Il patto di famiglia e il divieto di patti successori

Il patto di famiglia e il divieto di patti successori

Il patto di famiglia, istituto di recente introduzione,  ha trovato,  a dispetto delle rosee previsioni legislative, un limitato impiego nella  prassi  incontrando ritrosie in più ambiti giacché investe  quelle sfere di interesse che si prestano ad essere definiti “terreni minati” del diritto successorio, quali il diritto di legittima e il divieto dei patti successori che, inevitabilmente, hanno indotto gli operatori giuridici  a non avallare l’istituto de quo stante le notevoli difficoltà di coordinazione.

Analogamente al Trust e al vincolo di destinazione, carattere dominante e sotteso del patto di famiglia è la finalità di sovvertire la dissoluzione generazionale in ambito imprenditoriale e societario ; come documentato  da taluni studi condotti a livello europeo negli anni 2000, una delle principali cause di dissesto che accumuna le  piccole e le medio-grandi  imprese, ieri come oggi, è la dispersione del patrimonio aziendale a seguito  della trasmissione in unità individuali distaccate; la genesi del patto di famiglia va ricondotta, per inciso, alla non esistenza,  nel panorama  giuridico italiano, di uno strumento che soddisfacesse l’avvertita esigenza di garantire la devoluzione unitaria dell’azienda/partecipazioni societarie ad un unico soggetto o, al più, ai talenti manageriali con maggiori capacità imprenditoriali e di investimento, garantendone, in tal modo, la sopravvivenza e competitività sul mercato.

Altro aspetto caratterizzante il patto di famiglia, è quello della c.d. segregazione  patrimoniale – rectius separazione – di cui si ha traccia nell’art. 768 quater, ultimo comma che rappresenta una  fenomeno eccezionale nel nostro ordinamento volto a scardinare il dogma della indivisibilità e unità del patrimonio e della annessa responsabilità: “quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione”;  nel patto di famiglia, diversamente rispetto agli istituti affini del Trust e del vincolo di destinazione, l’elemento della segregazione finisce per collidere direttamente  con altre disposizioni normative atte, a contrario, ad arginare tale fenomeno: una per tutte, la disposizione dell’art. 2740 c.c. allorquando statuisce che il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i beni, presenti e futuri, ammettendosi, unicamente, deroghe ad opera della legge.

Dopo tale premessa d’obbligo, si rende necessario operare l’analisi dell’istituto: l’inquadramento sistematico, la natura giuridica e la stretta interrelazione con il divieto di patti successori ex art. 458 c.c.

In via preliminare giova soffermarsi sulla genesi normativa di tale strumento  introdotto in tempi alquanto recenti, appena dieci anni fa: nel 2006, entrava in vigore la legge n. 55 recante “ Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia”, che è intervenuta a gamba tesa nel codice civile, innovandolo con gli articoli da 768 bis a 768 octies, dedicati, per inciso,  al patto di famiglia e arricchendo il dettato normativo dell’art. 458 c.c.

Quanto alla natura giudica del patto di famiglia, è pacifico, malgrado, nei primi anni dall’entrata in vigore siano stati sollevati dubbi e perplessità, che si tratti di atto inter vivos ribadendo, a man forte, quella categorizzazione di diritto per cui nell’ordinamento italiano l’unico atto a causa di morte è e rimane il testamento; sul piano applicativo, con tale patto, il disponente trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda o le sue partecipazione societarie ad uno o più discendenti i quali dovranno liquidare al coniuge e agli altri discendenti che rivestirebbero la qualità di legittimari laddove si aprisse  in quel momento storico la successione del disponente, un valore corrispondente alle quote di legittima di cui agli artt. 536 ss. evitando ripercussioni negative sulla successione grazie alla eliminazione del rischio di azioni giudiziarie riguardanti la divisione (richieste di collazione) o la lesione di legittima (azione di riduzione).

Assistiamo, dunque, ad una sovrapposizione di due piani sovente distinti, quello della successione necessaria (mortis causa) e quello degli atti inter vivos: il patto di famiglia è atto pubblico di natura  contrattuale ma, al contempo, implica il richiamo ai pilastri  del diritto successorio vale a dire  la nozione di quota di legittima e la disciplina degli artt. 536 e seguenti.

Di particolare interesse si rivela essere ”l’aspetto dispositivo” del patto di famiglia – ulteriore corollario di quella sovrapposizione  di piani – mortis causa / inter vivos – cui si riconosce un effetto, per così  dire, “anticipatorio” della successione a titolo particolare avente ad oggetto, esclusivamente, il complesso aziendale o le partecipazioni societarie  che verranno assegnate già  in vita da parte del  disponente.

E per i legittimari che non hanno partecipato al patto di famiglia?  Anche tale aspetto è compiutamente disciplinato: in loro favore è stato prescritto, al momento dell’apertura della successione, la corresponsione  di una somma  pari alla quota che sarebbe loro spettata se avessero partecipato al patto, aumentata degli interessi legali.

La somma verrà determinata in funzione e sulla base del valore dei beni d’impresa come determinato nel patto di famiglia e non già al momento storico di apertura della successione. Dal punto di vista squisitamente legislativo, la prima norma dedicata all’istituto de quo è il novellato art.768 bis; pur tuttavia,l’inciso che  rivela maggiormente  la singolarità del patto di famiglia, si rinviene in  una norma diversa da quelle specificamente dettate in materia e, segnatamente, nell’art. 458 c.c.,  rubricato “Divieto di patti successori” il cui primo comma  recita:“ fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi ”.

