostro ordinamento. Tale conclusione si fonda su due principali argomenti sistematici. In primo luogo, con l’art. 922 c.c., il Legislatore ha inteso disciplinare i modi di acquisto della proprietà attraverso un sistema chiuso e tipico, all’interno del quale non rientrerebbe il trasferimento della proprietà in adempimento di un precedente obbligo. In secondo luogo, è necessario rilevare che i contratti che hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà sono sorretti dal principio del consenso traslativo. In tal senso, infatti, l’art. 1376 c.c. stabilisce che, al fine di trasferire la proprietà di una cosa determinata, è necessario il consenso legittimamente manifestato dalle parti. In virtù di tale disposizione, dunque, anche la parte che acquista il diritto di proprietà dovrebbe manifestare il proprio consenso e ciò anche in virtù del principio di relatività degli effetti del contratto ex art. 1372 c.c. . Tale ultima norma, infatti, stabilendo, al comma 2, che il contratto non produce effetti nei confronti dei terzi, fatti salvi i casi previsti dalla legge, è anche espressione della regola dell’intangibilità della sfera giuridica altrui. Unica eccezione al riguardo si rinviene nel contratto a favore di terzo di cui all’art. 1411 c.c., caratterizzato, in ogni caso, dalla facoltà di rifiuto riconosciuta in capo al terzo stesso, nonché dall’attribuzione a quest’ultimo di effetti positivi derivanti dal contratto.

Da quanto esposto, dunque, deriva che il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o del diritto di proprietà di un determinato bene avviene per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato, attraverso uno dei modi espressamente previsti dalla legge, con la conseguenza che il pagamento traslativo, non integrando alcune delle fattispecie tipiche di cui all’art. 922 c.c. e non rispondendo alla logica del principio consensualistico ex art. 1376 c.c., non sarebbe ammesso nel nostro ordinamento. In aggiunta a tanto, inoltre, l’indirizzo che nega la configurabilità del pagamento traslativo fa leva anche su un altro rilevante principio che regola i rapporti obbligatori, vale a dire quello causalistico. In accordo con tale regola, infatti, ogni trasferimento patrimoniale deve essere sorretto da una giustificazione causale. Nell’ipotesi del pagamento traslativo, l’atto di trasferimento non apparirebbe sorretto da una causa concreta, dando vita, così, ad un fenomeno di astrazione sostanziale, non ammesso nel nostro ordinamento.

Dato atto dell’orientamento che esclude l’ammissibilità del pagamento traslativo, è possibile osservare che, più di recente, parte della dottrina ha elaborato una diversa lettura dei citati principi proprio al fine di ritenere configurabile l’istituto in esame.

In particolare, con riferimento all’art. 922 c.c., questo viene interpretato sistematicamente, prendendo in considerazione quanto previsto dall’art. 1322, comma 2, c.c.. Tale ultima norma, infatti, consente alle parti di esercitare la propria autonomia negoziale ricorrendo anche a schemi non espressamente tipizzati dal legislatore, purché tesi alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Dalla lettura combinata delle due richiamate disposizioni, deriverebbe, quindi, per i privati la facoltà di dare vita a modi di acquisto della proprietà atipici, ma pur sempre tesi alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. In seconda battuta, l’indirizzo che ammette il pagamento traslativo precisa che il principio consensualistico ex art. 1376 c.c. non deve essere interpretato alla stregua di principio assoluto e, quindi, inderogabile. Ciò deriva dalla ratio dello stesso, che è quella di assicurare la velocità degli scambi tra i privati, e non, invece, di limitare l’autonomia privata.

Tanto precisato, è necessario osservare, in ogni caso, che l’ostacolo del principio consensualistico è superabile anche qualora si qualifichi l’atto di trasferimento come atto esecutivo riconducibile ad un obbligo assunto in precedenza. In questo caso, infatti, il consenso è stato già legittimamente manifestato nel momento in cui è sorto il rapporto obbligatorio tra le parti. Inoltre, tale ricostruzione permette anche di risolvere il problema della compatibilità del pagamento traslativo con il principio causalistico. La causa del trasferimento è, infatti, rinvenibile nel preesistente rapporto obbligatorio, con la conseguenza che il pagamento traslativo può essere interpretato come atto solutorio con causa esterna solutoria.

Tanto osservato con riferimento all’impostazione che ammette il pagamento traslativo nel nostro ordinamento, occorre sciogliere un ulteriore nodo problematico, vale a dire quello della natura giuridica dello stesso.

In via preliminare, è opportuno osservare che, pur dovendosi considerare il pagamento traslativo alla stregua di atto di adempimento e, quindi, di atto dovuto di tipo esecutivo, lo stesso non rientra, come l’atto di adempimento, nella categoria degli atti giuridici in senso stretto nei quali la volontà del solvens rileva soltanto con riguardo al comportamento da tenere, ma non, invece, con riferimento agli effetti derivanti dal comportamento stesso.

Ciò premesso, al fine di individuare correttamente la natura giuridica del pagamento traslativo, è, quindi, necessario prendere in considerazione la fattispecie complessa al cui interno lo stesso si inserisce. E’ possibile, infatti, osservare che, a monte, sussiste un negozio programmatico con il quale si stabilisce l’obbligo di trasferire la proprietà di un determinata cosa, mentre, a valle, vi è il negozio traslativo con cui si dà attuazione alla volontà traslativa. Da tanto deriva, quindi, che il pagamento traslativo è qualificabile alla stregua di atto negoziale e, nello specifico, il medesimo è riconducibile nell’ambito dei negozi giuridici unilaterali. Rileva, infatti, la volontà del soggetto che trasferisce la proprietà, mentre la volontà di colui che acquista la proprietà stessa è stata già manifestata con il negozio programmatico. In tal modo, dunque, si può ritenere  rispettato il principio consensualistico di cui all’art. 1376 c.c. .

Occorre, poi, ribadire che la ricostruzione in parola permette di superare i punti di frizione tra il pagamento traslativo e il principio causalisitico. La giustificazione causale del trasferimento, infatti, può rinvenirsi nel precedente rapporto obbligatorio e, più nello specifico, nel collegamento esistente tra il negozio programmatico a monte e il negozio traslativo a valle. In tal senso, è possibile osservare come, nel nostro ordinamento, siano individuabili altri istituti che rispondono a tale logica: un esempio è quello dell’acquisto della proprietà di un bene da parte del mandatario senza rappresentanza. Quest’ultimo, infatti, sarà, poi, tenuto a ritrasferire la proprietà del bene al mandante.

Individuata la struttura giuridica a cui poter ricondurre il pagamento traslativo, appare utile, infine, segnalare che, secondo un’altra impostazione, l’istituto in esame potrebbe essere ricondotto anche allo schema di cui all’art. 1333 c.c., vale a dire il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente.


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Valeria Vitale

Avvocato, Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi Roma Tre

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