Il pane quotidiano tra Scrittura e Diritto
«O Dio, che affidi al lavoro dell’uomo le risorse del Creato, fa’ che non manchi il pane sulla mensa dei Tuoi figli, e risveglia in noi il desiderio della Tua Parola»
Con questa orazione s’è conclusa la Preghiera dei Fedeli prevista dal Messale Romano per la Celebrazione Eucaristica della Domenica appena trascorsa (4 agosto 2024, ndr): i significati in essa racchiusi sono fuor di dubbio molteplici, dal momento che, in epoca attuale, v’è ancora chi, pur lavorando indefessamente, riceve un trattamento quasi disumano, in totale spregio tanto agli insegnamenti divini quanto alla Carta Fondamentale (ed alle norme vigenti in tema di lavoro).
Le tre Letture proclamate nella Messa succitata pongono in evidenza l’eccessivo attaccamento dell’essere umano alle cose materiali e, contestualmente, la sua trascuratezza nel custodire il Creato, affidatogli dal Signore Stesso: ecco perché il Buon Gesù, nel brano tratto dal Vangelo secondo Giovanni (segnatamente, Gv 6, 24-25), rappresenta alla folla che il vero pane è proprio Lui, che ci sazia ogni giorno con le Sue parole di verità e, al tempo stesso, ci mostra la strada giusta da seguire per ottenere la redenzione (anche se quanto Egli ha insegnato ci esce sovente dall’altro orecchio).
Dopotutto, anche nella preghiera del Padre Nostro si chiede al Signore di darci «il nostro pane quotidiano»: tale espressione, come ha ribadito un sacerdote cappuccino del Sudafrica – che, per diversi anni, ha seguito spiritualmente chi scrive -, designa quella sorgente di salvezza cui dobbiamo attingere ogni giorno, ossia il Cuore di Gesù Misericordioso. Esemplificando – e mi riallaccio ad un’omelia tenuta dal Presbitero in questione durante la sua permanenza a Pozzuoli -, la Misericordia dev’essere considerata alla stregua di quel «panino» di cui ogni giorno ci nutriamo al lavoro, dunque deve costituire oggetto di condivisione: bisogna, cioè, non solo aiutare materialmente chi, affamato od assetato, ci chiede cibo ed acqua, ma anche partecipare spiritualmente alla sofferenza di queste persone, donando loro almeno una parola di conforto e, soprattutto, imparando ad ascoltarle con pazienza.
Va, altresì, osservato che anche Cristo, in quanto vero Dio e vero uomo, praticava un mestiere, ossia la carpenteria: secondo la tradizione giudaica, infatti, i figli apprendevano l’arte o la professione paterna per poi continuarla (San Giuseppe è ricordato anche come artigiano, nel primo giorno di maggio). Ciò significa che Egli si assicurava il sostentamento fornendo il proprio prezioso contributo al progresso della comunità in cui viveva, quella di Nazareth; e non è un caso che l’articolo 4 della Carta Costituzionale, al comma secondo, sancisca, per l’appunto, il dovere – in capo ad ogni Cittadino – «di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società»: con ciò si spiega il motivo per cui la pioggia di sussidi ben nota ai Lettori della rivista è tanto inutile difforme dal dettato costituzionale (la povertà non è stata affatto abolita da quelle misure che mi fan venire il ribrezzo solo a menzionarle)!
Ma la Costituzione Repubblicana contiene un’altra disposizione sacrosanta, che di frequente viene disapplicata: il riferimento è all’articolo 36, il quale impone di remunerare chi lavora in proporzione sia alla qualità, sia alla quantità dell’opera da lui prestata, affinché questi, unitamente al suo nucleo familiare, possa vivere dignitosamente. Ecco un’ulteriore coincidenza, tutt’altro che casuale: anche Gesù, in un brano tratto dal Vangelo secondo Luca (cfr. Lc 10, 1-9), evidenzia il diritto dell’operaio al proprio salario, dunque invita i discepoli ad accontentarsi di quello che verrà dato loro dai rispettivi ospitanti, senza pretendere di più.
Pure tale monito, però, fatica ad esser recepito, atteso che vi sono diversi «padroni» che lucrano sul lavoro altrui, retribuendo miseramente i propri subalterni e, soprattutto, riservando loro scarsa attenzione: più precisamente, li considerano robots, e questo è a tutti gli effetti un peccato sociale, poiché pone a repentaglio la giustizia dei rapporti interpersonali!In sintesi, per potersi professare tanto Cristiani (od anche «Figli della Luce», come solevano definirsi i primi seguaci di Gesù) quanto Cittadini esemplari…non è sufficiente andare in Chiesa a battersi il petto, né tantomeno farsi una scorpacciata di manuali giuridici. È, invece, d’uopo imparare a condividere il «pane quotidiano», in virtù di quel principio di solidarietà insegnatoci da Cristo, nonché cristallizzato nell’art. 2 della Carta Fondamentale.
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Adriano Javier Spagnuolo Vigorita
Laureato in giurisprudenza con una tesi sulla natura giuridica dei rapporti di lavoro secondo la disciplina del Jobs Act (relatore il prof. Francesco Santoni), Adriano Spagnuolo Vigorita (noto anche con il soprannome di "Javier") ha iniziato il suo percorso forense in seno ad un rinomato studio legale napoletano, ove ha sviluppato le proprie capacità di ricerca e, contestualmente, incrementato le conoscenze giuridiche acquisite, con particolare riguardo al diritto civile e del lavoro.
Si occupa attualmente della cura di liti giudiziali e stragiudiziali nelle cennate materie e, dal 20 gennaio 2022, è pienamente abilitato all'esercizio dell'avvocatura, professione dei suoi avi.
Parla fluentemente l'inglese ed il tedesco, appresi durante le sue numerose esperienze all'estero, ed è in grado di comprendere la lingua spagnola.
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