Si rendono quanto mai opportune delle precisazioni in merito all’inciso, introdotto dalla legge n.55/2006 ,“ fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti ” in ragione del quale si è ravvisato nel patto di famiglia una deroga legislativa al divieto di patti istitutivi, dispositivi e rinunziativi; viepiù, il patto di famiglia e il divieto di patti successori sono sì tra loro vasi contigui ma non  comunicanti; se è vero che il patto di famiglia implica un’attribuzione inter vivos (liberale o traslativa che sia), vero anche che gli effetti di tale attribuzione – la spoliazione da parte dell’imprenditore dell’azienda o del titolare delle partecipazioni societarie – si produrranno nell’immediatezza, sic et simpliciter, non operando alcun differimento ad un momento successivo, nella species,  al momento di apertura della successione; sicché, non  è condivisibile ravvisare nel patto di famiglia una sorta di patto istitutivo, un contratto (e non testamento), funzionale ad una disposizione attributiva di  beni  a far tempo dalla morte del disponente.

Mancando la produzione di effetti a causa di morte, il patto di famiglia verrebbe in rilievo quale deroga al divieto di patti successori dispositivi e rinunziativi riferiti a successioni non ancora apertesi. Segnatamente, se da un lato mancano i presupposti e le argomentazioni  per rinvenire una possibile deroga al divieto di patti istitutivi, pare condivisibile la ricostruzione che delinea nell’istituto in esame una deroga al patto successorio dispositivo e rinunziativo, in ossequio e in forza  del dettato di cui all’art. 768 -quater: gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti”; il  legittimario che  possa – voglia accettare una liquidazione in natura o in denaro in luogo di quelle  che sarebbero le quote di legittima all’apertura della successione,  crea, demiurgicamente, un accordo, un incontro di due volontà, una sorta di do ut des;  si aggiunga che  una deroga ai patti successori rinunziativi si rinviene altresì nella parte in cui il legittimario, ai sensi del medesimo art. 768-quater, comma secondo, potrebbe rinunziare alla liquidazione in suo favore.

Ulteriore singolarità della stretta interrelazione tra i due istituti – il patto di famiglia e patti successori – si ravvisa nella previsione per cui il calcolo delle quote di legittima e della relativa liquidazione debba avvenire non già sulla base del  valore che il patrimonio aziendale avrà al momento dell’apertura della successione – il relictum, come di norma – ma del valore attuale e di mercato così come risulta dal patto; è chiara, dunque, una ulteriore deroga al principio generale espresso dall’art. 556 c.c. per cui la riunione fittizia potrà avvenire, di regola, in un preciso lasso temporale: all’apertura della successione del de cuius.

La ricostruzione fin’ ora offerta non ha pretese di univocità  incontrando  il parere contrario di quegli autori che, in antitesi, non ravvisano nel patto di famiglia alcuna esplicazione di  patto successorio e/o di deroga al relativo divieto di cui all’art. 458 c.c.

Il baluardo della tesi contraria ut supra, è la nuova  formulazione dell’art. 458 c.c:  i patti successori rinunziativi e dispositivi sono disciplinati al secondo comma dell’art. 458 e non già  al primo comma  che riporta inciso “Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti”, quasi che nel disegno e nelle intenzioni  del legislatore fosse chiaro l’intento di escludere ogni commistione e incompatibilità tra i due istituti; a sostegno della tesi per cui il patto di famiglia non realizzerebbe alcun  patto successorio, si rammenta che ai legittimari, siano essi o meno assegnatari, è riconosciuta, in ogni caso, la facoltà di accettare o rinunziare all’eredità, ad esclusione, soltanto, del complesso aziendale o delle azioni che hanno, anteriormente, formato oggetto del patto di famiglia.

In buona sostanza, non si realizzerebbe nessuna deroga al divieto di cui all’art. 458 c.c. atteso che la successione opererà a prescindere dal patto di famiglia, non considerando parte del relictum quel complesso patrimoniale che ne ha formato oggetto sostanziale.

Altri autori, ancora, sostengono che la natura eccezionale del patto di famiglia dovrebbe indurre a ritenere  che qualsiasi variante rispetto alla disciplina normativa  di cui agli artt. 768-bis e ss. godrebbe di autonomia privata, violerebbe il divieto dei patti successori e, quindi, sarebbe nulla;  con ogni evidenza, tali autori fanno leva sull’inciso di cui al primo comma dell’. 458 c.c. per ribadire che l’autonomia privata non ha “la forza” per discostarsi dal dettato legislativo, restando ferma ed inderogabile  la disciplina legislativa  di cui agli artt. 768 bis ss.

Un simile orientamento è del tutto sconfessato dalla prassi normativa che consente di bypassare, in diversi ambiti, uno per tutti quello delle società di persone,  i dettami di legge purché ciò  non sia  configgente con norme imperative.

Interessa osservare, in via conclusiva, come il patto di  famiglia,  da strumento la cui ratio è la garanzia del passaggio generazionale di aziende, assetti societari, abbia finito per essere una strada poco varcata per le callosità di applicazione dovute al delicatissimo equilibrio che intercorre tra il capitalismo familiare e le  esigenze di mercato, tra il procedimento successorio e le necessarie garanzie a tutela dell’unità di impresa.

 


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